La doppia pregiudizialità: da un'architettura a «geometria fissa» ad una a «geometrie variabili»

08 Febbraio 2021

Il presente contributo ripercorre i più recenti arresti della giurisprudenza costituzionale in materia di «doppia pregiudiziale», partendo dall'impianto delineato fino al 2017 e passando, poi, all'analisi del nuovo corso inaugurato dalle pronunce della Corte costituzionale n. 269/2017 e nn. 20, 63 e 117/2019.
L'inquadramento del problema e la precedente architettura

Il problema della c.d. doppia pregiudiziale si pone ogniqualvolta il giudice nazionale, chiamato ad applicare una norma di diritto interno, dubiti che tale norma sia conforme tanto a Costituzione quanto al diritto dell'Unione europea direttamente efficace. In tal caso, occorre stabilire se il giudice, di fronte all'impasse, debba dapprima adire la Corte di giustizia dell'Unione europea mediante lo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ovvero la Corte costituzionale sollevando l'incidente di legittimità costituzionale.

Per affrontare la questione occorre fare un passo indietro.

E' noto che, allorquando il giudice ritenga che una norma interna confligga con norme di diritto euro-unitario direttamente efficaci, i ben noti principi del primato e dell'effetto utile impongono al giudice di «garantire la piena efficacia di tali norme [id est: le norme euro-unitarie], disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (si v. Corte di giustizia, 9 marzo 1978, Amministrazione delle Finanze dello Stato c. Simmenthal SpA, causa 106/77)

La tralatizia giurisprudenza della Corte di Lussemburgo è stata recepita dalla Corte costituzionale fin dal caso Granital (Corte cost., 5 giugno 1984, n. 170).

La regola risultante dal binomio Simmenthal-Granital faceva sì che il problema della doppia pregiudiziale venisse risolto in modo piuttosto semplice e netto. Il giudice che dubitava della conformità di una norma interna sia a norme del diritto dell'Unione direttamente efficaci che della Costituzione, e che non riusciva a sciogliere tale dubbio mediante un'interpretazione conforme delle norme interne, né riteneva con certezza di poter procedere alla disapplicazione, doveva interpellare la Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267 TFUE.

Là dove la Corte di Lussemburgo avesse accertato il contrasto tra la norma interna e il diritto dell'Unione, il giudice interno procedeva sic et simpliciter alla disapplicazione della norma interna incompatibile, e la Corte costituzionale veniva de facto privata della possibilità di pronunciarsi sulla compatibilità della norma nazionale a Costituzione, a meno che un suo intervento fosse richiesto in virtù dei cc.dd. controlimiti, e salva, ovviamente, la competenza della Corte nei procedimenti via principale.

Là dove, invece, la Corte di Lussemburgo avesse escluso il contrasto, il giudice interno restava libero di sollevare l'incidente di costituzionalità onde ottenere una declaratoria di incostituzionalità avente efficacia erga omnes. Incidente verosimilmente sollevabile solo sulla base di profili diversi da quelli già censurati, ed esaminati, dinnanzi alla Corte di giustizia.

Tale architettura è stata per molto tempo cristallizzata nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Tant'è che i giudici di Palazzo della Consulta ritenevano che la pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia rappresentasse «prius logico-giuridico» rispetto all'incidente di costituzionalità e che, per ciò, eventuali questioni incidentali circa la compatibilità della norma interna al diritto dell'Unione (per il tramite dei parametri interposti di cui agli artt. 11 e 117 comma 1 Cost.), e non riguardanti i controlimiti, andassero ritenute inammissibili (si v. Corte cost., 4 luglio 2007, n. 284).

