Per un diritto penitenziario costituzionale: prime applicazioni in materia di permessi premio per l'ergastolano ostativo

Veronica Manca
28 Gennaio 2021

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 le istanze di permesso premio presentate dal detenuto condannato alla pena per uno o più delitti di cui al comma 1 dell'art. 4-bis l. n. 354/1975 sono ammissibili e quindi giudicabili nel merito dalla Magistratura di Sorveglianza, anche in difetto...
Massima

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 le istanze di permesso premio presentate dal detenuto condannato alla pena per uno o più delitti di cui al comma 1 dell'art. 4-bis l. n. 354/1975 sono ammissibili e quindi giudicabili nel merito dalla Magistratura di Sorveglianza, anche in difetto di previa collaborazione utile con la giustizia o accertamento di una forma di collaborazione c.d. "fittizia" (ai sensi del comma 1-bis dell'art. 4-bis). Nel merito, dovranno essere valutati i requisiti (i) del percorso intramurario e (ii) della pericolosità sociale da verificarsi sia come assenza di collegamenti attuali con la criminalità sia come impossibilità di ripristino dei contatti interrotti dalla lunga carcerazione

Il caso

Il caso riguarda la richiesta di permesso premio presentata da un detenuto condannato alla pena dell'ergastolo, a titolo “ostativo”, perché frutto di un cumulo di condanne per reati inseriti nel comma 1 dell'art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (v. l. n. 354/1975, d'ora in poi solo ord. penit.). Un ergastolo particolare, dato che gli effetti della pena sono sine die, trattandosi appunto, in altri termini, di un “fine pena mai” con delle conseguenze ancora più afflittive sulle modalità di espiazione di tale pena senza fine, dato che non è possibile accedere, nemmeno per poche ore, ad un permesso premio all'esterno, senza il previo accertamento dell'avvenuta collaborazione utile con la giustizia (in alternativa all'accertamento giudiziale dell'impossibilità della collaborazione c.d. “fittizia”, perché irrilevante, impossibile o inesigibile, ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1-bis ord. penit.). Con la sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità del comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., nella parte in cui subordina alla sola collaborazione, l'accessibilità – anche solo in astratto in punto di ammissibilità – al beneficio penitenziario del permesso premio. Una sentenza epocale, attesa per molti decenni, che ha finalmente cristallizzato un orientamento evolutivo della giurisprudenza costituzionale diretto ad eliminare (o ridurre) tutti quei meccanismi presuntivi di pericolosità sociale introdotti dal legislatore nel corso del tempo e che hanno condizionato fortemente l'esecuzione della pena detentiva, ma non solo (v. la materia delle misure cautelari o della sospensione dell'esecuzione della pena). La Consulta infatti ha saputo, nel tempo, a partire da altre precedenti pronunce come quella n. 149 del 2018, per il condannato alla pena dell'ergastolo per il reato di sequestro di persona a scopo estorsivo o eversivo, o, quelle nn. 239 del 2014, 76 del 2017 e 211 del 2018, in materia di detenzione domiciliare speciale per la detenuta madre, raggiungere un più equilibrato bilanciamento di interessi tra le istanze preventive, di difesa sociale, più tipiche della fase investigativa e del processo penale, e quelle rieducative e risocializzante, maggiormente rispondenti all'esecuzione della pena detentiva: il punto dolente da affrontare è sempre stata la natura assoluta della presunzione normativa della pericolosità sociale che impediva al giudice – al magistrato di sorveglianza – di indagare nel merito l'istanza dell'interessato. La conseguenza processuale della tecnica normativa dell'assolutezza è l'inammissibilità: qualsiasi istanza, anche la più fondata o la più articolata, non può essere valutata dal magistrato di sorveglianza. A questo punto inizia la storia processuale del detenuto, il quale, a fronte dell'ennesima istanza dichiarata inammissibile, ha adito la Corte costituzionale, eccependo l'illegittimità del disposto normativo del comma 1 dell'art. 4-bis e 58-ter ord. penit. per l'impossibilità di accedere al beneficio del permesso premio, in mancanza di una collaborazione con la giustizia (o utile ed effettiva o “fittizia”). In tale procedimento, infatti, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, rilevato il reclamo per inammissibilità da parte del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, ha inteso sospendere l'esame del caso per rimettere la questione alla Corte costituzionale (procedimento riunito a quello già sospeso dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, con ord. n. 57913/2018).

La questione

A distanza di mesi dalla sentenza Corte cost. n. 253 del 2019, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia è ora chiamato a valutare nel merito la richiesta del detenuto, non essendo più dubbia l'ammissibilità dell'istanza presentata. Trattasi quindi di un'ordinanza nel merito, che riesamina la posizione intramuraria del detenuto e tiene conto delle informative di polizia per la valutazione del profilo della pericolosità sociale esterna. Il Collegio segue le indicazioni della Consulta nella misura in cui, per il superamento della presunzione – relativa grazie alla Corte costituzionale – è necessario verificare che non vi siano collegamenti attuali del detenuto con la criminalità (organizzata di stampo mafioso) e vi siano elementi tali che inducano il Tribunale a constatare l'impossibilità del pericolo di ripristino di quei collegamenti, interrotti dal tempo e dalla lunga carcerazione. Serve perciò che tali elementi di valutazione emergano in modo significativo dall'esame della posizione del detenuto e vengano ripresi chiaramente all'interno della motivazione.

