Il condominio diventa "consumatore” sia pure solo se le unità immobiliari dell'edificio risultino prevalentemente di proprietà di persone fisiche

11 Gennaio 2021

Dopo che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, puntualmente sollecitata, non aveva escluso che la giurisprudenza nazionale, interpretando la normativa di recepimento della direttiva europea nel diritto interno, potesse ritenere applicabili le norme a tutela dei consumatori ad un contratto concluso da un soggetto giuridico quale il condominio - anche se tale soggetto, non essendo una “persona fisica”, non rientrava nel perimetro di applicazione della suddetta direttiva - il Tribunale meneghino, sottolineati i propri poteri istruttori officiosi al fine di riequilibrare la posizione di diseguaglianza tra le parti, ha accertato che, nel caso concreto, il condominio, stipulante il contratto con un professionista, era da considerarsi consumatore, dando rilievo al profilo soggettivo correlato alla composizione della compagine condominiale interessata.
Massima

Al fine di applicare la disciplina consumeristica (volta, nella specie, all'accertamento della natura vessatoria di una clausola) al contratto concluso da un condominio con un imprenditore, deve essere verificata la destinazione delle singole unità immobiliari ricomprese nell'edificio, considerando il condominio come un consumatore qualora le stesse unità immobiliari siano prevalentemente di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi estranei all'attività professionale eventualmente svolta.

Il caso

Il giudizio, concluso con la sentenza in epigrafe, originava da un'opposizione, proposta da un condominio, ad un precetto azionato da una società, con cui si intimava il pagamento di una determinata somma, a titolo di interessi di mora al tasso del 9,25% sul capitale scaduto, come previsto da un accordo di mediazione intervenuto tra le parti.

Tale accordo aveva rimodulato il pagamento del debito del condominio, a seguito del precedente contratto avente ad oggetto la fornitura di calore e la manutenzione dell'impianto di riscaldamento, da qualificarsi “misto” perché caratterizzato, prevalentemente, dalla concorrenza dei tipi dell'appalto di servizi e della somministrazione di merce (art. 1677 c.c.).

Nonostante l'opponente avesse sostenuto soltanto la non debenza della somma ingiunta, il Tribunale di Milano aveva rilevato d'ufficio la questione della vessatorietà della clausola, con cui era stata determinata la suddetta misura dell'interesse moratorio.

Sollecitato il contraddittorio sul punto, lo stesso giudice meneghino aveva investito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione relativa alla possibilità di qualificare il condominio come consumatore; il giudizio veniva, quindi, sospeso e, dopo la decisione dei giudici di Lussemburgo (Corte Giust. UE 2 aprile 2020, C-329/19), riassunto dalla società, originariamente opposta.

Richiamata la giurisprudenza sovranazionale in materia di poteri istruttori esercitabili officiosamente nel contenzioso consumeristico, lo stesso Tribunale assegnava un primo termine all'opponente per il deposito di documentazione idonea a verificare la concreta qualificabilità del condominio quale consumatore ed un termine successivo all'opposta per prendere posizione sulla documentazione prodotta dalla controparte.

La questione

Si trattava di verificare se il condominio, nonostante non sia una “persona fisica” e, quindi, come tale, non rientrante nel perimetro applicativo del Codice del consumo - v., in particolare, art. 3, lett. a), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 - possa o meno considerarsi come un consumatore.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice del rinvio, sollevando la questione pregiudiziale, aveva chiesto segnatamente alla Corte della Giustizia UE se la nozione di “consumatore” - quale accolta dagli artt. 1, par. 1, e 2, lett. b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 - potesse calzare alla qualificazione di un soggetto, quale il condominio nell'ordinamento italiano, che non era riconducibile né alla persona fisica né alla persona giuridica, allorquando tale soggetto concludesse un contratto per scopi estranei all'attività professionale.

I giudici di Lussemburgo - con una decisione pilatesca, o quanto meno deludente per le aspettative di chi auspicava un chiarimento sulla natura giuridica del condominio - si sono espressi nel senso che tali articoli “devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno, in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche ad un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico, quale il condominio nell'ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell'àmbito di applicazione della suddetta direttiva”.

Preliminarmente, il Tribunale di Milano si è interrogato sulla facoltà, in capo al giudice nazionale, di rilevare d'ufficio l'abusività della clausola contenuta nel contratto de quo concluso dal professionista con il consumatore, atteso che il condominio ingiunto non aveva invocato, inizialmente, la qualità di consumatore, dichiarando, però, di volersi avvalere della disciplina speciale in un secondo momento.

