Arruolamento passivo ex art. 270-quater c.p.: è sufficiente la dimostrazione dell'incondizionata disponibilità al compimento di atti terroristici?

Marzia Minutillo Turtur
14 Gennaio 2021

La questione oggetto di interpretazione, da parte della decisione in commento, che evidenzia il consapevole contrasto con orientamenti precedenti della Corte di cassazione, è quella relativa alla necessità, quanto alla previsione di cui all'art. 270-quaterc.p., della ricorrenza, e conseguentemente della necessità di una piena prova, di “serio accordo” tra arruolato e arruolatore, con correlata necessità di individuare specificamente anche il soggetto arruolatore.
Massima

Ai fini dell'integrazione del delitto di arruolamento passivo con finalità di terrorismo anche internazionale, di cui all'art. 270-quater, comma secondo, c.p., non è necessaria la prova di un "serio accordo" con l'associazione (nella specie, Al Qaeda), ma è sufficiente la dimostrazione della concreta ed incondizionata disponibilità del neo arruolato al compimento di atti terroristici, anche a progettazione individuale, funzionali al raggiungimento degli scopi eversivi di matrice "jihadista" propagandati dall'organizzazione criminale (In motivazione, la Corte ha precisato che, nella fattispecie in esame, la condotta si caratterizza per la sua connotazione "individuale" ed in quanto l'adesione alla richiesta di arruolamento proveniente dalla rete terroristica non presuppone la prova della sua accettazione da parte della stessa).

contra Cass. pen., Sez. VI, 7 maggio 2019, n. 23828 - In tema di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, la nozione di "arruolamento" è equiparabile a quella di "ingaggio", per esso intendendosi il raggiungimento di un serio accordo tra soggetto che propone il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo e soggetto che aderisce.

Il caso

La Corte di appello confermava la condanna del ricorrente per il reato previsto dall'art. 270-quater c.p., per essersi lo stesso arruolato nell'organizzazione terroristica Jabbat al Nusra, collegata, e intranea, alla rete di Al Qaeda.

Veniva, quindi, proposto ricorso per cassazione con il quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto non vi era effettivamente alcun riscontro probatorio in ordine alla ricorrenza di un “serio accordo” tra arruolato e arruolante, essendo emersa al massimo la volontà del ricorrente di condividere l'ideologia della rete integralistica riferibile all'associazione Al Qaeda e la sua disponibilità ad eventualmente assumere il ruolo di fiancheggiatore. In assenza della precisa individuazione del soggetto arruolatore, avrebbe potuto al massimo essere riscontrata la diversa condotta di auto-arruolamento.

In concreto, nel caso in esame, la Corte di appello aveva invece rilevato che il ricorrente, a seguito di un percorso di progressiva radicalizzazione, si era messo materialmente a disposizione dell'organizzazione terroristica, come emergente dalla pluralità di indizi acquisiti, tra i quali venivano considerati particolarmente rilevanti l'avvenuta realizzazione di un viaggio in Siria e un insieme di captazioni dalle quali era emersa la programmazione di un secondo viaggio per unirsi alla organizzazione Jabbat al Nusra, oltre al reperimento di consistente materiale informatico riconducibile a propaganda della dottrina jihadista.

La Corte di cassazione ha ritenuto corretto ed adeguatamente motivato il provvedimento del giudice di appello, rigettando il ricorso proposto.

La questione

La questione oggetto di interpretazione, da parte della decisione in commento, che evidenzia il consapevole contrasto con orientamenti precedenti della Corte di cassazione, è quella relativa alla necessità, quanto alla previsione di cui all'art. 270-quaterc.p., della ricorrenza, e conseguentemente della necessità di una piena prova, di “serio accordo” tra arruolato e arruolatore, con correlata necessità di individuare specificamente anche il soggetto arruolatore.

Quanto all'art. 270-quater c.p. occorre considerare che tale previsione normativa, come noto, caratterizzata dall'inserimento di una clausola di riserva (chiunque al di fuori dei casi di cui all'art. 270-bis c.p.), sanziona la condotta di coloro, che operando sul suolo italiano, arruolano persone destinate a svolgere attività delittuose specificamente indicate dalla norma. La caratteristica di questa previsione è quella di incriminare tutte le condotte volte a finalità di terrorismo, ancor prima della partecipazione all'associazione ex art. 270–bis c.p. (sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo anche se rivolti contro uno stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale).