Tale soluzione risultava, d'altro canto, pienamente coerente con gli insegnamentidella Corte di giustizia secondo cui:

- il giudice nazionale può direttamente procedere alla disapplicazione delle norme interne incompatibili senza attendere alcun intervento legislativo o pronuncia della Corte costituzionale (si v. il caso Simmenthal, cit.);

- il giudice che ritenga che una norma nazionale non solo sia contraria al diritto UE, ma sia altresì inficiata di incostituzionalità «non è privato della facoltà né dispensato dall'obbligo, di cui all'art. 267 TFUE, di sottoporre alla Corte di giustizia questioni relative all'interpretazione o alla validità del diritto dell'Unione per il fatto che la constatazione dell'incostituzionalità di una norma di diritto nazionale sia soggetta a ricorso obbligatorio dinanzi alla Corte costituzionale» (Corte di giustizia, 22 giugno 2010, Melki, cause riunite, C-188/10 e C-189/10);

- il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE non può essere escluso o limitato dall'esistenza di un procedimento di costituzionalità né a ragione di una pronuncia di conformità costituzionale della norma interna interessata rispetto a norme costituzionali aventi contenuto analogo a norme direttamente efficaci del diritto euro-unitario (Corte di giustizia, 20 dicembre 2017, Global Starnet Ltd, causa C-322/16).

Questa era l'architettura, a «geometria fissa», esistente in materia di doppia pregiudiziale. Era perché non lo è più dopo il revirement della Corte costituzionale, operato con la sentenza n. 269/2017, da leggere alla luce delle successive (e opportune) precisazioni di cui alle sentenze n. 20/2019 e 63/2019. Per effetto delle anzidette pronunce, la sopra descritta architettura razionalista «a geometria fissa» ha ceduto il passo ad una nuova architettura, senz'altro meno razionalista, ma non per questo meno ragionevole, «a geometrie variabili»; la cui «variabilità», per giunta, non è stata espressamente chiarita dal Giudice delle leggi.

Il nuovo meccanismo di risoluzione della «doppia pregiudiziale»

Il tradizionale approccio al problema della doppia pregiudiziale è entrato in crisi, anzitutto, per effetto della citata sentenza n. 269/2017. In un obiter dictum di tale pronuncia, la Corte costituzionale, «fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto del diritto dell'Unione europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale», ha affermato che, «in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia», «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale» (si v. § 5.2. del Considerato in diritto).

Come si poteva intuire, la svolta operata dalla Consulta ha scosso, e non poco, il panorama giuridico nazionale. Autorevole dottrina, infatti, ha scorto nella pronuncia cit. un revirement del tradizionale ordine di trattazione della doppia pregiudiziale consolidatosi sino a questo momento nella giurisprudenza costituzionale. In particolare, si è ritenuto che per effetto della sent. 269 del 2017, nel caso in cui una norma interna contrasti tanto con una norma euro-unitaria desumibile dalla Carta di Nizza quanto con una norma costituzionale, l'ordine consueto di trattazione delle questioni andasse invertito, dovendo sempre il giudice a quo sollevare prima l'incidente di costituzionalità dinnanzi la Consulta (si v., ex multis, Scaccia, L'inversione della «doppia pregiudiziale» nella sentenza della Corte cost. n. 269/2017: presupposti teorici e problemi applicativi, in Forum di Quaderni costituzionali, 25 gennaio 2018; Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quad. cost., 2019, 260 ss.).

Che questo fosse (recte: dovesse essere) il precipitato della sentenza n. 269/2017 era, però, più che dubbio alla luce dei molteplici interrogativi lasciati, forse volutamente, irrisolti dall'obiter dictum della Corte costituzionale. E, infatti:

  1. i. poteva il giudice a quo procedere direttamente alla disapplicazione della norma interna confliggente con la Carta di Nizza (e con la Costituzione), senza sollevare la questione di costituzionalità?
  2. ii. in quali casi il giudice a quo poteva discostarsi dalla pronuncia della Consulta, procedendo alla disapplicazione della norma interna che aveva superato il vaglio di costituzionalità? E ciò alla luce della dubbia affermazione contenuta nella sentenza cit. secondo cui il giudice remittente rimane libero, dopo l'incidente di costituzionalità, di disapplicare la norma interna «ove, per altri profili, la ritenga[…] contraria al diritto dell'Unione» (§ 5.2 del Considerato in diritto);
  3. iii. poteva il giudice a quo, dopo la pronuncia della Consulta, sollevare il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE per gli stessi profili già sottoposti (e risolti da) alla Corte costituzionale?
  4. iv. e, ancora, l'obbligo di previo incidente di costituzionalità valeva solo nel caso in cui la norma-parametro euro-unitaria fosse contenuta nella CdfUE o anche nel caso di altra norma-parametro di diritto UE primario o derivato che, però, si ricollegasse, quanto a contenuto dei diritti coinvolti, alla Carta di Nizza?