La risposta è stata positiva alla luce del principio di effettività, il quale “richiede che il giudice nazionale, adìto nel contesto di una controversia vertente su un contratto che possa rientrare nell'àmbito di applicazione della citata direttiva, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine o possa disporne su semplice domanda di chiarimenti, sia tenuto a verificare se l'acquirente possa essere qualificato come consumatore, anche se quest'ultimo non ha espressamente rivendicato questa qualità” (Corte Giust. UE 4 giugno 2015, C-497/13).

Una volta qualificato il condominio opponente come consumatore - v. funditus appresso - il magistrato ambrosiano ha dovuto superare l'eccezione, sollevata da parte opposta, circa il giudicato (implicito ed esterno) formatosi sulla questione della vessatorietà della clausola oggetto del rilievo officioso di cui sopra, atteso che vi era stato, in proposito, un precedente decreto ingiuntivo non opposto.

Lo stesso giudice ha, inoltre, valutato in concreto se la clausola in esame, con cui era stata determinata la misura dell'interesse moratorio, fosse o meno “vessatoria”, ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. f), del Codice del consumo, che vieta di imporre al consumatore, in caso di di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente “d'importo manifestatamente eccessivo” (e ciò a prescindere dall'aspetto relativo alla verifica della “usurarietà” della stessa clausola).

Ai fini dell'art. 34, comma 4, del Codice del consumo, si è, poi, esclusa la “trattativa individuale” - che sola consente di non configurare vessatorie le clausole di un contratto concluso tra l'imprenditore ed il consumatore - risultando l'accordo di mediazione in esame muto quanto all'esistenza di una trattativa (specifica, seria ed effettiva), a nulla rilevando, per un verso, che il relativo verbale fosse stato sottoscritto dal legale del condominio e, per altro verso, che il contenuto della mediazione fosse stato preventivamente sottoposto all'assemblea.

Pertanto, disapplicata integralmente la clausola vessatoria e rideterminato l'importo degli interessi moratori convenzionali - dovuto nel periodo 2001/2016 oggetto del giudizio - alla luce del tasso legale ex art. 1224, comma 1, c.c., il dispositivo della sentenza in commento è stato nel senso di ridurre drasticamente la complessiva somma indicata nel precetto da € 20.651,47 a € 568,77.

Osservazioni

Per quel che ci interessa da vicino, il punto nodale della controversia, e, peraltro, quello per cui si era chiesto il parere preliminare alla Corte di Giustizia UE, era la questione della configurabilità del condominio come consumatore, che il Tribunale di Milano ha risolto non nella prospettiva sfuggente - come dimostrano, del resto, le difficoltà sorte quanto alla formula che vuole il condominio quale “ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti” - della teoria del soggetto, ma in quella del rapporto giuridico.

Una simile prospettiva - ad avviso del giudicante - risulta meglio in grado di contemperare, da un lato, la tutela effettiva del consumatore (cui è ispirata la ormai ventennale giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia) e, dall'altro, l'esigenza di non comprimere indebitamente l'autonomia privata del professionista in conseguenza di una “strabordante applicazione della disciplina speciale di derivazione eurounitaria”.

Ne discende la mancata possibilità di applicare in modo incondizionato la giurisprudenza della Suprema Corte che - verosimilmente anche in considerazione delle peculiarità del giudizio di legittimità - aveva, sino ad oggi, affermato, con una formula tralaticia, che, “al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale” (Cass. civ., sez. VI/II, 22 maggio 2015, n. 10679; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2001, n. 10086).

Invero, il rischio - concretamente verificatosi, ad esempio, nel caso deciso da Trib. Massa 26 giugno 2017 - era quello di ritenere consumatore anche un condominio interamente adibito allo svolgimento di attività commerciali e/o professionali, con conseguente (ingiustificato) indebolimento della tutela dell'imprenditore che con un simile condominio contratti.

In quest'ordine di concetti, diviene necessario accertare quale sia, in concreto, la destinazione degli immobili ricompresi nel condominio, considerando consumatore solo quel condominio che risulti composto da unità immobiliari almeno “prevalentemente” (argomentando ex considerando 17 della direttiva 2011/83/CE) di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Un simile criterio appare - secondo il Tribunale - quello meglio in grado di risolvere la delicata questione (non espressamente regolata dal legislatore) del regime giuridico degli atti compiuti da un imprenditore con una parte plurisoggettiva, tanto almeno ove, con riferimento al condominio, venga in rilievo un atto di amministrazione e/o conservazione delle cose comuni, in relazione al quale la posizione del singolo condomino resta assorbita nell'organizzazione del gruppo.