La norma, introdotta dall'art. 15 del d.l. n. 144 del 2005 è volta a contrastare esplicitamente il fenomeno del terrorismo di matrice jihadista al fine di colpire chi recluta combattenti da inviare in campi di addestramento in paesi stranieri. Cass. pen., Sez. I, n. 49728 del 16 aprile 2018, Sergio Marianna, nel delineare i confini tra 270-bis e 270-quater c.p. ha richiamato la rilevante portata della clausola di riserva posta dal legislatore (con l'introduzione dell'art. 15, comma 1, del d.l. 27 luglio 2005 n. 144, conv. nella l. 31 luglio 2005, n. 155 e art. 1, comma 2, del d.l. 18 febbraio 2015, n. 2 conv. nella l. 17 aprile 2015, n. 43), evidenziando che tali fattispecie hanno portata residuale e si caratterizzano per una “tipicità ristretta” rispetto al delitto di partecipazione ad associazione di tipo terroristico.

Le attività di arruolamento e di organizzazione di trasferimenti con finalità di terrorismo possono, dunque, essere poste in essere solo quando non ricorra l'adesione alla struttura centrale, mentre qualora tali attività siano realizzate da soggetti già incardinati nella struttura terroristica le condotte risulteranno assorbite nella fattispecie ex art. 270-bis c.p., “concorrendo ad integrare segmenti del fatto tipico che contraddistingue il modello di incriminazione”.

Il principio affermato su questo tema da Sez. II, n. 23168 del 14 aprile 2019, Jrad, Rv. 276425 – 01 si pone in consapevole difformità rispetto al principio di diritto in precedenza espresso da Cass. pen., Sez. I, n. 40699 del 9 settembre 2015, PM c. Elezi, Rv. 264719 -01 (di recente in senso conforme anche Cass. pen., Sez. VI, n. 23828 del 07 maggio 2019, Veapi Ajhan, Rv. 276724 - 02), secondo la quale la nozione di "arruolamento" è equiparabile a quella di "ingaggio", per esso intendendosi il raggiungimento di un serio accordo tra soggetto che propone il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo e soggetto che aderisce. Sostanzialmente, si era mutuata la considerazione del concetto di arruolamento quale ingaggio di armati, evidenziando come tale condotta fosse connessa ad una sorta di inserimento del soggetto in una struttura militare, regolare o irregolare, che implichi un rapporto gerarchico fra comandanti e subordinati, come già parte della dottrina aveva osservato, richiamando anche interpretazioni relative alle previsioni di cui agli artt. 244 e 288 c.p. Solo con l'introduzione dell'art. 1 del d.l. n. 7 del 2015 è stato disposto che anche la persona arruolata è punita.

Le soluzioni giuridiche

La II sezione, nell'affermare il principio sopra riportato, ha voluto segnatamente marcare la distanza tra la fattispecie in esame e quella ex art. 270-bis c.p., giungendo ad un rigetto del ricorso proposto avversola sentenza della Corte di appello, che aveva ritenuto la piena prova della ricorrenza del delitto contestato a prescindere dallaprova effettiva del “serio accordo” tra arruolato e arruolante,essendo emersa effettivamente, a parere del giudice di merito,la volontà di condividere l'ideologia della rete integralista facente capo ad Al Qaeda e la sua disponibilità a fiancheggiarla, a prescindere dallaidentificazione del soggetto arruolante. Si afferma, dunque, che è sufficiente la prova dell'integrale disponibilità al compimento di tutte le azioni necessarie al raggiungimento degli scopi eversivi propagandati da Al Qaeda, caratterizzata dalla costante tensione verso l'arruolamento di individui che condividono il progetto eversivo di matrice jihadista.

