Il P.M. chiede l'archiviazione e il giudice impone l'interrogatorio dell'indagato: non c'è abnormità

10 Febbraio 2021

Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice di pace, investito della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, la respinga e richieda nuove indagini, consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che non determina alcuna stasi del procedimento...
Massima

Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice di pace, investito della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, la respinga e richieda nuove indagini, consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che non determina alcuna stasi del procedimento (nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha precisato che l'interrogatorio dell'indagato, specie se non sia stato mai sentito, ha valenza non solo difensiva, ma anche investigativa e ricostruttiva in fatto).

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per diffamazione, il P.M. formulava richiesta di archiviazione fondata sulla carenza dell'elemento soggettivo, ma il Giudice di pace respingeva la richiesta di archiviazione, motivando sulla necessità di svolgere nuove indagini, individuate nell'interrogatorio dell'indagata.

Il P.M. impugnava l'ordinanza evidenziando l'abnormità in ragione della natura difensiva e non investigativa dell'interrogatorio.

La Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile sul rilievo che l'interrogatorio della persona indagata è funzionale all'acquisizione di notizie utili a comporre il quadro risultante dalle investigazioni già svolte: ne consegue che non può ritenersi che l'indicazione dell'interrogatorio come attività suppletiva da svolgere costituisca una distorsione del meccanismo tipico del subprocedimento di archiviazione tale da definire il provvedimento del giudicante come strutturalmente abnorme, per singolarità, stranezza del suo contenuto o perché pronunziato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.Nell'ambito di un procedimento per diffamazione, il P.M. formulava richiesta di archiviazione fondata sulla carenza dell'elemento soggettivo, ma il Giudice di pace respingeva la richiesta di archiviazione, motivando sulla necessità di svolgere nuove indagini, individuate nell'interrogatorio dell'indagata.

Il P.M. impugnava l'ordinanza evidenziando l'abnormità in ragione della natura difensiva e non investigativa dell'interrogatorio.

La Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile sul rilievo che l'interrogatorio della persona indagata è funzionale all'acquisizione di notizie utili a comporre il quadro risultante dalle investigazioni già svolte: ne consegue che non può ritenersi che l'indicazione dell'interrogatorio come attività suppletiva da svolgere costituisca una distorsione del meccanismo tipico del subprocedimento di archiviazione tale da definire il provvedimento del giudicante come strutturalmente abnorme, per singolarità, stranezza del suo contenuto o perché pronunziato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.

La questione

La questione in esame è la seguente: è abnorme l'ordinanza del giudice che – nel rigettare la richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. – imponga quale indagine suppletiva l'interrogatorio dell'indagato?

Le soluzioni giuridiche

Il commento della sentenza in commento ha quale punto ineludibile di partenza quello relativo alla nozione di atto abnorme, per come progressivamente elaborato dalle Sezioni Unite, le cui caratteristiche di identificazione sono costituite dall'essere il provvedimento del tutto avulso dal sistema e dalla sua capacità di determinare la stasi del procedimento, ovvero una indebita regressione della sequenza logico-cronologica del procedimento, incompatibile col principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Cass.pen., Sez. unite, n. 21243/2010; Cass.pen., Sez. unite, n. 5307/2007).

Da tale premessa, i giudici di legittimità osservano che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice di pace, investito della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, la respinga e richieda nuove indagini, consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che non determina alcuna stasi del procedimento.

Il principio oggi affermato si pone in sintonia con quel formante giurisprudenziale ad avviso del quale il provvedimento giudiziale adottato dal giudice per le indagini preliminari il quale, senza denegare esplicitamente la possibilità della chiesta archiviazione, rimandi gli atti al Pubblico Ministero istante per compiere un atto istruttorio a completamento dell'attività, non può essere rapportato alla categoria dell'abnormità in nessuna delle sue possibili manifestazioni, poiché tale l'ordinanza costituisce espressione del legittimo esercizio del potere cognitivo conferito al giudice dal sistema processuale (Cass.pen., n. 48573/2019; Cass. pen., n. 2587/2013; Cass. pen., n. 36936/2011).