Fortunatamente, la Corte costituzionale, con le sentenze nn. 20 e 63/2019, è tornata sui suoi passi chiarendo molti dei punti interrogativi lasciati aperti dalla sentenza n. 269/2017.

Anzitutto, e principalmente, la Consulta ha precisato che, nel caso di norma interna confliggente con un diritto garantito sia dal diritto UE che dalla Carta costituzionale, non vi è alcun obbligo per il giudice comune di sollevare previamente l'incidente di costituzionalità in luogo del rinvio alla Corte di giustizia e che la scelta dipende esclusivamente dalla «volontà esplicita del giudice a quo» (§ 2.3 del Considerato in diritto della sent. n. 20 del 2019). Una facoltà e non un obbligo, dunque, quella del giudice remittente di rivolgersi previamente alla Consulta. Il che basta a sconfessare le dure critiche mosse contro la Corte costituzionale, tacciata di «autoreferenzialità» (v. ex multis Gallo, Efficacia diretta del diritto UE, procedimento pregiudiziale e Corte costituzionale: una lettura congiunta delle sentenze n. 269/2017 e 115/2018, in Rivista AIC, 2019, I, 159 ss. Per una rassegna delle critiche mosse in dottrina si v. Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità, in Liber amicorum Pasquale Costanzo, ConsultaOnline, 2020).

In secondo luogo, sempre nella sentenza n. 20/2019, la Corte costituzionale ha chiarito che la scelta, per l'appunto discrezionale, del giudice a quo di sollevare previamente la questione di legittimità costituzionale può essere assunta non solo nel caso di contrasto diretto tra norma interna e Carta di Nizza, ma anche nel caso in cui la norma interna si ponga in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalle altre fonti del diritto europeo primario e dal diritto derivato, letti alla luce della CdfUE (§ 2.2 del Considerato in diritto).

In terzo luogo, gli ulteriori dubbi in ordine alla possibilità del giudice a quo di sollevare la medesima questione già sottoposta alla Corte costituzionale dinnanzi la Corte di giustizia e di disapplicare, malgrado l'eventuale scrutinio positivo della Corte costituzionale, la norma interna sono stati fugati dalla sentenza n. 63/2019. In tale pronunciamento, infatti, la Corte ha definitivamente chiarito che, in coerenza agli insegnamenti della Corte di giustizia, rimane fermo il potere del giudice a quo «di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta [di Nizza]» (§ 4.3 del Considerando in diritto).

Riassumendo. Qualora il giudice italiano ritenga che una norma interna contrasti, allo stesso tempo, con i diritti fondamentali sanciti nella Carta di Nizza, o in altra fonte del diritto dell'Unione direttamente efficace che a questa si ricolleghi, e con i diritti sanciti in Costituzione, egli può alternativamente:

a) rivolgersi alla Corte costituzionale;

  • ovvero,

b) sollevare direttamente il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di giustizia senza previo incidente di costituzionalità.

Nel caso sub a), ferma la facoltà che la stessa Corte costituzionale ha di rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, si aprono due scenari.

Da una parte, se la Corte dichiara incostituzionale la norma interna, essa è espunta dall'ordinamento con effetto erga omnes e non residua alcuna possibilità per il giudice a quo di rivolgersi alla Corte di giustizia. Circostanza questa che, tuttavia, potrebbe rendere discutibile il nuovo corso inaugurato dalla Consulta, alla luce della giurisprudenza europea di cui ai casi Simmenthal, Melki e Global Starnet Ltd.