Così il Tribunale attesta che il detenuto (i. percorso intramurario) ha affrontato nel corso degli anni un percorso intramurario eccellente, raggiungendo anche risultati importanti nella formazione universitaria; la condotta intramuraria risulta regolare e si dà conto della proposta dell'Amministrazione penitenziaria per la declassificazione del detenuto dal circuito di Alta sicurezza al circuito di media sicurezza. Non sussistono quindi motivi ostativi dal punto di vista della pericolosità sociale interna. Elemento di valutazione per il Tribunale sono state ovviamente le numerose relazioni di sintesi, redatte nel corso della lunghissima detenzione, iniziata nel 1995, per dare atto anche di un'evoluzione della personalità del detenuto e dei risultati ottimali rappresentati negli ultimi documenti (sono stati acquisiti anche gli elenchi dei colloqui svolti duranti la detenzione, per verificare i rapporti con l'esterno, in sede di colloqui con i familiari, visivi e telefonici). Fondamentali diventano poi le informative di polizia (ii. attualità dei collegamenti con la pericolosità sociale e iii. impossibilità del pericolo del loro relativo ripristino). Il Collegio esamina in primo luogo le informative della DDA e della DNA, quelle più recenti, ritenendo che, in sostanza, ripercorrano, a grandi linee, le precedenti informative: tali documenti attestano il pregresso; i trascorsi criminali del detenuto all'interno del contesto sociale di riferimento. Maggiormente attuali e più rispondenti alla fotografia dell'oggi sono le informazioni fornite dalle Questure locali che rilevano l'assenza di collegamenti con contesti criminali sia per l'interessato sia per i membri della famiglia. Sull'esame della famiglia vengono in soccorso anche le argomentazioni della difesa e le relazioni della Guardia di Finanza che non segnalano elementi sospetti né tenori di vita sopra la media non giustificati. Trattasi, quindi, nel complesso di un'istruttoria molto complessa, che va oltre quelli che sono gli elementi di prova richiesti dalla Consulta, andando infatti a sindacare la posizione economica della famiglia; i rapporti esistenti tra il detenuto ed i propri familiari e quelli appartenenti al contesto sociale di provenienza; i rapporti epistolari tra gli stessi, così come i documenti di contatto tra il detenuto ed i familiari per i colloqui visivi e quelli telefonici. Indici sintomatici, suggeriti da una parte della dottrina e dai primi commentatori, quali filoni di indagine per rilevare la pericolosità sociale esterna del detenuto, che non si basi solo su asserzioni generiche della posizione storica del detenuto all'interno del clan di appartenenza.

Un'indagine molto articolata, per cui il Tribunale ha analizzato ogni minimo dettaglio, arrivando alla conclusione – sulla base di elementi fattuali di vario tipo – che il detenuto fosse meritevole di un momento di sollievo, di una giornata all'aperto, da trascorrere con i propri familiari all'esterno. Un permesso, quindi, molto contenuto sia a livello temporale sia a livello spaziale.

Lo svolgimento del permesso è all'interno del Comune in cui si trova la struttura penitenziaria con l'accompagnamento del familiare da e per il carcere. In questo modo, il Collegio, pur accogliendo l'istanza del detenuto, contiene quelle che sono le istanze di sicurezza sociale: l'accesso ai benefici penitenziari, tramite i permessi premio, dovrà avvenire gradualmente, attribuendo sì fiducia al detenuto, sulla base del suo percorso intramurario, ma consegnandogli la piena responsabilità circa la progressione (quanto meno rispetto alla fruizione di permessi premio più lunghi temporalmente o in luoghi diversi dal Comune della struttura carceraria, verosimilmente nella propria città di provenienza).

La progressione potrà avvenire solo per i permessi premio, essendo ad oggi precluso l'accesso alle altre misure alternative (v. semilibertà) o benefici penitenziari (v. lavoro all'esterno) per il detenuto non collaborante, dato che la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 non si estende oltre il permesso premio; ciò in attesa di conoscere l'esito – forse meno scontato – della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con ord. n. 18518, rispetto alla liberazione condizionale (con udienza fissata al 24 marzo 2021).