Richiamata, quindi, anche la normativa internazionale di riferimento (risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2178/2014), si è sottolineato come una finalità tipica perseguita dalla risoluzione è quella di incidere in modo efficace rispetto al movimento di individui sospetti, prevedendo così condotte di reato riferibili a tipici atti preparatori, quale quello del viaggio al fine di partecipare o commettere atti terroristici, che, appunto, precedono la commissione di un atto terroristico. L'arruolamento si deve, dunque, caratterizzare perché finalizzato al compimento di atti violenti caratterizzati dalla finalità di terrorismo, per come identificate dalla disposizione di cui all'art. 270-sexies c.p. Il Collegio ha evidenziato che la previsione amplia di molto il perimetro delle condotte rilevanti in quanto caratterizzate da finalità di terrorismo, al fine di “contrastare l'incessante assorbimento nella rete terroristica di individui che si rendono disponibili alla consumazione di atti stragisti, non necessariamente progettati e delegati dagli organi dell'associazione centrale, ma spesso ideati e realizzati isolatamente dall'arruolato, che li percepisce come un necessario tributo alla causa jihadista e alla militanza nella rete facente capo ad Al Qaeda”. In tal senso si è osservato che ciò che caratterizza la condotta di arruolamento, sanzionata dal comma 2 del c.p., “è pertanto la incondizionata messa disposizione dell'arruolato per la commissione di atti funzionali al raggiungimento degli obiettivi della jihad”.

Il segno distintivo della condotta sanzionata è identificato nella sua connotazione individuale, che lo distingue in modo netto dalla consapevole condotta di partecipazione, che presuppone un collegamento, seppur indiretto e flebile con l'associazione principale. (Cass. pen., Sez. V, n. 50189 del 13 luglio 2017, Bekaj, Rv. 271645 – 01, 271646 – 01, 271647 – 01, Cass. pen., Sez. VI, n. 40348 del 23 febbraio 2018, Afli Nafaa, Rv. 274217 – 02, Cass. pen., Sez. VI, n. 14503 del 19 dicembre 2017, dep. 2018, Messaoudi, Rv. 272730 – 01, 272731 – 01). Anche in questo caso, un elemento di specificazione rilevante è rappresentato dall'osservazione per cui “per meglio inquadrare la condotta di arruolamento deve essere chiarito che la richiesta di adesione proveniente da Al Qaeda o dalle sue cellule delocalizzate non è assimilabile alle proposte di reclutamento che provengono da associazioni criminali classiche”. Tale associazione si caratterizza, infatti, per la sua capacità di accrescimento con modalità liquide, “attraverso una richiesta di adesione, diffusa in modo globale e capillare, per lo più attraverso canali telematici”.

Il Collegio sottolinea, infatti, la particolare portata del mezzo telematico, la diffusività del messaggio inviato a persone che, senza necessità di raggiungere un serio accordo, sono tuttavia disponibili a compiere atti a finalità terroristica, sebbene ancora non siano da ritenere associati e partecipi all'associazione terroristica madre.

Se si ragionasse in termini diversi, si giungerebbe, a parere del collegio, a un'impropria sovrapposizione tra la condotta a portata residuale dell'art. 270-quaterc.p.e la condotta di partecipazione all'associazione ex art. 270-bis c.p., limitando le finalità del legislatore volte all'ampliamento dell'area del penalmente rilevante rispetto a condotte che, appunto, non integrano la partecipazione all'associazione terroristica, con ciò realizzando quella particolare discrezionalità del legislatore nell'individuazione delle condotte alle quali collegare sia una presunzione assoluta di pericolo, sia della soglia di pericolosità alla quale fare riferimento, purché non risultino arbitrarie o irrazionali, come evidenziato già dalla Corte cost. con la sentenza n. 333 del 1991. Il Collegio ha in tal senso evidenziato che la stessa relazione illustrativa, quanto alla previsione in questione, chiarisce la portata e l'ambito applicativo dell'art. 270-quater (obbedienza anche a prescindere dall'assunzione di un ruolo funzionale, anche al fine di partire e raggiungere i luoghi ove si consumano le azioni terroristiche).

Una previsione che tende, dunque, a reprimere principalmente la dimensione individuale della condotta, da considerare sempre in modo compatibile e rispettoso del principio di offensività, rilevando non la mera condivisione dell'ideologia jihadista, quanto la concreta disponibilità a compiere atti con finalità terroristica. La “disponibilità ad impegnarsi in concreto nella consumazione di atti con finalità terroristica”.

