Cassazione: esclusa la responsabilità penale dell'imputato alla luce della nuova disciplina dell'abuso d'ufficio

Redazione Scientifica
14 Gennaio 2021

Con sentenza n. 442/2021, la Corte di Cassazione ha ritenuto di non poter confermare la responsabilità dell'imputato per il reato di abuso d'ufficio, a fronte dell'assenza della «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» di cui all'art. 323 c.p., come introdotto dal d.l. n. 76/2020, convertito dalla l. n. 120/2020.

Con sentenza n. 442/2021, la Corte di Cassazione ha ritenuto di non poter confermare la responsabilità dell'imputato per il reato di abuso d'ufficio, a fronte dell'assenza della «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» di cui all'art. 323 c.p., come introdotto dal d.l. n. 76/2020, convertito dalla l. n. 120/2020.

La Corte d'Appello confermava la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato l'imputato alla reclusione e all'interdizione di pubblici uffici, oltre che al risarcimento danni a favore della parte civile, per il reato di abuso d'ufficio.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso i difensori dell'imputato sottolineando le modifiche normative introdotte all'art. 323 c.p. dall'art. 23, comma 1, d.l. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020, oltre all'intervenuta prescrizione del reato fina dall'agosto 2019, prima della pronuncia della Corte d'Appello.

Posto che il delitto si è effettivamente estinto per prescrizione il 22 agosto 2019 ex art. 159, comma 1, n. 3, c.p., trascorso il termine di 7 anni e 6 mesi decorrente dal 22 dicembre 2010, cui andava aggiunto il periodo di sospensione del corso della prescrizione per le sospensioni del giudizio di primo grado e per quelle disposte nel giudizio di appello, la Cassazione pone l'accento sulla questione relativa alla recente formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dal d.l. 76/2020, convertito dalla l. n. 120/2020, che ha modificato il reato di abuso d'ufficio, sostituendo le parole «di norme di legge o di regolamento» con quelle «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Quest'ultima frase identifica i nuovi elementi della fattispecie oggetto della violazione penalmente rilevante. La nuova formulazione «pretende che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, dalla violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa, che per un verso siano fissate dalla legge e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali».
Ne è dipeso, così, un ambito applicativo ben più ristretto rispetto a quello definito con la previgente definizione della modalità di condotta punibile, che sottrae al giudice sia l'apprezzamento dell'inosservanza di principi generali o di fonti normative di tipo regolamentare, sia il sindacato del mero cattivo uso della discrezionalità amministrativa.

Nella fattispecie, alla luce della sopravvenuta modifica normativa, la Corte di Cassazione ritiene di non poter confermare l'affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di abuso d'ufficio, risultando assente, nella sua condotta, «la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

Fonte: Diritto e Giustizia

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