Il calcolo della maggioranza in assemblea: per teste, per quote … e per buon senso!

08 Febbraio 2021

Il funzionamento dell'assemblea di condominio si regge sul principio maggioritario, individuando il legislatore teste e quote necessarie per la valida formazione della volontà dell'organo e, quindi, del condominio: il rispetto di tali maggioranze va, però, inteso in senso sostanziale non formale…
Massima

In tema di condominio negli edifici, la regola posta dall'art. 1136, comma 3, c.c., secondo la quale la deliberazione assunta dall'assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio ed almeno un terzo del valore dell'edificio, va intesa nel senso che coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l'intero art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali.

Il caso

All'interno di un condominio, le unità immobiliari sono così ripartite: 1^ unità, in comproprietà tra Tizio e Caia; 2^ unità, di proprietà esclusiva di Sempronia; 3^ unità immobiliare, in usufrutto a Sempronia ed in nuda proprietà dei coniugi Mevio e Mevia. L'assemblea, che si svolge alla presenza di Tizio, Caia e Sempronia, approva alcune delibere all'ordine del giorno con il voto favorevole, ai fini di quanto prescritto dall'art. 1136, comma 3, cod. civ., quanto alla maggioranza “per teste”, della sola Sempronia (intervenuta nella duplice veste di proprietaria esclusiva ed usufruttuaria).

Proposta impugnazione ad opera di Tizio e Caia, il Tribunale, prima, la Corte d'Appello, poi, rigettano l'impugnazione delle suddette delibere condominiali, calcolando come condomini Sempronia, per una testa, i nudi proprietari Mevio e Mevia, per una testa e gli attori, ovviamente anch'essi per una testa siccome in regime di comproprietà. In “alternativa”, la Corte distrettuale calcola come condomini Sempronia per due teste - in quanto proprietaria di un appartamento ed usufruttuaria di un altro - e Tizio e Caia per una (siccome comproprietari).

Avverso la decisione della Corte d'Appello, Tizia e Caia propongono, quindi, ricorso per cassazione, deducendo la “illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in relazione agli artt. 1136, comma 3, c.c. e 67, comma 3, disp. att. c.c. (nella formulazione antecedente alla riforma intervenuta con la l.n. 220/2012)”, relativamente all'erroneo computo della maggioranza “per teste” prescritta ai fini della approvazione delle delibere condominiali da parte dell'assemblea in seconda convocazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: come vanno calcolate le maggioranze per la valida approvazione delle delibere assembleari?

Le soluzioni giuridiche

Il funzionamento dell'assemblea di condominio è disciplinato, in linea di massima, dagli artt. 1136 c.c. nonchè artt. 66 e 67 disp. att. c.c.: si tratta di norme - dichiarate inderogabili dagli artt.1138 c.c. e 72 disp. att. c.c. - che individuano nel c.d. “principio maggioritario” la regola da applicare in materia.

Ed infatti, salvo i casi in cui sia necessario adottare una convenzione avente carattere dispositivo, avente - siccome tale - natura chiaramente negoziale ed implicante, quale negozio plurilaterale destinato ad incidere sui diritti dei singoli, l'unanimità dei consensi (non già degli intervenuti in assemblea quanto, piuttosto) dei condomini (è il caso, ad esempio, delle deroghe apportare ai criteri legali di riparto degli oneri condominiali, ex art. 1123, comma 1, c.c. o degli atti di alienazione della cosa comune (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27223), l'organo assembleare assume decisioni, vincolanti anche per gli assenti e dissenzienti (art. 1137, comma 1, c.c.), a maggioranza, semplice o qualificata che sia, calcolata per teste e per quote (c.d. criterio misto), si da valorizzare tanto l'elemento personale, quanto quello reale (il principio è chiaramente esposto da Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2013, n. 4340, a proposito del rilievo che i menzionati elementi, reale e personale, assumono con riferimento al funzionamento dell'assemblea del supercondominio).

Nel riempire di contenuto il “principio maggioritario”, la Corte, richiamando Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1966, n. 202, precisa, anzitutto, che il suo rispetto richiede che il numero di coloro che hanno votato a favore e la entità degli interessi da essi rappresentati, superi il numero dei condomini che ha votato in senso contrario. Sicché, poiché per la validità delle deliberazioni assunte dall'assemblea in seconda convocazione, è sufficiente un numero di voti che rappresentino il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio - tranne che non si tratti di deliberazioni aventi l'oggetto indicato nel quarto e nel quinto comma dell'art. 1136 cit., ovvero le cui maggioranze siano fissate, in maniera alternativa, da singole disposizioni - affinché la deliberazione si intenda approvata, non basta che essa riporti il voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio, ma occorre anche che i condomini dissenzienti siano in numero inferiore ad un terzo, ovvero che siano presenti in assemblea un terzo dei condomini e non vi siano dissenzienti (v. anche Trib. Milano, 27 maggio 1996).

Detto in altri termini, coloro che hanno votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l'intero art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali: con la conseguenza inevitabile ne discende per cui, il raggiungimento di una maggioranza di voti favorevoli, pari ad un terzo dei presenti, unitamente alla condizione che essi rappresentino almeno un terzo della proprietà non è sufficiente a ritenere rispettate le maggioranze prescritte per l'approvazione in seconda convocazione, ove la parte contraria alla delibera detenga un valore della proprietà superiore a quello della maggioranza del voto personale (Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2004, n. 6625).