Al contrario, Cass. pen., Sez. VI, n. 23828 del 7 maggio 2019, Veapi Ajhan, Rv. 276724 - 02, si è espressa in senso difforme, ribadendo invece il principio enunciato da Cass. pen., Sez. I, n. 40699 del 9 settembre 2015, PM c. Elezi, Rv. 264719 - 01, secondo il quale “In tema di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, la nozione di "arruolamento" è equiparabile a quella di "ingaggio", per esso intendendosi il raggiungimento di un serio accordo tra soggetto che propone il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo e soggetto che aderisce.”

La VI sezione, affrontando un caso particolare, ovvero quello del concorso di un terzo nell'attività di arruolamento in considerazione della sua particolare funzione (nel caso di specie quale consigliere del centro islamico di Pordenone), ha annullato con rinvio la decisione della Corte d'assise di appello che aveva condannato l'imputato per il delitto di cui agli art. 110 e 270-quater, comma 1, c.p. Nel rilevare, sostanzialmente, una carenza motivazionale quanto al ruolo svolto dall'imputato e all'effettivo riscontro dell'apporto causalmente efficiente all'attività di arruolamento sulla base delle emergenze processuali, la VI sezione ha fornito delle indicazioni rilevanti nel delimitare l'area di operatività della previsione ex art. 270-quaterc.p.

Richiamata la clausola di riserva rispetto all'art. 270-bis c.p., si è considerata la ratio della disposizione volta ad ampliare l'area di azione della tutela penale, in quanto destinata a colpire condotte con finalità di terrorismo anche internazionale commesse in Italia da soggetti che non risultano aderenti ad un'associazione ex art. 270-bis c.p., così come la finalità di evitare che, in presenza di condotte di arruolamento che non espongano a pericolo lo Stato italiano, possano rimanere senza pena coloro che tuttavia svolgono materialmente tale azione, senza integrare gli estremi dei reati di cui all'art. 244 e 288 c.p., né quello di reclutamento di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1995.

Analizzando la disposizione oggetto di contestazione, il collegio ha osservato che il legislatore della novella ha inteso distinguere la condotta di arruolamento da quella di reclutamento, e proprio per questo è necessario definirne i contorni applicativi.

In tal senso si è affermato che “l'attività di reclutamento, cui fa riferimento il citato preesistente art. 4 della l. n. 210 del 1995 è configurabile laddove, non solo sia stata raggiunta un'intesa per l'inserimento in una struttura militare o paramilitare di un soggetto disponibile al compimento delle relative operazioni ivi descritte, ma vi sia stato anche l'inquadramento, una presa di servizio del reclutato nella struttura militare”, mentre “l'arruolamento deve ritenersi fondatamente indicare qualcosa di meno, cioè solo il mero raggiungimento di un accordo finalizzato all'inserimento di tale soggetto nella struttura militare terroristica: reato, dunque configurabile, prescindendo dall'effettivo successivo inserimento dell'arruolato in quella struttura”.

Fatta questa premessa, si rileva come occorra, comunque, che il bene giuridico protetto sia concretamente messo in pericolo, ed è per questo che solo in presenza del raggiungimento di “un serio accordo tra il soggetto che propone il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero il sabotaggio con finalità di terrorismo e il soggetto che aderisce all'intesa” si può ritenere integrata quella soglia di pericolosità che caratterizza la previsione penale, in mancanza della quale sarebbe al massimo possibile giungere all'applicazione di una misura di sicurezza ex art. 115 c.p. È rilevante, in tal senso, la considerazione di tale disposizione come “reato di evento a forma libera”, che richiede, per la sua configurazione, che si realizzi un risultato ben tipizzato, senza che, tuttavia, siano state indicate specificamente le modalità di produzione.

