Furto aggravato di beni condominiali esposti a pubblica fede e nozione di privata dimora

09 Febbraio 2021

La Corte di Cassazione qualifica come furto in abitazione, ai sensi dell'art. 624-bis c.p., il furto avente ad oggetto di beni condominiali - nella specie, due portoni di ingresso di edifici condominiali - sebbene la condotta di sottrazione e impossessamento si sia svolta all'esterno del condominio, senza mai accedervi, e quindi, sebbene non vi sia stata alcuna “introduzione” in una “privata dimora”, né nelle sue “pertinenze”, posto che i portoni di ingresso erano accessibili da pubblica via. In proposito, la Suprema Corte specifica che, ai fini della qualificazione del reato di furto in abitazione, assume rilevanza sia il luogo in cui si realizza la condotta, ma anche e soprattutto la natura e la funzione che la res esplica, in ragione del carattere di indispensabile strumentalità rispetto le esigenze della vita domestica e familiare. I portoni condominiali, anche se accessibili dalla pubblica via, erano indiscutibilmente a servizio del condominio, ovvero ad aree pertinenziali che, pur non essendo direttamente destinate all'abitazione, fanno parte integrate del luogo abitato e sono strumentali al suo privato godimento.
Massima

Costituisce reato di furto in abitazione la condotta di sottrazione e impossessamento avente ad oggetto di beni di proprietà del condominio, sebbene accessibili da pubblica via, senza che sia necessario che l'autore del fatto si sia introdotto all'interno del condominio per porre in essere la condotta. Ai fini della qualificazione di privata dimora, infatti, non rileva solo il luogo in cui si realizza la condotta di sottrazione, ma anche la proprietà e la funzionalità del bene sottratto (nella specie, i portoni di proprietà del condominio, sebbene prospicienti la pubblica via, insistevano nelle pertinenze della privata dimora e erano funzionali al loro godimento).

Il caso

Il giudice di seconde cure conferma la condanna dell'imputato per il reato di furto in abitazione o in luogo di privata dimora, per aver sottratto due portoni di ingresso degli edifici condominiali, senza accedere all'interno dell'androne condominiale, ossia nell'area di pertinenza di un condominio, ma ponendo in essere la condotta interamente dall'esterno da esso.

Avverso la sentenza di condanna, ricorre per cassazione l'imputato, il quale contesta la qualificazione giuridica di furto in abitazione, il cui fulcro di tutela concerne sia il patrimonio che la riservatezza privata, sostenendo l'intrinseca contraddittorietà tra la contestazione del furto commesso all'interno di privata dimora ed l'aggravante della esposizione della cosa a pubblica fede - oltre quella di cui al n. 2) dell'art. 625 c.p., cioè la violenza sulle cose - che sembrerebbe negare il concetto di abitazione e privata dimora, nonché, in radice, la stessa ratio di tutela del furto in abitazione, norma che punisce il fatto di “introdursi” in un luogo privato. Evidenzia, quindi, l'intima contraddizione tra l'aggravante contestata, che presuppone l'esposizione a pubblica fede della res e il concetto di privata dimora, che implica un profilo di riservatezza e di privatezza assente nel caso di specie.

Pertanto, lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione del fatto come furto semplice.

La questione

La questione sottoposta alla Suprema Corte concerne la qualificazione del fatto di reato come furto semplice, punito dall'art. 624 c.p., e non come il più grave reato di furto in abitazione previsto dall'art. 624-bis c.p., in quanto il fatto, pur concernendo beni di proprietà condominiale (ai danni, quindi, di tutti i proprietari degli appartamenti), si sarebbe realizzata interamente sulla pubblica via, luogo non equiparabile alla privata dimora, e che quindi non ricorrerebbero le particolari esigenze di tutela proprie della fattispecie di furto in abitazione, ma quelle generali del furto semplice.

In proposito, occorre fare qualche cenno al reato di furto in abitazione previsto dall'art. 624-bis c.p. Il reato di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.) punisce la condotta di chi si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sè o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa.

Tale norma, di recente introduzione, ha trasformato il furto in abitazione da ipotesi aggravata del delitto di furto semplice a figura autonoma di reato, in modo da evitare il bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti a norma dell'art. 69 c.p. Essa reca tutti gli elementi del reato di furto, in aggiunta all'elemento specializzante concernente il luogo in cui si verifica il furto: l'abitazione o la privata dimora.