Prosegue, inoltre, il Supremo consesso, evidenziando come, ai fini del calcolo della maggioranza sotto il profilo personale, sia escludere che possa operarsi una finzione, per cui una sola persona fisica (nella specie, Sempronia) venga conteggiata come due teste.

Il principio, pure astrattamente corretto nella sua declinazione, appare però cripticamente esposto dalla decisione in commento e bisognoso, dunque, di essere chiarito.

Invero, l'art. 67 disp. att. c.c., nella formulazione successiva alla l. n. 220/2012, chiarisce, al suo comma 1, che (a) ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta, con due precisi limiti e, cioè, che (b), se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale dell'edificio, mentre (c) è fatto divieto di conferire deleghe all'amministratore (v. il comma 4 del medesimo art. 67). Quanto alla prima limitazione, “il legislatore dimostra di volere incentivare la personale partecipazione del singolo condomino all'assemblea, proprio per evitare la concentrazione di deleghe in capo ad un solo soggetto che, benché apparentemente rappresentativo della volontà dei suoi deleganti, spesso è invece portatore di un suo individuale interesse in grado di condizionare le scelte in assemblea: non è evidentemente sfuggito al legislatore il fatto che con il solo 20% del numero delle teste e di millesimi (e, quindi, doppia maggioranza) è impedito di assumere qualsivoglia delibera, essendo necessario, per l'approvazione di questa, il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea purché portatori di almeno un terzo dell'intero valore millesimale (almeno 333 millesimi)”.

Si coglie da quanto precede, dunque, che il singolo condomino vale per una testa, sia che intervenga all'assemblea personalmente che a mezzo delegato: con la conseguenza che il delegato medesimo, che sia anche proprietario esclusivo, “pesa”, in termini di teste, per quanti sono i soggetti che gli hanno conferito potere rappresentativo (egli, infatti, esprime tanti voti, ulteriori e diversi dal proprio, quanti sono i deleganti intervenuti, per suo tramite, in assemblea).

Diversamente, allorché un soggetto intervenga in assemblea quale proprietario esclusivo di più unità immobiliari, lo stesso va considerato come una sola “testa”, pur rappresentando i millesimi derivanti dalla somma algebrica delle varie unità immobiliari riferibili allo stesso: in sostanza, il voto espresso in assemblea, benché cumulativo delle varie carature millesimali ascrivibili allo stesso, è unico (v. anche Trib. Verona 15 ottobre 2019).

Osservazioni

La decisione assunta dalla Corte solleva qualche dubbio circa l'esatta ricostruzione della fattispecie, non dipanabile alla luce della motivazione del provvedimento in esame: trattandosi di impugnativa di delibera assunta nel corso dell'assemblea del 21 luglio 2010, trova applicazione, rispetto ad essa, la disciplina dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. (originaria formulazione) alla cui stregua “l'usufruttuario di un piano o porzione di piano dell'edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni”.

Ne consegue che il computo di Sempronia quale unica testa appare corretto solo ove la delibera impugnata abbia avuto ad oggetto argomenti rientranti nel perimetro applicativo di cui al comma 3 cit. giacché, al di fuori di tale ambito, la presenza (ed il voto) di Sempronia, in rappresentanza dell'appartamento goduto in usufrutto, si può giustificare solamente a fronte di una delega da parte dei nudi proprietari (arg. da Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2013, n. 16774), con conseguente effettiva imputazione alla stessa Sempronia, nella qualità di delegata, di un'ulteriore testa ai fini del calcolo delle maggioranze ex art. 1136 c.c.

Il novellato art. 67, commi 7 e 8, disp. att. c.c. paradossalmente complica ulteriormente il suddetto computo in quanto, fermo restando che nelle deliberazioni diverse da quelle indicate dall'originario comma 3 (attualmente comma 6) e di cui si è detto, il diritto di voto spetta ai proprietari, sono fatti salvi i casi in cui l'usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all'art. 1006 c.c. codice ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli artt. 985 e 986 c.c., giacché in tutti questi casi l'avviso di convocazione deve essere comunicato sia all'usufruttuario che al nudo proprietario; a ciò aggiungasi che, modificando il previgente regime di imputazione degli oneri condominiali (v., in proposito, Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2236), il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono, ora, solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale.

Se ne dovrebbe dedurre, dunque, l'esistenza, all'attualità, di un'autonoma legittimazione dell'usufruttuario a partecipare all'assemblea di condominio, anche al di fuori dei limiti di cui all'art. 67, comma 7, disp. att. c.c.: sicché - peculiarità nella peculiarità - nella vigenza dell'art.67 disp. att. c.c., come novellato dalla legge di riforma, il proprietario esclusivo, che sia anche usufruttuario e che in tale duplice veste intervenga in assemblea, sembra doversi comunque calcolare, indipendentemente dalla natura della materia all'ordine del giorno, come una sola testa.

Riferimenti

Celeste, Assemblea (quorum costitutivi e deliberativi), in Condominioelocazione.it, 13 novembre 2017;

Cirla, L'assemblea dopo la riforma, in Immob. & proprietà, 2013.

Nicoletti, Usufrutto (condominio), in Condominioelocazione.it, 1 agosto 2017.

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