I criteri di calcolo dello spazio minimo detentivo e rispetto dell'art. 3 CEDU: una nuova pronuncia in attesa delle motivazioni delle Sezioni Unite

Giulia Simion
11 Gennaio 2021

Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, occorre avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, da questa, detrarre gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui i letti a castello e i servizi igienici...
Massima

Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, occorre avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, da questa, detrarre gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui i letti a castello e i servizi igienici.

Il caso

Con la sentenza in esame, la prima sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un detenuto che intendeva ottenere la riparazione del pregiudizio subito a seguito di un periodo di detenzione sofferta negli istituti penitenziari di Salerno e Vibo Valentia in condizioni tali da violare l'art. 3 CEDU.

Con ordinanza emessa in data 27 novembre 2019, il Tribunale di Sorveglianza di Ancona aveva rigettato il reclamo avanzato dal ristretto avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Macerata, datato 6 giugno 2019, con il quale era stata respinta l'istanza presentata ex art. 35-ter ord. pen. Il Tribunale aveva, invero, condiviso il metodo di calcolo adottato dal magistrato territoriale per computare lo spazio minimo inderogabile pro capite, ossia la misurazione di esso al lordo di tutti gli arredi, confermando la decisione di primo grado tanto sotto il profilo dell'assenza di pregiudizio (in base ai calcoli effettuati con il detto criterio, il detenuto era risultato disporre di uno spazio vitale ricompreso tra i 3 e i 4 mq o superiore a 4 mq), sia la presenza, nella fattispecie, di ulteriori fattori c.d. “compensativi”.

Il ricorrente, tramite difensore, ha denunciato innanzi alla Corte di Cassazione la violazione degli artt. 27 Cost., 3 CEDU e 35-ter ord. pen., così come interpretati dalla giurisprudenza di Strasburgo e di legittimità, nonché l'omessa e la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ede), c.p.p.

Premesso che il reclamo proposto innanzi al tribunale collegiale riguardava la censura del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, sia con riguardo al criterio di calcolo adottato (in forza del quale era stata detratta dalla superficie lorda solo quella destinata ai servizi igienici e non anche quella occupata dal mobilio che impedisce il libero movimento), sia per la ritenuta insufficiente valorizzazione delle ulteriori condizioni pregiudizievoli sofferte dall'interessato nel corso della detenzione, l'impugnazione in Cassazione è stata formulata per contestare il metodo di calcolo dello spazio della camera detentiva al lordo degli arredi, adottato nell'ordinanza del giudice monocratico e validato dal tribunale collegiale.

Il ricorso, in particolare, evoca il concetto di spazio minimo da riservare al soggetto in vinculis inteso quale superficie che garantisce la facoltà di libero movimento, osservando come la sola presenza di un letto a castello impedisca anche la più banale azione dello stare seduto.

Ulteriormente, il ricorrente lamenta una valutazione approssimativa, se non carente, da parte del Tribunale distrettuale sulla dedotta presenza di peculiari fattori, quali le scarse condizioni igieniche e il ridotto numero di ore d'aria a disposizione, tali da aggravare ancor di più il pregiudizio dovuto alla scarsità di spazio personale a disposizione.

Con particolare riferimento al criterio di calcolo adottato nel giudizio di merito, i giudici di sorveglianza avevano evidenziato l'assenza di una pronuncia convenzionale che imponesse di misurare la superficie al netto di qualsiasi arredo presente all'interno delle celle, richiamando nello specifico il par. 114 della sentenza Muršić c. Croazia (Corte e.d.u., Grande Camera, 20 ottobre 16, Muršić c. Croazia) che ha ritenuto, sulla scia di quanto stabilito dal CPT, che nel computo si debba escludere la superficie occupata dai sanitari e, viceversa, si debba includere quella coperta dal mobilio.

La questione

Nel caso di specie, la questione centrale che si pone riguarda il profilo se il metodo di calcolo della superficie del locus custodiae debba essere misurata al lordo degli arredi, così come inteso dai giudici della sorveglianza, senza avere, pertanto, alcun fondamento le distinzioni tra quelli fissi e mobili o tra la struttura dei letti, oppure al netto, al fine di valutare una superficie calpestabile di 3 mq che effettivamente assicura il normale movimento del detenuto.

Nel panorama giurisprudenziale italiano, e anche europeo, il tema affrontato non è nuovo ed è tuttora oggetto di dibattito, restando ancora opinabile quale sia, in concreto, il criterio di calcolo da applicare per determinare la presenza, o meno, di una detenzione contraria a quanto statuito dall'art. 3 CEDU, così interpretato dalla Corte EDU.

Le soluzioni giuridiche

Nell'accogliere il ricorso del detenuto, la Cassazione ha condiviso e riaffermato il recente approdo della medesima Corte che, riunitasi nella sua composizione più autorevole il 24 settembre 2020, ha sancito il seguente criterio di calcolo:

nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti castello.