Ebbene, dalla documentazione depositata dal condominio - non contestata ex adverso - era risultato che solo n. 6 unità immobiliari (per complessivi 187 millesimi) avevano destinazione di negozio (5 di proprietà di persone fisiche ed 1 di proprietà di persona giuridica) e che le restanti 51 abitazioni erano di proprietà di persone fisiche, concludendo (in modo lapidario) nel senso che “l'odierno opponente è consumatore”.

Del resto, in senso contrario, non può valorizzarsi che il condominio fosse assistito da un professionista, ossia dall'amministratore, che - come asserito dalla società ingiungente - non poteva considerarsi “un soggetto sprovveduto o privo delle conoscenze adeguate a consentirgli di comprendere esattamente il contenuto delle clausole contrattuali sottoscritte”, dovendo avere, invece, un sufficiente potere negoziale; in proposito, si è rammentato che la parte sostanziale del contratto era il condominio, e non l'amministratore - cui, peraltro, la citata giurisprudenza fa riferimento in termini di “mandatario con rappresentanza” - e come l'(eventuale) assistenza del consumatore da parte di un professionista non risulti valorizzata per escludere la tutela prevista in favore del consumatore (v., ex multis, Corte Giust. 11 marzo 2020, C-111/17).

Lo stesso Tribunale di Milano si rende conto che la soluzione accolta espone il fianco a critiche, ma osserva come eventuali difficoltà nell'accertamento della concreta situazione dedotta in giudizio non possano comportare una completa abdicazione all'aspirazione dell'adeguamento tra situazione di fatto e situazione di diritto, “discendendone, altrimenti, l'aprioristica frustrazione di una fondamentale funzione del processo oltre (con riferimento al caso concreto) alla possibile, ingiustificata applicazione di una disciplina iperprotettiva”.

Del resto, l'esperienza registra che sono molti i casi - come quello di specie - nei quali la situazione di fatto è accertabile in modo pacifico ed immediato, sicché il criterio adottato, nella massima parte, è destinato a risultare risolutivo, salva la possibilità di “illuminare eventuali situazioni di chiaroscuro mediante il ricorso ad iniziative istruttorie officiose e/o ad elementi indiziari”.

Le “incertezze applicative” accennate (ma non esplicitate) nella sentenza in commento riguardano segnatamente il fatto che si troverebbero a beneficiare della tutela consumeristica soggetti di diritto - in specie, società, fondazioni, associazioni, ecc. - che, in quanto non persone fisiche, ad essa sarebbero sottratti ex lege, o, per esempio, persone fisiche che, locando gli appartamenti dello stabile, esercitano la loro precipua attività professionale di agenti immobiliari (in disparte la non agevole conoscenza circa il reale assetto proprietario del condominio da parte del terzo, mediante ricerche presso i registri immobiliari, acquisizione delle schede catastali, produzione del rendiconto, esibizione dell'anagrafe condominiale, ecc.).

Va, poi, presa in adeguata considerazione la (ben possibile) variabilità della composizione della compagine condominiale, che metterebbe a rischio la sorte dei contratti conclusi dal condominio-consumatore qualora, a seguito di successive compravendite, il numero dei condomini-persone fisiche diminuisca, con corrispondente aumento dei condomini-persone giuridiche (peraltro, fenomeno speculare a quello in cui più persone fisiche acquistino da società proprietarie di varie unità immobiliari, facendo pendere la bilancia verso la “destinazione abitativa” e, quindi, la potenziale applicabilità della disciplina consumeristica).

Insomma, correlando il tutto ad un'indagine di fatto, il condominio, oggetto della controversia esaminata dal Tribunale di Milano, “è consumatore”, mentre quello accanto potrebbe non esserlo, e parimenti il primo potrebbe non esserlo più allorché si modifichi la qualità giuridica dei proprietari delle singole unità immobiliari.

Si ritiene che la soluzione accolta dal giudice meneghino rientri nell'alveo delle direttive date dalla Corte di Giustizia UE, la quale, da un lato, aveva dato atto che il condominio non è una “persona fisica”, accogliendo il dubbio sollevato dal giudice del rinvio, ma, dall'altro, aveva evidenziato che la direttiva 93/13/CEE aveva offerto solo “un'armonizzazione parziale e minima” delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando, però, impregiudicata la possibilità, da parte dei singoli Stati membri, di garantire - sempre nel rispetto del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - un “più elevato livello di protezione” per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva.