Dall'altra, se la Corte rigetta la q.l.c., il giudice a quo può sempre procedere al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ovvero alla diretta disapplicazione della norma interna ritenuta incompatibile con il diritto UE.

Nel caso sub b), invece, dopo la pronuncia della Corte di giustizia, il giudice a quo è libero, qualora lo ritenga opportuno, di sollevare l'incidente di costituzionalità dinnanzi la Corte costituzionale; ponendosi, in tal caso, tutt'al più, un problema di coordinamento tra la decisione della Corte di giustizia e la successiva pronuncia della Consulta, salva restando comunque la possibilità, per quest'ultima, di invocare i controlimiti.

Alla luce di tale assetto, la nuova architettura in materia di doppia pregiudiziale che risulta dalle sentenze nn. 269/2017, 20 e 63/2019, non può più definirsi «a geometria fissa». E, infatti, se il presunto conflitto tra norma interna e norma del diritto UE non involge diritti fondamentali garantiti sia dal diritto euro-unitario sia dalla Costituzione, rimane ferma la vecchia impostazione in base alla quale il giudice comune, qualora abbia dubbi sulla conformità della norma interna al diritto dell'Unione (o sulla validità della norma unionale), deve rivolgersi alla Corte di giustizia. Ma, di contro, se il contrasto interessa un diritto fondamentale, allora si schiudono i complessi e alternativi scenari sopra descritti. Ecco perché la nuova architettura potrebbe definirsi «a geometrie variabili».

In ogni caso, pur risultando coerente la soluzione della Corte costituzionale, soprattutto alla luce dei chiarimenti operati nel 2019, rimangono ancora alcune zone d'ombra. Due su tutte.

  1. i. Sulla base di quali criteri il giudice comune può scegliere di rivolgersi alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia?
  2. ii. E ancora, quali parametri può usare la Corte costituzionale, qualora essa venga previamente adita dal giudice remittente.
I criteri su cui fondare la scelta del giudice a quo

La dottrina ha suggerito vari criteri in base ai quali il giudice a quo debba optare per il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE o, viceversa, per l'incidente di costituzionalità. Tra questi, particolare menzione merita il criterio prospettato da una certa dottrina, secondo cui la scelta del rinvio alla Corte di giustizia ovvero alla Corte costituzionale dovrebbe dipendere dal carattere, vincolato o discrezionale, della norma interna censurata (si v. Cardone, op. cit.). In particolare, nel caso in cui la norma interna corrisponda ad una scelta «vincolata» del legislatore interno al fine di dare attuazione al diritto UE, dovrebbe accordarsi priorità al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Nel caso contrario, invece, all'incidente di costituzionalità (si v. altresì sul punto Corte di giustizia, 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, causa C-617/10).

Tuttavia, passando in rassegna le poche decisioni interlocutorie sul punto, sembra che la giurisprudenza nazionale non abbia ancora individuato un criterio univoco per definire l'ordine di rinvio delle questioni. Per ora, infatti, parrebbe che i giudici si orientino caso per caso, a seconda della prevalenza, nella singola questione pregiudiziale, di profili attinenti al diritto dell'Unione o al diritto costituzionale interno (così in Cass. civ., 10 gennaio 2019 n. 451, la Corte, ritenendo prevalenti i profili euro-unitari, ha deciso di rivolgersi previamente alla Corte di Giustizia; nello stesso senso si v. Cass. civ., 30 maggio 2018 n. 13678. Diversamente in Cass. civ., 17 giugno 2019 n. 16164, ritenendo prevalenti i profili di costituzionalità, il Collegio ha deciso di sollevare l'incidente di costituzionalità senza adire la Corte di Lussemburgo; conf. Cass. civ., 24 gennaio 2018 n. 3831).

Non si può che concordare, allora, con chi, all'indomani del nuovo corso inaugurato dalla Corte costituzionale, ha ritenuto che l'effettivo atteggiarsi del nuovo sistema di risoluzione della doppia pregiudiziale dipenderà, in larga misura, dalle valutazioni del giudice comune (si v. Cosentino, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee, in Questione Giustizia, 2020). Sarà egli ad assumere il ruolo di «paciere», o di contro di «guerrafondaio», tra Corte costituzionale e Corte di giustizia. Una posizione centrale, quella del giudice a quo, dalla cui sensibilità dipenderà, in ultima analisi, il futuro dell'integrazione europea (Gallo, op. cit. ritiene al contrario che la nuova impostazione ridimensioni il ruolo del giudice nazionale).

I parametri del giudizio in Corte Costituzionale

Quanto al secondo interrogativo lasciato aperto, sarà la giurisprudenza successiva della Consulta che dirà come la Corte intenderà porsi.

Quello che, senza dubbio, si può dire è che dovrebbe evitarsi che la Corte costituzionale, investita di una questione di costituzionalità relativa a una norma interna confliggente (anche) con il diritto UE, giudichi l'incostituzionalità della norma interna sulla base della sola contrarietà al diritto UE; e ciò malgrado, in astratto, potrebbe esserne legittimata sulla base dei parametri interposti di cui agli artt. 11 e 117 comma 1 Cost.

In casi del genere, infatti, una pronuncia della Consulta potrebbe non solo invadere la sfera di competenze attribuite alla Corte di Lussemburgo, ma soprattutto minare l'uniforme interpretazione ed applicazione del diritto UE in tutti gli Stati membri, e su cui, non a caso, vigila la Corte di giustizia.

Onde evitare che la Corte costituzionale possa assumere un atteggiamento «alla Bundesverfassungsgericht» (si v. la recente decisione sul PSPP 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15, 2 BvR 980/16, 2 BvR 2006/15, 2 BvR 1651/15), è preferibile che, là dove la Consulta sia investita per prima della questione e dubiti della conformità della norma interna al diritto UE, si rivolga, tramite rinvio pregiudiziale, alla Corte di giustizia, e, solo all'esito della pronuncia di questa, valuti se procedere, o meno, alla declaratoria di incostituzionalità.

Sembra che la Corte costituzionale si stia orientando proprio in questo senso. Con l'ordinanza n. 117/2019, infatti, la Consulta ha sollevato un duplice rinvio pregiudiziale, di interpretazione e di validità, in ordine alle previsioni di cui all'art. 14, par. 4, dir. 2003/6/CE, e dell'rt. 30 paragrafo 1 lett b) Regolamento (UE) n. 596/2014, in relazione agli artt. 47 e 48 della Carta di Nizza che garantiscono il diritto di ogni individuo a non contribuire alla propria incolpazione e a non rendere dichiarazioni confessorie. L'ordinanza cit. trova origine in una q.l.c. sollevata dalla Corte di cassazione con riguardo all'art. 187-quinquiesdecies t.u.f., il quale prevede una serie di sanzioni amministrative per chi non coopera con la CONSOB o la Banca d'Italia nello svolgimento, o nell'esercizio, delle funzioni di vigilanza (si v. Cass. civ., n. 3831/2018 cit.). Nel caso di specie, il Supremo Collegio, ritenendo prevalenti i profili di contrasto con il diritto costituzionale interno (artt. 24 e 111 Cost.), ha deciso di interpellare previamente la Corte costituzionale in luogo della Corte di giustizia, malgrado l'art. 187-quinquiesdecis t.u.f. riproduca le disposizioni della dir. 2003/6/CE, poi sostituita dal Regolamento (UE) n. 596/2014, e benché nel caso di specie venissero in esame questioni attinenti al c.d. diritto al silenzio previsto, oltre che dalla CEDU, dalla CdfUE. La Corte costituzionale, tuttavia, rilevando che l'art. 187-quinquiesdecies t.u.f. è sostanzialmente riproduttivo dell'art. 14 paragrafo dir. 2003/6/CE, poi sostituito dall'art. 30 paragrafo 1 lett b) Regolamento (UE) n. 596/2014, ha ritenuto di non poter decidere sulla q.l.c. senza previamente adire la Corte di giustizia, e, pertanto, ha correttamente sollevato il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE; rinvio che, forse, anche alla luce del criterio supra prospettato, già la stessa Corte di Cassazione avrebbe potuto (recte: dovuto) sollevare (si v., però, Scaccia, secondo cui, nel caso di specie, come nella vicenda Taricco, dietro al rinvio pregiudiziale si celerebbe, in realtà, la minaccia della Corte costituzionale di invocare un controlimite).

Considerazioni conclusive

La nuova architettura a «geometrie variabili» ha senz'altro rivoluzionato l'impostazione tradizionale in materia di doppia pregiudiziale risultante dal binomio Simmenthal-Granital.

Il giudice a quo, di fronte a una questione di doppia pregiudizialità che involva diritti fondamentali garantiti sia a livello europeo che costituzionale, ha ora di fronte a sé diverse strade e diversi rimedi. Il modo in cui, in concreto, il nuovo meccanismo si atteggerà dipenderà, da una parte, dalle posizioni che assumeranno Corte costituzionale e Corte di giustizia, nella speranza che questo «concorso di rimedi» possa effettivamente «arricchi[re] gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali», come timidi segnali sembrano suggerire (si v. Corte cost. n. 117/2019 cit.). E, dall'altra, dalla sensibilità del giudice comune, vero deus ex machina di questo nuovo impianto.

D'altronde non sono oscure le ragioni che hanno spinto la Consulta a questo revirement: evitare che, a causa del dialogo diretto tra giudice comune e Corte di giustizia, e in ragione della progressiva «europeizzazione» della tutela in materia di diritti fondamentali, il suo ruolo divenga sempre più marginale.

Nel nuovo orientamento assunto dal Giudice delle leggi si potrebbe altresì scorgere una «rinnovata» spinta verso l'integrazione europea, secondo una prospettiva ascendente (si v. Scaccia, op. cit.), ovvero, e ancora, un nuovo tassello nella teoria dei controlimiti, secondo una prospettiva di massimizzazione della tutela dei diritti, o di «minimizzazione dei limiti di tutela» (così Cardone, op. cit.).

Certo è che non è possibile valutare in modo tranchant, come positivo o negativo, il nuovo corso inaugurato dalla Corte costituzionale. Non bisogna, infatti, dimenticare il contesto in cui le sentt. nn. 269/2017, 20 e 63/2019 sono state pronunciate. Né soprattutto il contesto futuro nel quale la nuova architettura in materia di doppia pregiudiziale si atteggerà e si specificherà.

Riferimenti
  • Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità, in Liber amicorum Pasquale Costanzo, Consulta Online, 23 marzo 2020;
  • Cosentino, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee, in Questione Giustizia, 2020;
  • Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quad. cost., 2019;
  • Vitale, I recenti approdi della Consulta sui rapporti tra Carte e Corti. Brevi considerazioni sulle sentenze nn. 20 e 63 del 2019 della Corte costituzionale, in Federalismi.it, 22 maggio 2019;
  • Ruggeri, Ancora un passo avanti della Consulta lungo la via del «dialogo» con le Corti europee e i giudizi nazionali, in Consulta Online, 2019, II, 241 ss.; Id., La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte Cost. Sent. n. 20 del 2019), in Consulta Online, 25 febbraio 2019; Id., Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario assiologicamente pregnanti, attratte nell'orbita del sindacato accentato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell'Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del 2017), in Rivista di Diritti comparati, 2017;
  • Gallo, Efficacia diretta del diritto UE, procedimento pregiudiziale e Corte costituzionale: una lettura congiunta delle sentenze n. 269/2017 e 115/2018, in Rivista AIC, 2019, I; 159 ss.;
  • Scaccia, Alla ricerca del difficile equilibrio fra applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e sindacato accentrato di legittimità costituzionale. In margine all'ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2019, in Osservatorio costituzionale AIC, 2019, VI, 166 ss.; Id., L'inversione della «doppia pregiudiziale» nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017: presupposti teorici e problemi applicativi, in Forum di Quaderni costituzionali, 25.01.2018; Id. Giudici comuni e diritto dell'Unione europea nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017, in Osservatorio costituzionale AIC, 2018.

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