Pertanto, con la sentenza n. 33822/2020 si è ritenuto che l'ordinanza impugnata non fosse consentanea a quanto espresso dalle Sezioni Unite e reso noto attraverso l'informazione provvisoria del tenore sopra richiamato.

Il Collegio ha rilevato, in particolare, come il metodo di calcolo utilizzato dai giudici di merito non rispettasse l'orientamento, già maturato in numerosi arresti (ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 41211 del 26/05/2017, Gobbi, Rv. 271087; Cass. pen., Sez. I, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, Morello, Rv. 269514, Cass. pen., Sez. I, n. 52819 del 09/09/2016, Sciuto, Rv. 268231), secondo cui, ai fini della determinazione della superficie individuale minima inderogabile pro capite, bisogna detrarre dal valore lordo di quest'ultima sia l'area destinata ai servizi igienici sia quella occupata dalle strutture tendenzialmente fisse, come il letto nell'ipotesi di struttura “a castello” e gli armadi, appoggiati o fissi alle pareti o al suolo.

Diversamente per gli arredi facilmente rimovibili, come sgabelli o tavolini, che devono essere inclusi nel calcolo.

La Prima Sezione sottolinea, inoltre, come tale orientamento non fosse solo stato ribadito anche nella stessa sentenza Muršic c. Croazia, che esplicitamente sancisce l'importanza di «determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella» (par. 114), ma altresì dai giudici di merito (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 17656 del 12/02/2020, Skripeliov, n.m.), avendo quindi il Tribunale di Sorveglianza mal recepito l'interpretazione di matrice convenzionale e nazionale.

Per queste ragioni, la Cassazione ha annullato l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Ancona, che dovrà quindi uniformarsi ai principi di diritto sopra indicati.

Osservazioni

La questione circa le modalità di calcolo dello spazio a disposizione per ciascun detenuto rappresenta da sempre una querelle su cui si è espressa non solo la giurisprudenza europea, bensì anche quella di legittimità, ancorché il legislatore abbia attuato le indicazioni dell'Organo strasburghese all'indomani della nota sentenza pilota Torreggiani e altri contro Italia (Corte EDU., Sez. II, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia), introducendo il rimedio compensativo di cui all'art. 35-ter ord. pen. attraverso il d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito in legge n. 117 del 2014, ed implementando così il novero dei rimedi giuridici a disposizione della popolazione carceraria.

La valutazione delle singole situazioni lamentate da chi soffre «condizioni di detenzione tali da violare l'art. 3 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo» non è suscettibile di libero apprezzamento da parte del giudice nazionale, il quale deve conformarsi all'evoluzione della stessa giurisprudenza convenzionale. I problemi applicativi sorgono nel momento in cui non tutte le vicende giuridiche prospettate al giudice interno presentano le medesime variabili prese in considerazione dalla Corte EDU, la cui giurisprudenza – per le peculiari caratteristiche di quella giurisdizione - mal si presta all'individuazione di principi consolidati. Si tratta, in altri termini, per l'interprete di fare governo di un parametro mobile e mutevole che comporta incertezze applicative, dovendosi – per così dire - operare “un'interpretazione dell'interpretazione” che la Corte europea fornisce dell'art. 3 CEDU.

L'eterogenea integrazione giurisprudenziale del precetto convenzionale ha determinato la necessità di fisiologici interventi della Corte di legittimità tesi ad estrarre dalla sequenza di decisioni emesse dalla Corte EDU talune linee ricostruttive sistematiche sul metodo di determinazione dello spazio vitale minimo, al fine di comporre un quadro il più possibile ampio della tutela dei diritti dei detenuti in un sistema segnato da uno strutturale overcrowding carcerario.

Nella normativa interna, invero, ad eccezione dell'art. 7 d.P.R. 230/2000 (regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario), che impone una netta demarcazione tra l'ambiente adibito ai servizi igienici da quello preposto ai servizi igienici, l'assenza di altri specifici riferimenti normativi nell'ordinamento italiano da cui poter individuare parametri specifici ha determinato un rilevante disorientamento giurisprudenziale in materia di computo dello spazio occupato dalle suppellettili. In particolare, a seconda della nozione adottata di “spazio minimo da assicurare a ciascun ristretto”, si dibatte se esso debba intendersi come superficie materialmente calpestabile o tale da assicurare il normale movimento, assumendo, di conseguenza, un rilievo diverso la presenza di arredi nella camera detentiva.

Ed è proprio in tale contesto che si inserisce il recente arresto delle Sezioni Unite del 24 settembre 2020, che sintetizza, nel dictum richiamato, l'incerto quadro giurisprudenziale di legittimità esistente, riassumibile in due orientamenti interpretativi, fermo, invece, l'indiscusso principio, secondo cui l'area pro capite non deve essere inferiore a tre metri quadrati.