In altri termini, tale provvedimento non presenta caratteristiche di abnormità, in quanto si colloca nell'alveo dell'art. 409, comma 4, c.p.p., e presenta la semplice anomalia di imporre al p.m. il compimento di un atto - l'interrogatorio dell'indagato - la cui natura istruttoria è però controversa.

Il provvedimento, inoltre, è ben lungi dal creare una stasi del procedimento, che può agevolmente proseguire col compimento dell'atto di indagine demandato dal GIP, e non determina un'alterazione della struttura logica del processo penale, dal momento che la remissione degli atti dal GIP al p.m. per un approfondimento istruttorio è espressamente consentita dall'art. 409 c.p.p., comma 4.

Si è affermato, infatti, che il GIP non ha esercitato poteri eccedenti la sua competenza, né ha reso pronunzia che si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale, o che comunque determini la paralisi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.

La evidenziazione di possibili profili di violazione della legge processuale ad opera del GIP, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass.pen., n. 25957/2009) è anzi sintomo di esclusione di ogni abnormità potendo individuarsi in un provvedimento affetto da tali vizi un provvedimento contro norma, ma non certo un provvedimento extra norma.

Un conforme orientamento più risalente ha sostenuto che è illegittima ma non abnorme, e dunque contro di essa non può esperirsi - per il principio della tassatività delle impugnazioni - ricorso per cassazione, l'ordinanza con la quale il GIP, sulla richiesta di archiviazione, restituisca gli atti al P.M. perché provveda all'interrogatorio dell'imputato, laddove nell'ordinanza medesima manchi la prevista indicazione delle ulteriori indagini da compiere (Cass.pen., n. 16144/2011; Cass. pen., n. 47717/2003).

Già il giudice della nomofilachia (Cass.pen., Sez. un., n. 22909/2005) aveva affermato che non è abnorme il provvedimento con il quale il GIP, all'esito dell'udienza camerale fissata sull'opposizione della persona offesa per il mancato accoglimento de plano della richiesta di archiviazione del P.M., ordina l'iscrizione nel registro delle notizie di reato di altri soggetti non indagati, per i quali il P.M. non abbia formulato alcuna richiesta, disponendo altresì la prosecuzione di ulteriori indagini, rimettendo all'organo dell'Accusa l'esercizio di ogni opzione appartenente alle sue attribuzioni.

Tuttavia, il principio affermato nella pronuncia in commento non può ritenersi univoco in seno alla Corte di Cassazione, atteso che si registra altro orientamento a mente del quale a fronte della formulazione da parte dell'accusa di una istanza di archiviazione, risulta affetta da abnormità l'ordinanza con cui il Giudice, in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, indichi al P.M., tra le ulteriori indagini necessarie, l'interrogatorio dell'indagato, non essendo tale atto un mezzo d'indagine, ma uno strumento di garanzia e di difesa (Cass. pen., n. 13892/2014; Cass. pen., n. 1052/2013; Cass. pen., n. 23930/2010).

La decisione del giudice non può che essere circoscritta allo svolgimento di ulteriori indagini, nelle quali non può annoverarsi l'interrogatorio dell'indagato, in quanto tale adempimento non è un atto di indagine, ed il suo svolgimento presuppone la già intervenuta acquisizione di elementi astrattamente integranti una ipotesi di reato, ed è funzionale ad offrire all'interessato la possibilità di difendersi rispetto ad essi; conseguentemente tale attività non può essere utilizzata per ricercare elementi utili ad indagini attinenti ad una fattispecie di reato, in relazione alla quale la richiesta di archiviazione, e la contestuale mancata individuazione di ulteriori accertamenti integrativi da parte del GIP, risulti dimostrativa della mancanza di dati di sostegno dell'ipotesi di accusa.

Per l'effetto deve ritenersi integrata la c.d. abnormità strutturale a seguito della disposta regressione del procedimento (Cass. pen., n. 15299/2013), in quanto l'emissione di tale provvedimento che imponga l'interrogatorio dell'indagato, pur astrattamente prevista nel nostro ordinamento, determina situazione del tutto estranea rispetto ai suoi presupposti giustificativi, producendo una stasi processuale, superabile solo con il compimento a cura del P.M. di un'attività non prevista dalla legge e non rientrante nei suoi poteri, poiché gli impone lo svolgimento di un atto processuale che manca dei requisiti minimi di validità, ciò che realizza un'alterazione della struttura logica del processo penale, ed un'implicita ed ingiustificabile stasi dello stesso.