Nel passare poi all'analisi del caso concreto, ovvero la possibilità del concorso di un terzo nel delitto in esame, la Corte ha precisato come solo con il d.l. n. 7 del 2015, con l'introduzione del secondo comma dell'art. 270-quaterc.p., è stata prevista la responsabilità penale del soggetto arruolato (al fine di far rientrare nell'alveo della previsione penale anche le condotte pericolose di soggetti, come i foreign fighters, che avessero aderito all'accordo di arruolamento senza essere parte dell'associazione terroristica), sicché prima della data di entrata in vigore della predetta previsione “una responsabilità a titolo di concorso morale o materiale è ipotizzabile solamente con riferimento alla condotta tipica del solo arruolatore”. Ciò posto, il collegio ha richiamato analiticamente la funzione del concorso di persone nel reato ed ha precisato che, occorrendo in questi casi che la condotta del terzo non diretto arruolatore o arruolato sia “legata in maniera strumentale alla condotta degli altri agenti che ne hanno tratto vantaggio o beneficio”, è possibile che del delitto di cui all'art. 270-quaterc.p. sia chiamato a rispondere non solo colui che è parte diretta del serio accordo di ingaggio, ma anche colui che, pur “non potendo essere tecnicamente qualificato come arruolatore o arruolato, pone in essere una condotta consapevole e volontaria, che si inserisce in maniera funzionalmente strumentale nella trama complessiva del fatto di cui gli altri concorrenti traggono vantaggio o beneficio e che, perciò, può considerarsi anch'essa causa di quell'evento”. La decisione è stata, dunque, annullata con rinvio occorrendo chiarire e definire quale fosse stato effettivamente il ruolo che nella vicenda aveva avuto il ricorrente.

Osservazioni

Le decisioni analizzate evidenziano un diverso approccio alla materia dei reati di terrorismo, con particolare riferimento alle tematiche sempre aperte dell'effettiva ricorrenza di un'offensività reale delle condotte sanzionate e del limite che deve caratterizzare, in senso tipizzante, l'effettiva anticipazione della soglia di rilevanza penale della condotta realizzata dal legislatore con l'introduzione della normativa in tema di reati di terrorismo ex artt. 270-bis e ss. c.p.

In tal senso, occorre considerare come le due diverse soluzioni proposte sembrano risentire delle iniziali distinzioni che hanno caratterizzato in una prima fase la giurisprudenza di legittimità quanto all'identificazione degli elementi caratterizzanti la partecipazione all'associazione ex art. 270-bis c.p.

Elemento, questo, di fondamentale rilevanza anche rispetto alle questioni analizzate dalle due sentenze sopra richiamate, attesa la presenza della clausola di riserva quale elemento caratterizzante l'art. 270-quater c.p.

Ne consegue, in un tentativo di ricostruzione dell'ambito applicativo delle disposizioni in materia di terrorismo, specialmente se connotato da matrice ideologico religiosa, che la definizione della condotta di partecipazione e la sua portata svolge una funzione fondamentale nella definizione del perimetro applicativo della condotta sanzionata in via residuale dall'art. 270-quater c.p.

In tal senso, occorre considerare che la giurisprudenza più recente della Corte di cassazione, in una interpretazione a carattere evolutivo, ha precisato che il terrorismo, anche se non qualificato come finalità dall'art. 270-bis c.p., non costituisce solo un obiettivo illecito, ma un vero e proprio “modus operandi”, uno strumento di lotta e di pressione efferato che colpisce persone e beni non identificabili con l'avversario istituzionale. (Cass. pen., Sez. I, n. 31344 del 6 ottobre 2020, Abo Robeih Tarif).

In particolare, la Corte di cassazione ha in diverse decisioni affermato che la condotta partecipativa - rispetto alla quale era stato segnalato il rischio di un eccessivo ampliamento dell'ambito applicativo, con sostanziale possibilità di uno svuotamento del controllo giurisdizionale relativo la necessaria materialità ed offensività della stessa - è da valutare tenendo conto del paradigma tipico di tale speciale associazione, anche per come disegnato dagli strumenti giuridici internazionali ed europei e, conseguentemente, dal legislatore interno, sicché si è affermato che, a meno di evitare “torsioni interpretative eccessive”, non può essere valutata e analizzata nei suoi elementi significativi alla stregua delle associazioni a delinquere tradizionali e, segnatamente, di stampo mafioso (Cass. pen., Sez. II, n. 14704 del 22 aprile 2020, Bekaj, Rv. 279408-02, 279408-03).