II legislatore ha voluto, quindi, rafforzare la risposta sanzionatoria in relazione a quelle modalità di realizzazione del furto che si rilevano più odiose e insidiose, realizzate mediante introduzione nell'abitazione, in assenza del consenso del proprietario, e quindi lesive non solo del patrimonio ma anche della intimità e riservatezza di cui ciascuno gode all'interno della propria abitazione.

Va evidenziato che il concetto di privata dimora è certamente più ampio di quello di abitazione, rientrandovi anche i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, purchè non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

Peraltro, l'art. 624-bis c.p. si estende anche ai beni sottratti dalle pertinenze della privata dimora, quali ad esempio garage, cantine, magazzini e ripostigli esterni, giardino privato. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che il reato de quo sia configurabile ogniqualvolta il soggetto attivo del furto, per commettere il reato, pur non essendo avvenuto all'interno di una privata dimora, si sia introdotto in un luogo che sia destinato potenzialmente ad essere abitato, quale ad esempio, l'area condominiale.

Nell'ambito del condominio, e con riferimento a beni condominiali, nel concetto di pertinenza rientra l'androne, il pianerottolo, il garage condominiale, in quanto per natura pertinenziale delle abitazioni collocate nello stabile, e quindi appartenente, pro quota a tutti i condomini. In questo ambito, si è posto l‘accento sulla strumentalità del rapporto tra il luogo violato e la relazione di accessorietà e di contiguità, anche solo di servizio, dei luoghi, come ad esempio le parti comuni di un edificio condominiale rispetto alla private dimore esistenti in tale edificio. Pertanto, deve ritenersi che anche le aree condominiali sono funzionali all'esigenze della vita abitativa e alla libera fruibilità della propria abitazione dimora e debbano essere considerate incluse nella nozione di abitazione o privata dimora (Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2019 n. 6387), conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite (n. 31345/2017) che definisce la privata dimora come qualsiasi luogo che serva all'esplicazione di atti della vita privata, comprese attività di lavoro, culturali, professionali e politiche.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, partendo dalle nozioni di abitazione e di privata dimora, che evocano i luoghi finalizzati a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare, inclusi anche tutti i locali che, pur non essendo direttamente destinati all'abitazione, fanno parte integrate del luogo abitato, in ragione del carattere di indispensabile strumentalità,enuncia il principio in base al quale tale nesso di accessorietà e funzionalità debba riguardare anche i beni sottratti.

Nel caso di specie, la condotta di furto (sottrazione e impossessamento) ha avuto ad oggettodue portoni di ingresso degli edifici, cose che assolvono allo con l'androne la suddetta funzione strumentale complementare alle abitazioni degli stabili condominiali. Questo nesso di strumentalità non è affatto escluso dalle circostanze che i portoni possano essere asportati dall'esterno della privata dimora e delle sue pertinenze, senza accedervi all'interno, perché la funzione del portone è, appunto, quella di proteggere il patrimonio e la riservatezza degli abitanti componenti il condominio.

Osservazioni

La Suprema Corte ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali in tema di reato di furto in abitazione e di privata dimora, lumeggiati dalla citata sentenza S.U. n. 31345/2017, specificando un importante profilo in tema di furto condominiale.

Si ribadisce, infatti, l'orientamento giurisprudenziale che riconduce il furto avvenuto in area condominiale o di beni condominiali nell'ambito dell'art. 624-bis c.p., norma che punisce il furto in privata dimora, esaltando così il concetto di pertinenza, tale da ricomprendere tutti i luoghi non pubblici nei quali le persone si trattengono per compiere anche in modo transitorio, atti della vita privata, ma anche le cose strumentali allo svolgimento di atti della vita privata. Non rileva solo la natura dei luoghi, ma anche alla funzione che il bene sottratto realizza, ossia quello di schermare la riservatezza, a servizio e giovamento dei condomini, il concreto utilizzo a servizio e beneficio di private dimore e delle sue pertinenze.

In questo senso, non coglie nel segno l'eccezione sollevata dal ricorrente, il quale - sottolineando le modalità concrete esecutive del fatto - voleva negare la dimensione privata e di riservatezza in ragione della quale la norma prevede un più severo trattamento sanzionatorio rispetto la fattispecie di furto comune.

Riferimenti

Fiandaca - Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. 2, tomo 2, Torino, 2015;

Mezzetti, Trattato di diritto penale. Parte speciale. Reati contro il patrimonio, Milano, 2014.

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