Le soluzioni contrastanti testé esaminate traggono origine dalla diversa natura che si intende assegnare all'interrogatorio dell'indagato.

Invero, l'orientamento che riconduce l'ordinanza de giudice che restituisce gli atti al P.M., chiedendo l'espletamento dell'interrogatorio dell'indagato, alla categoria dell'abnormità muove dalla premessa che l'interrogatorio non è un mezzo di indagine ma solo una garanzia difensiva.

In particolare, si è osservato che deve considerarsi abnorme, ponendosi al di fuori del sistema processuale, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, nell'ipotesi in cui non accolga la richiesta di archiviazione e ritenga necessarie nuove indagini a seguito di udienza camerale, indichi al P.M., quale atto d'indagine, l'interrogatorio dell'indagato, atteso che l'ordinanza con cui si richiedono nuove indagini ai sensi dell'art. 409, comma 4, c.p.p. , presuppone che allo stato emergano elementi tali da non poter escludere l'ipotesi di reato a carico dell'imputato ma tuttavia insufficienti per poterlo configurare. In buona sostanza appare contraddittorio che il giudice, da un lato, disponga un supplemento d'indagine perché non è in grado di decidere sulla infondatezza o fondatezza della notizia di reato - ipotesi, quest'ultima, che peraltro avrebbe comportato l'invito al Pubblico Ministero di formulare l'imputazione -, e, dall'altro, disponga l'espletamento di un atto (l'interrogatorio appunto), che postula la formulazione di un'imputazione, non è un mezzo d'indagine (non avendo l'imputato alcun dovere di accusarsi o di discolparsi o di fornire elementi di riscontro alla tesi avversa) bensì, quale garanzia difensiva, soltanto di contestazione dell'accusa (Cass. pen., n. 1783/2006).

Si osserva che se, dopo la fissazione di udienza camerale ex art. 409, comma 2, c.p.p., il GIP non accoglie la richiesta di archiviazione, può, con ordinanza non impugnabile, o indicare specificamente al P.M. ulteriori indagini, ove le ritenga necessarie, in termini indispensabili per espletarle (art. 409, comma 4, c.p.p.), o disporre che formuli l'imputazione (409, comma 5, c.p.p.) entro dieci giorni e, questa formulata, senza necessità di ulteriore richiesta del P.M., che ha già ritenuto di non esercitare l'azione penale, fissa con decreto entro due giorni l'udienza preliminare.

Data l'alternativa, s'intende che presupposto dell'ordinanza è, nel caso di cui all'art. 409, comma 4, c.p.p., l'impossibilità di decidere allo stato delle indagini sull'esercizio dell'azione penale, per insufficiente ricostruzione del fatto in misura da darne sicura definizione di reato, e, in quello dell'art. 409, comma 5, c.p.p., di poterlo fare.

La qualificazione di un fatto come reato è necessaria per la contestazione a norma dell'art. 373, comma 3, c.p.p., maggiormente perché, dopo la novella dell'art. 416 c.p.p., l'interrogatorio è premessa indispensabile della richiesta di rinvio a giudizio, a fine di garanzia dell'indagato prima dell'esercizio dell'azione penale, mentre in precedenza il P.M., libero nella scelta, poteva non disporlo.

Pertanto, nel caso di cui all'art. 409, comma 4, c.p.p., il GIP non può indicare al P.M. l'interrogatorio dell'indagato quale atto d'indagine, perché la norma presuppone che allo stato emergano elementi tali da non poter escludere ipotesi di reato a suo carico, ma insufficienti per poterla configurare. L'ordinanza che contenga tale indicazione è conseguentemente abnorme, vieppiù se, ricostruito il fatto, ne dia qualificazione giuridica, perché se è possibile formulare l'imputazione, il GIP disposto che tanto sia fatto dal P.M., deve subito disporre l'udienza preliminare, nella quale l'imputato può rendere le sue ragioni di difesa (Cass.pen., n. 2293/1999).