Ecco, quindi, che un orientamento, da parte della magistratura italiana, volto a garantire maggiormente il consumatore, estendendo l'àmbito di applicazione della tutela contemplata dalla direttiva ad un (anche se impropriamente denominato) “soggetto giuridico” come il condominio, che persona fisica non è - come non è nemmeno una persona giuridica, nonostante i giudici di Lussemburgo lo chiamano così - si inscrive nell'obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla citata direttiva.

Del resto, in altri ordinamenti, si è superato ampiamente il limite del “soggetto umano persona fisica” per qualificare il consumatore: ad esempio, la Grecia, la Spagna ed i Paesi Bassi ampliano quest'ultima figura fino a ricomprendervi le persone giuridiche; l'Inghilterra considera consumatore anche il piccolo imprenditore; la giurisprudenza francese suggerisce di sostituire la nozione di consumatore con quella di non professionel; e, di recente, nell'ordinamento italiano, si registra la new entry delle microimprese.

In fondo, sono due i requisiti su cui si basa la nozione legislativa di consumatore: uno soggettivo, espresso in termini positivi, ossia essere una “persona fisica”, ed uno oggettivo, delineato in termini negativi, ossia essere un soggetto che agisce per “scopi estranei” all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Il magistrato meneghino privilegia il primo, dando per scontato il secondo, laddove un'indagine più approfondita avrebbe potuto rivelare fallace l'equazione persona fisica uguale destinazione abitativa, in disparte l'eventualità che la persona fisica potrebbe, nella stessa unità immobiliare, soddisfare in parte esigenze personali e svolgervi in parte l'attività professionale (si pensi ad uno studio di un commercialista).

In altri termini, per qualificare il condominio come consumatore e beneficiare della disciplina consumeristica, viene accolto come significativo soltanto il discrimen “quantitativo” tra persone fisiche e persone giuridiche proprietarie di unità immobiliari, tralasciando di verificare, sul versante “qualitativo”, se le unità immobiliari siano utilizzate o meno per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Stando così le cose, appare preferibile prestare maggiore attenzione al secondo elemento distintivo della nozione di consumatore, cioè lo “scopo” dell'atto di consumo, sviscerandone, sul piano applicativo, l'intrinseco contenuto.

Tale indagine trova conforto nelle riflessioni della dottrina più attenta che ha proposto di escludere la normativa consumeristica in riferimento agli atti compiuti dal professionista attraverso cui viene perseguito, soltanto in via immediata e diretta, un interesse professionale, distinguendo, in particolare, tra “atti della professione”, in cui rientrerebbero i contratti conclusi nell'àmbito dell'attività caratteristica dell'impresa, ed “atti relativi alla professione”, annoverando tra questi ultimi gli atti legati soltanto funzionalmente alla suddetta attività.

Ai fini della rafforzata tutela consumeristica - si pensi alle clausole determinative della competenza, o limitative del diritto di recesso, o escludenti profili di responsabilità, oppure precludenti azioni risolutorie per inadempimento - una cosa è il contratto di leasing sottoscritto dal titolare dello studio dentistico per il godimento di macchinari volti all'igiene orale (atto della professione), altra cosa è il contratto di manutenzione dell'impianto di ascensore, che serve sì ai clienti per raggiungere lo studio ma si rivela meramente strumentale all'attività odontoiatrica (atto relativo alla professione).

La focalizzazione della disamina sull'elemento dello scopo appare particolarmente soddisfacente, poichè permette di correlare la qualifica di consumatore - non ad una “formalistica” condizione permanente del soggetto, bensì - alla “sostanziale” attività dello stesso ed alla finalità dell'atto negoziale di consumo posto in essere.

In quest'ottica, by-passando ogni scrutinio concreto sulla prevalenza, si potrebbe opinare che tutti i “contratti condominiali”, tout court, in quanto volti alla conservazione/manutenzione delle parti dell'edificio o al funzionamento dei servizi comuni, non sono mai connessi all'attività imprenditoriale/professionale eventualmente esercitata nella singola unità immobiliare di cui si compone lo stabile in regime di condomino.

