Tabelle milanesi, il danno morale e il letto di Procuste

08 Febbraio 2021

Le tabelle milanesi non sono sbagliate, è cambiato il modo di intendere il danno non patrimoniale in conseguenza della previsione esplicita del danno morale. L'auspicio è che venga approvata la tabella unica nazionale in modo da mettere ordine al sistema del danno alla persona che vede il paese diviso da più tabelle, i cui valori sono talvolta sensibilmente diversi fra loro.
La attuale fase del diritto vivente

C'è stato un lungo periodo del nostro tempo recente in cui l'interprete per antonomasia, la giurisprudenza, ha significativamente occupato uno spazio tradizionalmente di pertinenza di altri, in un sistema fondato sul diritto positivo (si veda Franzoni, L'interprete del diritto nell'economia globalizzata, 2010, p. 366 ss.).

Un tempo in cui l'interprete ha scritto pagine fondamentali del diritto vigente, per l'occasione declinato come diritto vivente; e ciò è accaduto non soltanto in quelle aree governate da norme scritte per clausole generali. Quindi non penso al significativo mutamento nel concepire il danno ingiusto che ha portato a risarcire la lesione degli interessi legittimi, il coniuge sopravvissuto in unione more uxorio con l'ucciso, ma non l'addebitato di una separazione giudiziale. Alludo, invece, a quelle sentenze che hanno riscritto l'

art. 2059 c.c.

affermando che la riserva di legge di quella norma poteva dirsi sodisfatta a condizione che l'interesse della persona leso godesse di protezione costituzionale (

Cass., 31 maggio 2003, n. 8828

;

Cass., 31 maggio 2003, n. 8827

: queste sentenze hanno riclassificato il danno non patrimoniale e tale impostazione è stata confermata dalla

Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233

) Si veda Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta nel danno alla persona.

Fino a quel momento la riserva di legge dell'

art. 2059 c.c.

aveva un carattere tassativo proprio delle norme penali di stampo tradizionale: occorreva che la norma di rinvio espressamente menzionasse il risarcimento del danno non patrimoniale, sulla falsariga dell'

art. 185, comma 2, c.p.

In conseguenza di sentenze gemelle della III sezione civile della Cassazione, quella riserva di legge passa in secondo piano se c'è da proteggere un interesse di rilievo costituzionale. In quale misura e in applicazione di quale regola una norma costituzionale possa superare una riserva di legge ritenuta testuale, non è dato sapere, ma nessuno ha dubitato della utilità e della necessarietà dell'overruling.

Qualche tempo dopo, complice l'assenza del potere legislativo, eravamo per San Martino del 2008, è stato deciso che il danno non patrimoniale dell'art. 2059 c.c. è una categoria normativa unitaria, al cui interno vanno collocate le figure descrittive di danno biologico, di danno morale e di quel nuovo danno non patrimoniale che per tanto tempo si è chiamato danno esistenziale e che tanti dibattiti ha acceso fra gli operatori e i teorici del diritto (Cfr.

Cass., sez un., 11 novembre 2008, n. 26972

-

26975

, e si veda Franzoni, Il danno non patrimoniale del diritto vivente; e in La responsabilità civile, 2009).

Lo scopo di questa presa di posizione, declamata ben quattro volte, era di evitare che sommando singolarmente le singole voci di danno si potesse giungere ad una super valutazione del risarcimento, posto che il danno morale dell'

art. 185 c.p.

per tradizione veniva liquidato sulla base di un automatismo. Certo, per qualche tempo, era stato affermato esattamente il contrario, ossia che il danno biologico era un damno in re ipsa (