Da quanto precede – secondo tale orientamento – ne consegue che imbastire un atto processuale che manca dei requisiti minimali di validità (basti pensare che il P.M. non può procedere a contestazioni perché l'accusa è tanto dubbia da averne chiesto l'archiviazione) costituisce una alterazione della struttura logica del processo penale ed una implicita stasi dello stesso assolutamente ingiustificabile.

Al contrario l'orientamento che riconosce la possibilità che il GIP richieda nuove indagini, consistenti - nello specifico nell'interrogatorio dell'indagato - muove dalla rilevanza dei contenuti dichiarativi, dei quali è necessario l'apprezzamento per il doveroso completamento dell'orizzonte cognitivo sulla vicenda in esame, anche ai fini di ulteriori determinazioni, concludendo che il giudice non eserciti poteri eccedenti la sua competenza, né renda pronunzia che si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale, o che comunque determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.

Nessuna delle dette eventualità ricorre in tale evenienza: non si realizza né un indebito ritorno ad una fase del procedimento già esaurita e conclusa, né una paralisi irrimediabile del suo corso, considerato che la sfera di valutazione del giudice per le indagini preliminari non è limitata ad un semplice esame della richiesta finale del pubblico ministero, ma è estesa al complesso degli atti procedimentali rimessi al giudice dall'organo requirente (nel rispetto delle prerogative del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale).

Il provvedimento assunto dal giudice è assunto nell'ambito del potere ordinatorio riconosciutogli.

Valutare ab origine, la superfluità delle dichiarazioni dell'indagato - sul presupposto che quest'ultimo non ha alcun dovere di accusarsi o discolparsi o di fornire elementi di riscontro alle tesi dell'accusa - comporta un sindacato anticipatorio di merito.

L'interrogatorio, invero, pur essendo un fondamentale momento di garanzia quale interlocuzione del soggetto indiziato con l'autorità giudiziaria, può avere anche una valenza investigativa, laddove conduca alla raccolta di elementi a carico di chi lo rende, elementi pienamente utilizzabili contra reum; si pensi a quando, per esempio, l'indagato confessi ovvero - anche involontariamente -fornisca indicazioni atte a smentire la valenza a discarico di eventuali elementi raccolti. Si tratta di dichiarazioni che, pur essendo raccolte nel corso dell'interrogatorio, sono certamente dotate di una valenza a carico che può sostanziare o contribuire a sostanziare il compendio investigativo.

Non va sottaciuto, inoltre, che l'interrogatorio - da solo o combinandosi con gli altri elementi a disposizione del giudice per la decisione - può avere anche una mera funzionalità "ricostruttiva" in fatto, che può agevolare la decisione del Giudice, anche rispetto alle prospettive di evoluzione dibattimentale dell'accusa che pure quest'ultimo deve vagliare nella scelta tra archiviare e disporre l'imputazione coatta; ciò a fortiori laddove il soggetto sottoposto alle indagini non sia stato mai escusso prima.

Ne consegue che negare del tutto ed a priori la possibile valenza ricostruttiva e/o investigativa dell'interrogatorio - quale presupposto per sancire l'abnormità della tipologia di provvedimento di cui si discute - rischia di apparire una lettura formalistica della dinamica processuale.

Osservazioni

Di regola, il soggetto al quale si addebita la commissione di un fatto-reato partecipa all'attività di accertamento del fatto come titolare sia di diritti di natura processuale, che nascono e trovano attuazione proprio nello sviluppo della vicenda giudiziaria (come il diritto di difesa), sia di diritti collegati alle libertà fondamentali, che spettano all'individuo come tale anche indipendentemente dal suo coinvolgimento in un processo.

Ne consegue che rispetto a questi ultimi il processo non è tanto il luogo di radicamento della relativa garanzia, bensì il luogo in cui operano i meccanismi garantistici previsti per la tutela di tali diritti, nell'ipotesi in cui si renda eventualmente necessaria una loro limitazione.