Si è, quindi, affermato che:

  • il fenomeno associativo, nella sua declinazione delle associazioni con finalità terroristiche, assume rilevanza quando manifesti caratteri tali da rendere non ipotetico, né meramente eventuale il pericolo che la norma intende contrastare, ciò secondo alcuni indici tipicamente sintomatici individuati dalla giurisprudenza (esistenza di un apparato organizzativo, mezzi e persone allo scopo, possibilità di attuare il programma di esecuzione di atti di violenza con finalità indicate dall'art. 270-sexies c.p.);
  • occorre il riscontro della necessaria determinatezza della fattispecie, garantita dal requisito minimo dell'organizzazione, che deve così presentarsi come soggetto in grado di compiere effettivamente gli atti di violenza per finalità di terrorismo;
  • elemento di riferimento fondamentale è la tipicità del fatto, tuttavia connotato dall'evidente volontà del legislatore di realizzare un'anticipazione di tutela rispetto alla commissione dei singoli atti di violenza che formano l'oggetto dell'accordo tra gli associati, sicché emerge la ratio della disciplina apprestata dal legislatore, che ha ritenuto che le esigenze di tutela della collettività possano essere pregiudicate sin dalla mera costituzione dell'associazione a prescindere dalla predisposizione di un programma di azioni terroristiche;
  • non può essere omessa la considerazione della necessaria correlazione della fattispecie con il principio della personalità della responsabilità penale, il che comporta una puntuale determinazione e interpretazione della nozione di partecipazione del singolo alla associazione, inquadrate nell'ambito dei reati a forma libera, per cui assumono rilievo “in ragione del coefficiente di idoneità causale della condotta” e, dunque, del contributo alla realizzazione della finalità dell'associazione. Si è in sostanza affermato che non sia possibile delineare una struttura tipica, fissa e ricorrente in modo obiettivo, di associazione, mentre in realtà “è l'interprete a dover ricondurre il fenomeno storico in una determinata categoria giuridica, riscontrandone gli elementi tipizzanti.” (Cass. pen., Sez. II, n. 38208, del 27 aprile 2018, Waqas).

Ciò posto, le decisioni più recenti della Corte di cassazione hanno definito la natura del contributo alla associazione come “smaterializzata”, tenendo in precipua considerazione la portata e massima diffusività dei mezzi telematici utilizzati da tali associazioni, sia a fine di propaganda, che di proselitismo ed aggregazione di nuovi adepti per le sue finalità tipiche. È, dunque, progressivamente emersa la considerazione delle diverse forme di organizzazione che caratterizzano tali associazioni, spesso mediante l'utilizzo di canali riservati, produzione di documentazione veicolata attraverso canali indipendenti e occulti, verticismo e ruoli di promozione proprio per il tramite dei social media e mediante un utilizzo accorto di chiavi riservate, codici segreti e sfruttamento del c.d. deep e dark web. Ciò posto, si è evidenziato come il principio a suo tempo pronunziato da Cass. pen., Sez. VI, n. 14503 del 19 dicembre 2017, dep. 2018, Messaoudi Rv. 272730 – 01, 272731 – 01 non possa essere inteso correttamente, se non considerando il caso concreto sottoposto all'esame, nell'ambito del quale il giudice al quale è stata rinviata la decisione sulla misura cautelare impugnata, aveva omesso di considerare la rilevanza di alcuni elementi oggettivi, chiaramente sintomatici di un coinvolgimento nell'associazione (in particolare, una serie di contatti tra l'indagato ed esponenti di punta tunisini dell'associazione al momento del suo rientro in patria, così come l'aver lo stesso inneggiato al successo dell'attentato di Sousse, posto in essere in data 26 giugno 2015 in Tunisia). La conclusione seguita dalla VI sezione non escluderebbe, dunque, in alcun modo, la validità dell'impostazione secondo la quale già la vocazione al martirio indica una condivisione degli obiettivi dell'associazione (che si devono poi concretizzare, come detto, in atti materiali di partecipazione), ma semplicemente propone in modo diverso, la necessaria correlazione tra l'adesione all'associazione nella sua vasta diffusività e la prova dell'effettiva partecipazione nel realizzarne gli obiettivi (ad esempio richiamando lo schema associativo ex art. 416-bisc.p. e, in tal senso, inserendo elementi di caratterizzazione del tutto distinti rispetto all'associazione di tipo terroristico, che richiede, nell'interpretazione costante della precedente giurisprudenza di legittimità, l'utilizzo di strumenti di valutazione del tutto autonomi proprio per la particolarità del fenomeno in questione). E, d'altra parte, la ricorrenza di quel legame flessibile, ma concreto e consapevole, appare certamente desumibile, dalla vocazione al martirio e dalla piena condivisione dei messaggi ideologici e religiosi dell'associazione, apparendo necessario declinare, in modo consapevole e coordinato con l'atteggiarsi materiale di tali associazioni, rispetto a tale ormai consolidata costruzione, la richiesta necessità di avere conoscenza della messa a disposizione, al fine di poter contare su un determinato soggetto, anche indirettamente; a meno di non voler intendere il concetto di conoscenza indiretta della messa a disposizione come un caso di conoscenza a posteriori. Una diversa, e più formalistica, lettura di questa decisione rappresenterebbe, secondo la Corte, un serio ostacolo alla ratio dichiarata del legislatore, nel quadro giuridico internazionale ed interno, nella previsione del reato in questione. Determinerebbe l'oggettiva impossibilità di considerare come significative tutte le condotte poste in essere, “anche individualmente”, da soggetti collocati in zone del mondo occidentale del tutto distinte, e senza alcun punto di contatto con la zona asseritamente di riferimento per la struttura principale dell'associazione con finalità di terrorismo (dato questo a sua volta difficilmente riscontrabile e di complicata prova, considerato che l'associazione in questione si caratterizza per clandestinità e diffusività capillare in diversi continenti, per cui non appare chiaro, a parte il caso concreto, verso quale ambito e in che condizioni il requisito richiesto si potrebbe ritenere soddisfatto).