Cass., sez. lav., 3 luglio 2001, n. 9009

), mentre il danno morale era un “danno conseguenza” (

Cass., 8 ottobre 2007, n. 20987

, e si veda Christandl, Il danno esistenziale e la funzione nomofilattica della cassazione - 2008, p. 865: «la prova, anche del danno parentale-esistenziale, è a carico di chi ne chiede il risarcimento, e il giudice deve decidere iuxta alligata et probata, secondo le prove, anche in via presuntiva, dedotte dalla parte; la esistenza del danno parentale, qualunque sia il profilo dedotto - come danno diretto di ordine psichico, o come patema d'animo proprio del danno morale, o come autonomo danno esistenziale, ma ancorato a posizioni soggettive costituzionalmente protette- deve essere provato come danno conseguenza (nella specie di un illecito sanitario da cui è derivata la morte di una giovanissima paziente ricoverata e non debitamente curata), ma, quantomeno ai fini liquidatori, la prassi seguiva una regola esattamente contraria.

Nella ratio delle sentenze di san Martino non si trattava di un'abrogazione dell'art. 185 c.p., tecnicamente e logicamente inammissibile, ma di un modo per razionalizzare i risarcimenti di massa alla persona, lasciando in vita le altre figure di danno per le ipotesi diverse dal danno biologico. Così ad esempio per la lesione dei diritti della personalità diversi dal danno alla salute, avrebbe potuto conservare spazio il danno esistenziale, così come avrebbe potuto essere trovare spazio il danno morale nel caso di diffamazione a mezzo stampa.

Fin qui il diritto vivente, con le dovute forzature altrimenti note come overruling; all'epoca l'obbiettivo era riequilibrare complessivamente il risarcimento del danno alla persona nei sinistri stradali ed eliminare i risarcimenti per i danni c.d. bagatellari. In conseguenza del nuovo corso, sono state modificate le tabelle milanesi e gran pare di quelle adottate fino a quel momento, poiché nella liquidazione complessiva è stato monetizzata una parte imputata al danno morale nello stabilire il valore a punto. In questo è consistita l'attività perequativa che il giudice di merito poteva svolgere una volta ammesso che alle singole voci di danno doveva essere attribuito un valore descrittivo.

È innegabile che per parecchio tempo quelle sentenze hanno ingenerato l'idea che in presenza del danno alla salute, questa componente del danno alla persona ben avrebbe potuto essere il rimedio per offrire quella riparazione integrale del danno che da sempre costituisce l'obbiettivo del risarcimento di qualsiasi danno. Ancora, da quel momento si è incominciato a pensare che nella lesione della integrità psicofisica l'aspetto dinamico relazionale fosse quello idoneo a garantire l'integralità del risarcimento e che questa potesse essere raggiunto con la personalizzazione che le norme vigenti allora consentivano e che le tabelle milanesi avevano contemplato. L'espressione “danno non patrimoniale”, molto più friendly di quella “danno morale”, ormai aveva invaso il lessico della responsabilità civile. Del resto, il danno morale storicamente nasceva come sanzione civile per una condotta oltremodo riprovevole, quindi con una finalità punitiva, mentre il danno alla persona ormai era da tutti condiviso che dovesse essere risarcito e non indennizzato con una sanzione punitiva. Sicché anche la sola espressione “danno morale”, da taluno veniva quasi interpretata come un lemma appartenente ad un'enciclopedia di storia del diritto.

Il nuovo testo dell'art. 138 cod. ass.

Nel 2017, l'art. 138 cod. ass. è stato sostituito e il testo vigente dispone che: «e) al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione».
Il successivo comma 3°. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali, personali, documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2º, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 %.

Può piacere o non piacere, resta che il “danno morale”, non il “danno non patrimoniale” del quale fa menzione il legislatore anche nell'art. 185, comma 2, c.p. quasi come sineddoche del primo, ha ricevuto una particolare attenzione normativa e che da questa attenzione emerge un ridisegno dell'intero danno alla persona. L'oggetto dell'intervento normativo non sono state le tabelle esistenti, compresa quella milanese, ma un ripensamento sui diversi aspetti del danno alla persona, di rilievo giuridico. Può non sembrare agevole trovare uno spazio autonomo al danno morale, una volta liquidato il danno biologico in ogni sua manifestazione, ma questo non è di ostacolo alcuno, dal momento che individuare questo spazio è compito dell'interprete, che non può sottrarvisi, proponendo un'interpretazione abrogativa del testo normativo [art. 138, lett. e), cod. ass.] (Cass., 19 febbraio 2019, n. 4878, Cass., 4 novembre 2020, n. 24473).