Secondo una prima linea interpretativa allo spazio minimo individuale corrisponde la superficie calpestabile e, di conseguenza, dal valore lordo di quest'ultima deve essere detratta l'area occupata dalle suppellettili senza alcuna distinzione (ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 5728 del 19/12/2013, dep. 2014). Alcune decisioni, tuttavia, hanno operato un distinguo tra gli arredi tendenzialmente fissi, di ostacolo al libero movimento, da detrarre dallo spazio minimo pro capite, e quelli facilmente rimuovibili, non detraibili. Una questione a sé stante, poi, è rappresentata dallo spazio occupato dal letto che, secondo la giurisprudenza penale minoritaria, deve essere sempre sottratto (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 52819 del 09/09/2016, Sciuto, Rv. 268231); diversamente, in alcune decisioni si è ritenuto che questo vada sottratto solo qualora sia particolarmente ingombrante, ovvero quando assume la struttura “a castello” (ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 16418 del 17/11/2016, dep.2017, Lorefice, n.m.).

Un secondo orientamento, invece, ha precisato che la conformità all'art. 3 CEDU si sarebbe concretizzata semplicemente prendendo in considerazione la superficie funzionale al normale movimento del singolo all'interno della camera, misurata al netto della mobilia. In questa interpretazione giurisprudenziale si valida, in altri termini, una concezione lorda dello spazio, purché venga comunque garantita e tutelata la possibilità di circolazione nella cella (ex multis Cass. pen., Sez. II, n. 48401 del 19/10/2017, Ghiviziu, n.m).

È proprio alla luce di tale disorientamento giurisprudenziale che la Corte di Cassazione è stata chiamata al fine di specificare le seguenti questioni di diritto controverse in materia di condizioni detentive che si conformano all'art. 3 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU, valutando:

a) se i criteri di computo dello spazio minimo disponibile di tre metri quadrati debbano essere definiti considerando la superficie lorda o netta, quindi quella calpestabile della stanza, e se in quest'ultima ipotesi si debba, di conseguenza, detrarre lo spazio occupato dal mobilio e dalle strutture tendenzialmente fisse oppure si debbano includere gli arredi necessari allo svolgimento delle attività quotidiane di vita;

b) se assume rilievo lo spazio del letto, indipendentemente dalla struttura, o se la detrazione riguardi esclusivamente il letto “a castello”, maggiormente ingombrante, e non quello singolo;

c) se, nell'ipotesi di accertamento della violazione dello spazio minimo inderogabile - sia al lordo che al netto del mobilio -, sia comunque possibile escludere il mancato rispetto dell'art. 3 CEDU, qualora dovessero concorrere ulteriori “criteri compensativi”, individuati dalla stessa Corte EDU in una breve durata della carcerazione, una dignitosa condizione detentiva e una sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella accompagnata dallo svolgimento di adeguate attività, ovvero se essi incidano semplicemente nell'eventualità in cui lo spazio garantito ad ogni ristretto sia compreso tra i tre e i quattro metri quadri.

In attesa della pubblicazione delle motivazioni, è auspicabile che i futuri provvedimenti adottati in materia di reclamo ai sensi dell'art. 35-ter ord. pen. siano conformi al recente approdo, il quale potrebbe rappresentare un caposaldo sulla questione de qua.

Per approfondire

Per approfondire:

S. CIUFFOLETTI, Il giudice di civil law davanti alla fonte giurisprudenziale. considerazioni inattuali sull'(in)effettività del rimedio di cui all'art. 35 ter o.p. alla luce di due recenti ordinanze del magistrato di sorveglianza di Pisa, in Dir.Pen. Cont., 12, 2017, 5 e ss.

F. FIORENTIN (a cura di), La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti, Giappichelli, Torino, 2019;

F. FIORENTIN – C. FIORIO, Manuale di Diritto Penitenziario, Giuffré – Francis Léfebvre, Milano 2020;

D. GALLIANI, Le briciole di pane, i giudici, il senso di umanità. una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 35, 35-bis e 35-ter ord. pen., in Dir. Pen. Cont., 12, 2018, 73 e ss.

REDAZIONE SCIENTIFICA, Detenzione. Per la valutazione del “trattamento inumano e degradante” la Cassazione si uniforma giurisprudenza europea, in Questa Rivista, 18 luglio 2019

V. MANCA, Detenzione: i criteri di computo dello spazio minimo disponibile per la valutazione del trattamento inumano e degradante, in Questa Rivista, 10 settembre 2019;

F. URBAN, Il diritto del detenuto a un trattamento penitenziario umano a quattro anni dalla sentenza Torreggiani c. Italia, in Rivista di Diritti comparati, 3, 2017, 1 e ss.

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