Altro diritto fondamentale riconosciuto alla persona accusata di un fatto-reato è quello di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte difensive, detto anche diritto alla libertà morale: al soggetto incolpato viene assicurato il diritto di scegliere, senza alcun condizionamento, se concorrere o meno all'accertamento del fatto addebitatogli attraverso il proprio contributo conoscitivo.

La tutela della libertà morale della persona nell'assunzione della prova rappresenta una diretta applicazione dell'art. 2 Cost., non essendo revocabile in dubbio l'inclusione dell'autodeterminazione tra i diritti inviolabili dell'uomo garantiti dalla citata norma costituzionale. La libertà di autodeterminazione è espressamente tutelata anche dalla legislazione ordinaria. In materia di disposizioni generali sulla prova, l'art. 188 c.p.p. stabilisce che “non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione”.

Tale divieto trova applicazione per ogni tipo di attività probatoria, poiché si tratta di un principio generale di ordine pubblico processuale posto a presidio della dignità della persona.

Secondo una elaborazione dottrinale sviluppatasi già nella vigenza dei codici di rito penale del 1913 e del 1930, l'imputato può assumere, rispetto alla formazione della prova, un duplice ruolo quale “organo” e quale “oggetto” di prova.

In relazione alle indagini compiute dalla polizia giudiziaria, si pensi ai rilievi ed accertamenti finalizzati alla all'identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2, c.p.p.), al prelievo di saliva o capelli strumentale sempre all'identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2-bis, c.p.p.), ai rilievi ed accertamenti urgenti su persone diversi dall'ispezione personale (art. 354, comma 3, c.p.p.) ovvero alle perquisizioni urgenti (art. 352 c.p.p.). Sempre con riferimento alle indagini preliminari, viene inoltre in considerazione l'attività di indagine del pubblico ministero, che può compiere accertamenti tecnici sul corpo della persona (artt. 359, 359 bis, 360 c.p.p.), l'individuazione di persona (art. 361 c.p.p.) nonché le ispezioni e le perquisizioni personali. Infine, sul piano della formazione della prova, vanno menzionate le ricognizioni di persone (art. 213 c.p.p.) e le perizie da effettuarsi sul corpo umano (artt. 220 c.p.p.), tra le quali quelle richiedenti il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale ai fini della determinazione del profilo del DNA od altri accertamenti medici (art. 224-bis c.p.p.).

Come “organo” di prova l'imputato svolge un'attività inerente al concetto di autodifesa, la cui esplicazione principale sta nel contributo attivo consistente nel rendere dichiarazioni relative all'accertamento del fatto. Occorre far riferimento a istituti quali l'interrogatorio, l'esame dibattimentale, e a tutti gli atti latu sensu probatori consistenti nel rendere dichiarazioni inerenti al fatto da accertare.

La principale facoltà sottesa al diritto di autodifesa passiva, cioè al diritto di non fornire elementi di prova in proprio danno, è sicuramente quella che permette all'individuo sottoposto a procedimento penale di partecipare al suo interrogatorio ovvero all'atto in cui sia, comunque, “sentito” come persona consapevole delle sua posizione (in particolare, dell'addebito, anche provvisorio, a suo carico) e libera di autodeterminarsi nelle sue opzioni difensive; cosicché egli possa decidere il rifiuto preliminare di sottostare a qualsiasi domanda postagli dall'autorità, o anche di non rispondere ad una o a più (od a tutte) le domande rivoltegli.

La legittima pretesa che sia l'accusa a provare tutti gli elementi della fattispecie esclude la sussistenza, sotto qualsiasi forma, di un onere di difesa.

L'imputato ha la più ampia libertà di scegliere se svolgere o no attività probatoria, se controdedurre per confutare le accuse o limitarsi alla negativa. L'opportunità di attenersi all'una o all'altra condotta dipende naturalmente dalla concreta situazione processuale; in particolare dall'entità delle prove a carico.

Inoltre, il precetto costituzionale impone di guardare all'indagato come a un presunto non colpevole e, cioè, come alla persona meno informata dei fatti oggetto di imputazione. Sul piano logico, prima ancora che su quello giuridico, sarebbe inammissibile pretendere da tale soggetto un contributo conoscitivo in ordine a circostanze che si devono ritenere da lui non conosciute, in quanto, appunto, presunto innocente.