In fondo, verrebbe sottolineatala posizione di “debolezza contrattuale” allorquando ci si interfaccia con fornitori e appaltatori: invero, il condomino, quand'anche rivesta la qualifica di professionista - sia esso persona fisica o giuridica - è del tutto privo di conoscenze specifiche in materia di contrattualistica condominiale, tale da renderlo ferrato ed accorto rispetto al professionista che opera abitualmente in tale settore, il quale, al contrario, assume una posizione di netto vantaggio informativo e negoziale (in altri termini, la situazione di subalternità va ritenuta quasi in re ipsa, e si determina anche quando il professionista, che pure agisca per scopi attinenti alla professione, operi in un settore estraneo all'attività svolta dalla controparte).

Pertanto, sarebbe auspicabile che la disciplina consumeristica possa essere applicata prescindendo da ogni verifica soggettiva circa la concreta composizione della compagine condominiale, considerando il condominio in toto quale consumatore in ragione della condizione concreta di “inferiorità” negoziale e degli scopi sostanzialmente extraprofessionali perseguiti.

Forse la Cassazione del 2001 e del 2005, nell'affermare quel sillogismo generalista - secondo cui: a) siccome il condominio è un ente di gestione, e l'amministratore è un mandatario che agisce in rappresentanza dei singoli condomini, e b) siccome il contratto concluso dal primo riverbera gli effetti sui secondi, c) ergo il condominio è un consumatore in quanto composto da persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali - aveva, inconsapevolmente, optato per la soluzione ermeneutica sopra delineata, sicuramente pragmatica e più rassicurante.

Pertanto, stante la suddetta situazione di inferiorità, in cui versa il soggetto nei confronti del professionista (appaltatore/fornitore) che svolge quella specifica attività, si ritiene di dare la prevalenza, comunque, all'aspetto teleologico che connota la condotta del condominio rispetto a quello prettamente soggettivo, consentendo così a quest'ultimo l'accesso alla (più efficace) tutela del Codice del consumo.

Tale situazione si verifica, infatti, nel momento in cui il professionista, eventualmente presente nella compagine condominiale, pur agendo per scopi attinenti alla sua attività lavorativa, opera su un campo estraneo ad essa e, quindi, si rivela più bisognoso di tutela a causa della sua soggezione (intellettuale, psicologica, economica) rispetto alla controparte che agisce nell'esercizio del suo lavoro.

D'altronde, anche i giudici di Lussemburgo (Corte Giust. 3 settembre 2015, C-110/14) si sono mostrati sensibili a privilegiare l'indagine “oggettiva” nel perimetrare la figura del consumatore - quasi in opposizione a quella di “operatore economico” (Corte Giust. 25 gennaio 2018, C-498/16) - ossia prescindendo dalle conoscenze che il soggetto può avere o/e dalle informazioni di cui disponga: in pratica, il giudice nazionale deve tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, della “natura del bene o del servizio del contratto considerato, idonee a dimostrare i fini per i quali il bene o il servizio è acquisito”.

In conclusione di questo breve commento “a caldo”, preso atto della mancanza di una definizione legislativa del condominio e visto l'altalenante ricostruzione giurisprudenziale, anche nella massima composizione, circa la sua soggettività giuridica (Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148; Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19633; Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934), appare preferibile - anche nella prospettiva di armonizzazione del diritto europeo - spostare l'accento sul versante oggettivo, valorizzando lo “scopo estraneo” inteso come quella finalità non riconducibile direttamente all'attività imprenditoriale.

In quest'ottica, il contratto così stipulato dall'amministratore, in nome e per conto del condominio, ma vincolante i singoli condomini in quanto utenti finali, per la conservazione ed il funzionamento delle parti comuni - si pensi alla manutenzione dell'impianto di ascensore, alle forniture di servizi erogate dalle imprese di pulizia dello stabile, agli appalti per le opere di impermeabilizzazione del lastrico solare, alle polizze delle compagnie assicuratrici concernenti la sicurezza del fabbricato, ai rapporti con le banche presso cui è acceso il conto corrente condominiale - non rivelerebbe alcun collegamento con l'attività eventualmente svolta da colui che negozia con il professionista, non essendo dirimente che tali cose/impianti/servizi comuni siano in relazione di accessorietà rispetto all'unità immobiliare singola dove si svolge la suddetta attività.

In parole povere, il bene somministrato o la prestazione offerta, oggetto del contratto condominiale, rispettivamente, di somministrazione o di appalto, non sarebbe mai “espressione della professione”, pur essendo alla stessa strumentale, sicché può considerarsi consumatore anche colui che acquista la merce o richiede il servizio nell'àmbito dell'attività professionale svolta, qualora la relativa stipula non sia inquadrabile tra le manifestazioni precipue di tale attività.