Per di più, non mi pare proponibile ritornare all'idea del danno morale con funzione punitiva che non avevo escluso fino agli anni '90 (Cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, Bologna-Roma, 1993, sub art. 2059, § 37.), dal momento che non lo consentirebbe più l'evoluzione del dibattito che è seguito.



Alcune pronunce della III sezione della Cassazione

L'occasione per riflettere su questi temi è data dalla Cass., 10 novembre 2020, n. 25164, che affronta la liquidazione del danno alla persona, effettuata dal giudice di merito con l'impiego delle tabelle milanesi (cfr. Spera, I 10 punti del danno biologico, del 17 novembre 2020; Ponzanelli, I principi contenuti nella decisione del 10 novembre 2020 n. 25164, in questa rivista, Focus del 4 dicembre 2020; Ziviz, Autonomia del danno morale: quale effetto sulle tabelle milanesi?, in questa rivista, Focus del 2 dicembre 2020).

Devo premettere che, a tutto voler concedere, la sentenza impugnata era stata davvero generosa verso la vittima, basti considerare che aveva liquidato il risarcimento per € 213.399,75, attraverso l'applicazione delle note tabelle milanesi, il cui valore unico, per invalidità accertata del 25/26% = € 116.339,00 (per la vittima di 37 anni), era stato aumentato due volte: una del 25% (€ 29.084,75) a titolo di personalizzazione, sul presupposto della indubbia impossibilità per l'appellante di cimentarsi in attività fisiche (art. 138, comma 3º, cod. ass.) e un'altra con l'attribuzione di un'ulteriore somma quantificata in € 20.000,00 a titolo di danno morale, per la sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale (oltre € 46.476,00 per IT a € 120,00 pro die ed € 1.500,00 per spese).

La sentenza qui esaminata, invece, decide che «la sentenza possa essere cassata con decisione nel merito, riconoscendo al danneggiato […] la complessiva somma di € 162.815,00 a titolo di danno biologico e di danno morale (di cui € 46.476,00 per inabilità temporanea ed € 116.339,00 per invalidità permanente), in applicazione delle tabelle milanesi (Cass., 12408/2011) alla luce dei criteri sinora indicati, con conseguente eliminazione delle poste di danno relative alla personalizzazione (€ 29.084,75), perché non spettante, e al danno morale (€ 20.000,00), poiché già ricompreso, quest'ultimo, nel valore monetario indicato dalle suddette tabelle. L'importo anzidetto va incrementato di € 1.500,00 (a titolo di rimborso forfettario di spese, come riconosciuto dalla Corte territoriale), pervenendosi pertanto alla cifra finale di € 164.315,00, in moneta attualizzata al momento della sentenza di secondo grado, oltre agli interessi legali da tale pronuncia al saldo» (

Cass., 10 novembre 2020 n. 25164

).

In riforma della pronuncia di merito, la Cassazione nega la sussistenza dei presupposti per la personalizzazione del danno biologico, secondo l'art. 138, comma 3, cod. ass.; accoglie, invece, il capo che riconosce autonomamente il danno morale, così rispettando il disposto dell'art. 138, lett. e), cod. ass..
Tuttavia censura la sentenza impugnata, poiché non considera che, applicando le tabelle milanesi, queste prevedevano già il danno morale accorpato al biologico, quindi esclude l'autonoma liquidazione di € 20.000,00 a titolo di danno morale (

Cass., 10 novembre 2020 n. 25164

).