L'unica soluzione rispettosa della presunzione di non colpevolezza è, dunque, quella di escludere ogni obbligo di collaborazione a carico dell'interrogato e di vietare all'autorità procedente di coltivare anche solo un'aspettativa di collaborazione.

Tuttavia, non può essere obliterato che l'istituto dell'interrogatorio è un atto ontologicamente complesso nel quale prevale l'aspetto investigativo se viene condotto dal P.M. (o dalla P.G., previa delega ex art. 370 c.p.p.), mentre assume connotati garantistici di controllo se è reso dinanzi al giudice.

In tal senso si colgono del resto le profonde differenze rispetto alle sommarie informazioni ex art. 350 c.p.p. (che svolgono eminentemente funzione investigativa).

Anzi, nell'interrogatorio coesistono ambedue gli aspetti, al di là della prevalenza dell'uno sull'altro a seconda di chi lo effettui, organo inquirente o decidente.
Più precisamente, si faccia riferimento: a) l'interrogatorio da parte del p.m. durante le indagini preliminari, determinato da presentazione spontanea (art. 374 c.p.p.) o da invito a presentarsi (art. 375 c.p.p.), oppure da arresto o fermo di indiziato di delitto (art. 388, comma 2, c.p.p.); b) l'interrogatorio dell'indiziato sottoposto a misura cautelare, oppure precautelare, da parte del GIP (artt. 289, comma 2, 294, 299, comma 3-ter, 391, comma 3, c.p.p.); c) le sommarie informazioni dall'indagato e/o l'interrogatorio delegato del medesimo ad opera della polizia giudiziaria (artt. 350 e 370, comma 1, c.p.p.); d) l'interrogatorio cui l'imputato richieda di essere sottoposto nell'udienza preliminare ordinaria oppure in sede d'integrazione probatoria disposta dal giudice durante la stessa fase (artt. 421, comma 2, 422, comma 4, c.p.p.); e) l'interrogatorio cui l'imputato chieda d'essere sottoposto nel corso del giudizio abbreviato (art. 441, comma 6, c.p.p. in relazione all'art. 422, comma 4, c.p.p.).

Inoltre, deve evidenziarsi che, a seguito delle modifiche introdotte con la l. n. 267/1997 e l. n. 479/1999, se reso dinanzi al GUP in sede di discussione ex art. 421 c.p.p. o d'integrazione probatoria ex art. 422, comma 4, c.p.p., l'interrogatorio si svolge, se richiesto dalla parte, nelle forme dell'esame incrociato, proprio con le tipiche modalità dibattimentali di cui agli artt. 498 e ss c.p.p., a sottolineare che esso è preordinato all'assunzione della prova, in modo incompatibile con la funzione (esclusivamente) difensiva che taluno soltanto vorrebbe riconoscergli: in udienza preliminare il giudice è pure chiamato a valutare, sulla base di esso, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria prospettata dal P.M.

Così pure l'art. 514 c.p.p. ne consente l'acquisizione al fascicolo del dibattimento, previa lettura.

Pertanto, l'interrogatorio presenta una duplice finalità di modo che lo stesso può costituire oggetto dell'indagine ordinata dal GIP al P.M., all'esito delle attività di cui all'art. 409 c.p.p.

Guida all'approfondimento

Cavallari, La capacità dell'imputato, Milano, 1968, 180;

Dominioni, Imputato, in Enciclopedia dir., XX, Milano, 1970, 789 s.;

Florian, Delle prove penali, I, Milano, 1924, 136 s.;

Grevi, Garanzie individuali ed esigenze di difesa sociale nel processo penale, in Alla ricerca di un processo penale “giusto”. Itinerari e prospettive, Milano, 2000, 13;

Laronga, Nemo tenetur se detegere, in www.questionegiustizia.it;

Mazza, L'interrogatorio e l'esame dell'imputato nel suo procedimento, Milano, 2004, 45;

Ubertis, Sistema di procedura penale, Torino, 2004, 175.

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