Ciò consentirebbe, tra l'altro, di evitare scivolosi accertamenti, anche sotto l'aspetto probatorio, sulla prevalenza, in base alle carature millesimali, dei soggetti proprietari delle singole unità immobiliari (potendo le persone fisiche ivi presenti svolgere nel loro interno attività professionali o utilizzare promiscuamente le stesse), oppure sulla predominanza dello scopo (non essendo agevole indagare la reale intenzione del contraente circa l'utilizzo del bene).

E', dunque, auspicabile, per soddisfare l'esigenza di certezza delle soluzioni applicative ed accogliendo la sollecitazione volta a rimodulare l'àmbito di applicazione del Codice del consumo sulla base degli effettivi bisogni di protezione del soggetto debole, che la qualificazione del condominio come consumatore sia risolta in modo assolutizzante, sì da non dover esaminare, volta per volta, possibili scenari contrastanti, anche nell'ottica di incentivare l'effetto volano che la realtà condominiale inevitabilmente innesta sui fenomeni economici di contorno (si pensi al c.d. superbonus dell'edilizia 110% contemplato nell'àmbito della legislazione emergenziale correlata al fenomeno pandemico da Covid-19).

Riferimenti

Gatt, Art. 1469-bis, comma 2, c.c. Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in Nuove leggi civ. comm., 1997, IV, 832;

Terzago, Condominio e tutela del consumatore, in Riv. giur. edil., 2001, I, 866;

Astone, Ambito di applicazione soggettivo. La nozione di “consumatore” e “professionista”, in Clausole vessatorie nei contratti del consumatore a cura di Alpa-Patti, Milano, 2003, 165;

Scarso, Il contraente “debole”, Torino, 2006, 237;

Minervini, Dei contratti del consumatore in generale, Torino, 2014, 38;

De Cristofaro, Gli amministratori di condominio e le loro associazioni, fra Codice del consumo e legge n. 4 del 2013 sulle professioni non organizzate, in Studium iuris, 2014, 801;

Mezzasoma, Il consumatore e il professionista, in Diritti e tutele dei consumatori a cura di Recinto-Mezzasoma-Cherti, Napoli, 2014, 31;

Bosso, I contratti del condominio e il condominio come consumatore. Introduzione e principi generali, in Arch. loc. e cond., 2017, 14;

Berti, La figura del consumatore e la sua soggettività giuridica, in Resp. civ. e prev., 2018, 1694;

Cerdonio Chiaromonte, Tutela consumeristica e parte soggettivamente complessa, in Riv. dir. civ., 2019, 25;

Petrelli, Rimessa la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea sull'applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione.it., 21 giugno 2019;

Belli, La neverending story del “condominio-consumatore” va alla Corte di Giustizia UE, in Consulenza, 2 agosto 2019;

Scarpa, Vecchi paradossi e nuove certezze in tema di parziarietà delle obbligazioni condominiali e tutela consumeristica del condominio, in Immobili & proprietà, 2019, fasc. 12, 707;

Petrelli, La Corte di Giustizia dell'Unione Europea si pronuncia sull'applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione, 9 aprile 2020;

Foresta, Condominio e consumatore: un connubio possibile, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1171;

Cerri, Il condominio è qualificabile come consumatore? La questione rimessa alla Corte di Giustizia, in Corr. giur., 2020, 199;

De Cristofaro, Diritto dei consumatori e rapporti contrattuali del condominio: la soluzione della Corte di Giustizia UE, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 842;

Spoto, Il condominio non è un consumatore ma ha le stesse tutele, in Corr. giur., 2020, 893;

Calvo, Complessità personificata o individualità complessa del condominio-consumatore, in Giur. it., 2020, 1320;

Belli, Per la Corte di Giustizia UE il condominio in Italia può essere un consumatore, in Consulenza, 4 maggio 2020;

Petrelli, Il condominio può accedere al piano del consumatore in casi di sovraindebitamento?, in Condominioelocazione.it., 29 settembre 2020;

Chiesi - Sturiale, Condominio: “essere o non essere” (consumatore), in Immobili & proprietà, 2020, fasc. 8-9, 493;

Trubiani, Applicabilità delle tutele consumeristiche al condominio: (nonostante l'intervento della Corte della Giustizia UE) un dubbio ancora da sciogliere, in Resp. civ. e prev., 2020, fasc. 5, 1502.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.