In tal senso diverse decisioni recenti hanno affermato che l'organizzazione Al Qaeda si caratterizza per un “proselitismo di tipo informatizzato”, su base planetaria, “ad adesione aperta, anche se non indiscriminata”, per la diffusione del suo messaggio politico e religioso attraverso cellule “figlie”, che, aderendo al programma, svolgono un “ruolo del tutto strumentale” per la realizzazione del fine criminoso, sicché le cellule “figlie” consentono, concretamente, la più efficace forma di proselitismo - fornendo supporti didattici operativi quanto all'individuazione di obiettivi sensibili, utilizzazione di bombe o esplosivi, suggerimenti per rendere credibile il rischio di attentati - allo scopo di realizzare le finalità criminose dell'organizzazione. Si è evidenziato in modo esplicito il “ruolo” servente e “strumentale” delle cellule “figlie” rispetto alla casa madre, ponendo particolare attenzione al mezzo che le caratterizza, ovvero la possibilità di un “proselitismo di tipo informatizzato su base planetaria”. Tale tipo di proselitismo è sintomatico dell'efficacia e portata incisiva dell'attività delle singole cellule figlie che, per il tramite di specifico materiale fornito dalla casa madre, mediante un progressivo inserimento dell'aderente in contesti e meccanismi di controllo e fidelizzazione, rende esponenziale le potenzialità dell'associazione e la possibilità di rendere effettiva la realizzazione di condotte che ne concretizzino i fini. Chiarendo, inoltre, il concetto di “messa a disposizione” nell'ambito delle associazioni con finalità di terrorismo, con particolare riferimento a quella a matrice ideologico religiosa, si è proposta un'ermeneusi volta a precisare e connotare precipuamente, al fine del reale rispetto del principio di offensività, i comportamenti significativi di chi decide di aderire e poi partecipare attivamente all'associazione. (Cass. pen., Sez. II, n. 7808 del 27 febbraio 2020, El Khalfi, Rv. 278680-01, Rv.278680- 02).

Infine si è sottolineato come il discrimine con l'adesione ideologica e il concreto contributo causale deve essere dunque “individuato in relazione alle specifiche vicende indagate, tenendo conto della c.d. notorietà bilaterale, quale concreto indice del raccordo dell'azione del singolo a quello della rete organizzativa ISIS”, che si manifesta con “carattere necessariamente flessibile e multiforme ed è compatibile anche con comportamenti di esteriorizzazione ed attualizzazione (secondo il parametro della offensività in concreto) di percorsi individuali di radicalizzazione e non postula di necessità una militanza consacrata dalla conoscenza e consapevolezza dei vertici associativi (Cass.pen., Sez. II, n. 14704 del 22 aprile 2020, Bekaj, Rv. 279408 – 02, Rv. 279408 - 03, Rv. 279408- 04).