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento rappresenta sicuramente un modello valido di argomentazione delle principali questioni che la Magistratura di Sorveglianza è chiamata a decidere in relazione alle richieste di permesso premio, presentate successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, per tutti i condannati c.d. “non collaboranti”, sia ai sensi dell'art. 58-ter ord. penit., sia ai sensi dell'art. 4-bis comma 1-bis ord. penit. (perché non hanno mai inteso collaborare né avanzare richiesta incidentale di collaborazione c.d. impossibile, inesigibile o irrilevante o perché dopo averla presentata quest'ultima è stata respinta anche nel merito dell'analisi delle sentenze di condanna). Tali argomentazioni possono essere uno schema di ragionamento, non tanto per i Tribunali di Sorveglianza chiamati a decidere collegialmente, quanto per gli Uffici di Sorveglianza, che, con il novum della Corte costituzionale, diventano “abilitati” ad esaminare nel merito le istanze di permessi premio, presentati da condannati all'ergastolo c.d. “ostativo” e di tutti coloro che sono stati condannati per un delitto ricompreso all'interno del comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., anche se a pena detentiva temporanea. Trattasi di un nuovo compito, molto complesso e articolato, impegnativo, dato che l'istruttoria potrebbe dirsi composta di numerose componenti, da quelle intramurarie, a quelle di polizia: il punto dolente è dato, tuttavia, dall'assenza di un contraddittorio effettivo con la difesa che ben potrebbe agevolare il lavoro del magistrato di sorveglianza, sopperendo a carenze amministrative o lacune documentali. La preoccupazione è infatti quella di pensare che i singoli magistrati di sorveglianza, oberati da una mole di lavoro spesso disumana, non riescano a far fronte a istruttorie complesse e articolate, che potrebbero perdersi in tempistiche eccessivamente lunghe oppure incappare in carenze documentali, per l'impossibilità di reperire le informative in tempi contenuti rispetto alla richiesta.

Nonostante tale criticità, la prassi fa ben sperare, dato che il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, con ben due ordinanze – la precedente la n. 754/2020, ord. 16 luglio 2020 (dep. 23 luglio 2020) – ha saputo cogliere attentamente le questioni centrali evidenziate dalla Corte costituzionale, con la sent. n. 253 del 2019, riappropriandosi del compito tipico della “giurisdizione della rieducazione” di scandagliare la posizione soggettiva del condannato. Non sono le uniche: infatti, mano a mano che passano i mesi, iniziano a diffondersi le prime pronunce nel merito di alcuni detenuti c.d. “assolutamente ostativi”, dall'Ufficio di Sorveglianza di Sassari, a quello di Padova, a quello di Firenze, che, tra l'altro, ha applicato i principi della Corte costituzionale n. 32 del 2020 in materia di liberazione condizionale (per condannati ad un cumulo di pene comunque “ostative” per delitti commessi prima dell'8 giugno 1992, cioè prima dell'entrata in vigore della novella legislativa che ha ridisegnato in peius il comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit.).

Osservazioni

Alla luce degli ultimi sviluppi della giurisprudenza di merito si sta assistendo alla riscrittura parziale di una norma simbolo dell'ordinamento penitenziario, quella del 4-bis ord. penit. Una riscrittura congiunta che ha visto difensori, magistrati e giudici della Corte costituzionale sulla stessa linea, lungo un dialogo felice di principi e valori condivisi.

Si può parlare di un diritto penitenziario costituzionale o secondo Costituzione, espressione che dovrebbe rappresentare la normalità, essendo la Costituzione la legge suprema e la guida normativa che dovrebbe informare tutto il sistema della giustizia penale. Eppure tale espressione risuona comunque come una profonda novità, dato che l'esito delle riforme, la ratio che muove il legislatore non sempre è attento ad un equilibrato bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti: con tale giurisprudenza “creativa” (e così deve essere definita, dato che quelle in commento, sono le prime pronunce in materia) è la prova tangibile di come, anche nella prassi, a fronte di una cornice di criteri direttivi all'interno di cui muoversi, è possibile raggiungere un equilibrio tra diversi interessi antagonisti, e che tale modello equilibrato debba costituire l'unica via da perseguire, per la tenuta stessa del sistema della giustizia penale e per la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, siano essi reclusi o liberi, quelli individuali e collettivi, allo stesso tempo.

Guida all'approfondimento

Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), IL FINE E LA FINE DELLA PENA. Sull'ergastolo ostativo alla liberazione condizionale, 2020, in http://www.amicuscuriae.it/;

Dolcini, Fassone, Galliani, Il diritto alla speranza. L'ergastolo nel diritto penale costituzionale, Giappichelli, 2019;

Dolcini, Fiorentin, Galliani, Magi, Pugiotto, Il diritto alla speranza davanti alle Corti. Ergastolo ostativo e articolo 41-bis, Giappichelli, 2020;

Fiorio, Ergastolo ostativo e diritto alla speranza? Sì, però... , in Processo penale e Giustizia, 2020, fasc. 3, 649-659;

Pelissero, Permessi premio e reati ostativi. Condizioni, limiti e potenzialità di sviluppo della sent. 253/2019 della Corte costituzionale, in La Legislazione penale, 2020, fasc. 3, 20;

Pugiotto, Due decisioni radicali della Corte costituzionale in tema di ostatività penitenziaria: le sentenze nn. 253 e 263 del 2019, in Rivista AIC, 2020, fasc. 1, 501-518;

Manca, Regime ostativo ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative, Giuffrè, 2020.

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