Oggetto di censura, quindi, non sono direttamente le tabelle milanesi, ma il criterio di personalizzazione che deve essere espressamente provato e deve rispondere alle circostanze di fatto che valgano a rendere diverso quel caso da quelli ordinari (

Cass., 10 novembre 2020 n. 25164

: «nel caso di specie, invece, la Corte territoriale ha accordato la personalizzazione “in quanto non si rinvengono in atti elementi utili che consentano di altrimenti valutare in termini economici la perdita di capacità di lavoro, sia generica che specifica” e a fronte del fatto che la vittima si trovi nella “indubbia impossibilità di cimentarsi in attività fisiche (le uniche che si ritiene potessero essere svolte dal F.)”, ritenendo che tale circostanza non possa “essere del tutto trascurata” e pertanto vada “assunta quale elemento per la personalizzazione nell'ambito del danno biologico […], che appare equo fissare nella misura del 25%”»).

Il nuovo disegno normativo del danno alla persona, diverso rispetto alle decisioni di San Martino nel 2008, è toccato marginalmente. In questa sentenza, a differenza di quanto ha fatto in altre decisioni più esplicite sul punto, la ratio decidendi non è esattamente conforme alla parte finale della massima redazionale.

Sul piano teorico, tuttavia, la Cassazione ha imboccato la via tradizionale nella interpretazione della legge che individua la figura del giudice in colui che deve fungere da bocca della legge. A poco tempo dalla stagione proseguita con la seconda ondata delle sentenze di San Martino del 2019, con le quali l'interprete ha inteso mettere ordine nelle complesse questioni del diritto della responsabilità civile, qui la logica seguita è stata affatto differente, come diremo fra breve. Ma non prima di aver rilevato che, nel caso in esame, la soluzione della Cassazione sia stata di compromesso. Non ha usato le tinte forti, come quando ha deciso che:

– «il giudice di merito deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto)» (

Cass., 4 febbraio 2020, n. 2461

, si veda Ponzanelli, La crisi delle tabelle milanesi: l'intervento della cassazione, 2020, p. 223);

– «la personalizzazione della liquidazione del pregiudizio non patrimoniale non può assorbire il danno morale, che va autonomamente apprezzato e liquidato» (

Cass., 31 gennaio 2019, n. 2788

, e si veda Ponzanelli, Dopo San Martino, la Cassazione ci riprova a varare uno statuto del danno alla persona);

– «non esiste interdipendenza necessaria tra risarcibilità del danno morale e sussistenza del danno biologico permanente» (

Cass., sez. lav., 25 marzo 2019, n. 8292

).

Verso una conclusione

La sentenza in commento, nel riformare la decisione di merito, si è avvalsa dell'argomento dell'autonoma rilevanza attribuita al danno morale, non per avvalorare i dicta formulati, ma per applicare le tabelle milanesi. Ma il tema resta, dal momento che l'art. 138 cod. ass., si applica a circa l'80% dei casi di danno alla persona, con la conseguenza che, pur essendo una legge speciale, l'impatto applicativo le fa assumere un carattere generale.

Un punto fermo nella storia del danno alla persona degli ultimi quindici anni è l'abbandono della figura del damno in re ipsa. Anche recentemente è stato deciso che «il danno morale deve essere allegato e provato specificatamente, anche a mezzo di presunzioni, ma senza che queste, eludendo gli oneri assertivi e probatori, si traducano in automatismi, determinando di fatto un'erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella legale» (Cass., sez. III, 8 aprile 2020, n. 7753, si veda Franzoni M., Danno evento, ultimo atto?; Cass., 11 novembre 2019, n. 28992, Franzoni, Onere della prova e il processo). In altri termini non si vuole che il danno morale finisca per esser equiparato ad un danno punitivo, ancorché ammesso dal nostro ordinamento.

Certo il danno morale pone un rilevante problema di prova sia sul fronte della stima, sia sul fronte della liquidazione del pregiudizio. Tuttavia lasciarsi andare alla deriva del danno evento, come damno in re ipsa, vorrebbe dire privare la sentenza di quel controllo sulla sua motivazione che consente di valutare il modo in cui il diritto vivente apprezza il comune sentire della comunità, sul valore da attribuire alle conseguenze di certe lesioni meritevoli di tutela, in un determinato momento storico. Ci sono spazi limitati del diritto, ma esistono, nei quali il senso comune diventa elemento di un dato normativo attraverso una sentenza che, concludendo un processo, ha preso atto dei diversi interessi che sono stati rappresentati.