Se, dunque, gli orientamenti più recenti della giurisprudenza di legittimità hanno fornito chiare indicazioni volte a qualificare in termini di smaterializzazione, tenuto conto della c.d. notorietà bilaterale, il contributo partecipativo all'associazione ex art. 270-bis c.p. così delimitando il contatto seppur flebile con la casa madre, sembra complicato attribuire alla condotta di cui all'art. 270-quater c.p. caratteristiche come quelle descritte dalla sentenza in commento della VI Sezione penale, a meno di non voler giungere non solo ad una sovrapposizione delle due condotte disciplinate dall'art. 270-bis e dall'art. 270-quater c.p., ma addirittura ad una maggiore rigidità di presupposti e requisiti per la condotta di cui all'art. 270-quater c.p. In tal senso forse, tenendo conto della ratio della disposizione, della sua origine e dell'inevitabile riferimento alla legislazione internazionale su questo tema (con particolare riferimento al Protocollo alla Convenzione d'Europa per la repressione del terrorismo, che attribuisce piena rilevanza penale ai c.d. “atti preparatori”, contemplando nuovi fatti di reato direttamente collegati al fenomeno dei combattenti terroristi stranieri (Foreign Terrorist Fighters FTF), il richiamo ad una diversa disciplina, non direttamente correlata alla normativa in tema di terrorismo internazionale, per definire il concetto “serio accordo”, avvicinandolo al concetto di ingaggio, potrebbe apparire eccentrico e non del tutto coerente. Se, effettivamente, deve essere considerata la portata della clausola di riserva, oltre alla volontà del legislatore di attribuire rilevanza al movimento di individui sospetti e desiderosi di recarsi in zone di combattimento, pur non ancora affiliati alla casa madre, appare allora la particolare rilevanza della analisi della II sezione penale, che richiede pur sempre il riscontro di elementi significativi di incondizionata messa a disposizione anche del singolo al fine di raggiungere il proprio obiettivo (nel caso concreto il voler andare a combattere in Siria), ma richiama anche l'offensività di tutte quelle condotte di intermediazione e condizionamento che non rappresentano ancora forme di partecipazione vera e propria e che, pur tuttavia, sono state ritenute dal legislatore significative di effettiva pericolosità.

Guida all'approfondimento

Viganò, Terrorismo di matrice islamico – fondamentalista e art. 270–bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. Pen. 2007, p.3953;

De Marinis Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione prassi giurisprudenziale, in Diritto penale contemporaneo, 2017;

Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli, 2013;

Fasani, Il decreto antiterrorismo – Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. Pen. proc. 2015, n. 8, 947;

Marino, Lo statuto del terrorista: tra simbolo e anticipazione, in Diritto penale contemporaneo, 1/2017.

In giurisprudenza:

Cass. pen., Sez. I, n. 40699/2015, PM c. Elezi, Rv. 264719 -01

Cass. pen., Sez. V, n. 50189/2017, Bekaj, Rv. 271645 – 01, 271646 – 01, 271647 – 01

Cass. pen., Sez. VI, n. 40348/2018, Afli Nafaa, Rv. 274217 – 02

Cass. pen., Sez. VI, n. 14503/2017, dep. 2018, Messaoudi Rv. 272730 – 01, 272731 – 01

Cass. pen., Sez. I, n. 49728/2018, Sergio Marianna

Cass. pen., Sez. I, n. 31344/2020, Abo Robeih Tarif

Cass. pen., Sez. II, n. 38208/2018, Waqas

Cass. pen., Sez. II, n. 7808/2020, El Khalfi, Rv. 278680-01, Rv.278680- 02

Cass. pen., Sez. II, n. 22163/2019, Pg c Antar, Rv. 276065 – 01

Cass. pen., Sez. II, n. 14704/2020, Bekaj, Rv. 279408 – 02, Rv. 279408 - 03, Rv. 279408- 04

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