Questo assunto non risolve il problema dell'attualità delle tabelle milanesi o del loro superamento per effetto del nuovo testo legislativo. Tuttavia esclude un ritorno al passato nel quale il danno morale era certamente dato in ragione di un automatismo, una volta stabilito l'ammontare del danno biologico. Pur ammesso che al danno morale debba essere attribuita una autonomia da ogni altro, questo deve essere stimato e liquidato secondo le sue proprie regole.

Questa idea non è certo una novità, basti pensare che il danno patrimoniale si scompone descrittivamente in un danno emergente e in un lucro cessante. Ciò, peraltro, non garantisce che ogni perdita economica necessariamente si debba rappresentare in queste due forme: è possibile che la vittima subisca soltanto un danno emergente oppure soltanto un lucro cessante, senza che ciò comprometta l'utilità della partizione, la portata normativa dell'art. 1223 c.c., o l'esistenza della tradizione.

Detto questo come concludere? Le tabelle milanesi sono nate da un compromesso che vedeva il concetto di fusione nel suo DNA; la modifica dell'art. 138 cod. ass. nega questo presupposto, attribuendo al danno morale una inequivoca autonomia, anche sul piano della liquidazione. Orbene se è vero che il diritto vivente sia la combinazione di law in the book e di law in action, nella quale il secondo finisce per essere dominante, è altrettanto vero che questa dominanza non può spingersi fino al limite di abrogare il primo, ossia il diritto oggettivo. Ammesso e non concesso che la cassazione abbia inaugurato una stagione che ha proceduto verso il distacco dell'onnicomprensività all'interno della categoria del danno non patrimoniale, dopo la modifica dell'art. 138 cod. ass., escluderei che si possa trattare di un conflitto interpretativo, rispetto alla quale può valer la pena di attendere un consolidamento (si veda Spera, I 10 punti del danno biologico, in Ridare del 17 novembre 2020).

Dobbiamo prendere atto che nelle tabelle milanesi è compreso anche il danno morale, e che tuttavia non è distinguibile dal resto, quindi non può essere scorporato. La conclusione è che in questo modo, mancando una prova specifica su questo pregiudizio, l'applicazione di quelle tabelle porta ad un arricchimento ingiustificato per le vittime. Per contro possono esservi casi in cui il criterio indicato nella legge, che percentualizza il danno morale sull'importo del danno biologico, risulta inadeguato per difetto: è il caso della sentenza di merito riformata dalla Cass., 10 novembre 2020, n. 25164, in commento. La situazione è simile a quella del letto di Procuste: troppo lungo o troppo corto (con altri termini mi pare che queste siano le conclusioni di Ponzanelli, I principi contenuti nella decisione del 10 novembre 2020 n. 25164, in Ridare del 4 dicembre 2020).

In conclusione le tabelle milanesi non sono sbagliate, è cambiato il modo di intendere il danno non patrimoniale in conseguenza della previsione esplicita del danno morale. L'auspicio è che venga approvata la tabella unica nazionale (quella da emanarsi «con decreto del Presidente della Repubblica, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia»: art. 138, comma 1º, cod. ass.), questo sarebbe un modo per mettere ordine al sistema del danno alla persona che vede il paese diviso da più tabelle, i cui valori sono talvolta sensibilmente diversi fra loro. Poiché queste tabelle sono attese da una quindicina d'anni, nelle more, è auspicabile che l'osservatorio della giustizia milanese provveda a modificare quelle esistenti, adeguandosi ai parametri introdotti dalla legge.

Questa volta a vincere non è stato il diritto vivente, inteso come il giudice di cassazione, ma la legge.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario