Non si può perquisire l'ufficio dell'avvocato indagato per sequestrare documentazione diversa dalle tracce del reato. Il paradosso del giudizio di rinvio

10 Febbraio 2021

Una corretta lettura dell'art. 103, commi 2 e 7, c.p.p. non consente di estendere la possibilità di eseguire un sequestro presso il difensore a beni che non rientrino nel concetto di corpo del reato...
Massima

Una corretta lettura dell'art. 103, commi 2 e 7, c.p.p. non consente di estendere la possibilità di eseguire un sequestro presso il difensore a beni che non rientrino nel concetto di corpo del reato. In particolare, non è consentito, a pena di inutilizzabilità, il sequestro delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti, per cui pure il sequestro probatorio è, in generale previsto, al fine di apprendere al procedimento, ai fini di prova, cose che possano essere utili per gli sviluppi investigativi.

Il caso

Nel procedere a carico di un avvocato per il reato di cui all'art. 481 c.p. per avere falsificato la firma del cliente apposta alla istanza per la ammissione al patrocinio a spese dello stato nel procedimento penale a carico dello stesso, il pubblico ministero disponeva con decreto la perquisizione dello studio professionale e di altri locali nella disponibilità del legale affinché fosse ricercata e sequestrata:

a) la documentazione concernente la pratica per l'ammissione al patrocinio nell'ambito della quale si sarebbe realizzata la falsificazione;

b) la documentazione pertinente ai fatti reato per cui si procede(va);

c) la documentazione concernente la percezione di somme di denaro riconducibili ad altre pratiche di gratuito patrocinio, collocate tra il primo gennaio 2018 ed il mese di dicembre 2019.

In esito alla esecuzione dell'atto a sorpresa, si perveniva al sequestro di: 1) alcune cartelle di studio contenenti documentazione cartacea relativa al procedimento penale concernente l'istanza dell'indagato ritenuta falsamente sottoscritta, anche riguardante altre persone coimputate con il primo, carte peraltro rinvenute in altro locale, denominato uso archivio, risultato alla disponibilità del difensore perquisito; 2) numerose cartelline e plichi contenenti ulteriore documentazione relativa a pratiche di ammissione al patrocinio a spese dello Stato di altri clienti; 3) intero contenuto informatico dei supporti fissi e mobili in uso al difensore indagato, i cui dati venivano appresi mediante la materiale asportazione di due hard disk ad opera della polizia giudiziaria su indicazione del pubblico ministero coadiuvato nell'occasione dal consulente tecnico preventivamente nominato ai fini della estrazione di copie forensi dei materiali telematici da apprendere.

Il Tribunale del riesame reale accoglieva parzialmente la richiesta avanzata dal legale inquisito annullando il sequestro limitatamente alle pratiche di ammissione al patrocinio a spese dello Stato diverse da quella concernente l'assistito – persona offesa dal falso, ritenendo il genetico difetto sia della specificazione del vincolo di pertinenzialità rispetto a detta falsificazione, sia della prospettazione di altre ipotesi di reato. Respingeva nel resto.

Avverso l'ordinanza del riesame ricorrevano sia il pubblico ministero che l'indagato.

Il primo, formulando un unico motivo, denunciava la illegittimità dell'annullamento parziale per violazione degli artt. 324 e 326 c.p.p., essendosi il Tribunale del riesame spinto a giudicare le ipotesi accusatrici pur prospettate con il decreto considerato.

Il secondo censurava il provvedimento reso dal riesame quanto al capo reiettivo. Ribadiva, dolendosi con un unico motivo, l'illegittimità complessiva del sequestro della documentazione cartacea e di quella telematica ut supra sub 1) e 2) perspicacemente osservando, come fosse ben noto che il corpo del reato del falso ipotizzato, costituito dall'originale dell'istanza su cui sarebbe stata apposta la falsa sottoscrizione dell'assistito per ottenergli l'ammissione al patrocinio statuale, si trovasse depositato nella sede della competente struttura pubblica presso cui poteva e doveva essere acquisito.

La Corte di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero e, ritenuto fondato quello proposto dal difensore dell'avvocato indagato, ha annullato il provvedimento impugnato in parte qua disponendo il rinvio al medesimo Tribunale affinché proceda ad un nuovo esame della regiudicanda… secondo i principi espressi nella massima, vagliando specificamente quali documenti tra quelli sequestrati, possano restare vincolati e quali vadano restituiti.

La questione

È legittimo disporre la perquisizione dell'ufficio del difensore sottoposto alle indagini per il reato di falsità in danno dell'assistito di cui all'art. 481 c.p., al fine di ricercare e sottoporre a sequestro documentazione cartacea o di tipo immateriale estraibile dai dispositivi elettronici, presupponendone l'utilità ai fini probatori anche per ipotetici reati ulteriori rispetto a quello per cui si procede?

Le soluzioni giuridiche

Un primo aspetto messo a fuoco dalla la sentenza in esame è individuabile nel capo con cui viene ritenuta la manifesta infondatezza del ricorso del pubblico ministero. La Corte riafferma la illegittimità del sequestro già rilevata e dichiarata dal giudice del riesame, quanto alla documentazione anche informatica concernente gli incarichi difensivi affidati al legale inquisito da persone diverse dal cliente denunciante in quanto da questi espletati in regime di patrocinio statuale.

Non si può sottoporre a sequestro presso il difensore alcuna documentazione, quale che ne sia la forma, in difetto di una precisa indicazione di un qualche reale vincolo di pertinenzialità concretamente riconducibile al reato a questi attribuito.

La misura ablativa, peraltro, non può essere legittimamente praticata senza la preventiva allegazione del fumus di ipotesi di reato diverse e ulteriori, rispetto a quella per cui si sta procedendo a carico del legale, occorrendo al contempo la specificazione di come, senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria,non risulti possibile l'espletamento delle ulteriori indagini finalizzate alla acquisizione di prove certe o ulteriori del fatto stesso (Cass. pen., sez.III, 3 ottobre 2019, n. 3465).

Un secondo aspetto, altrettanto rilevante, in merito alla questione posta per pervenire all'accoglimento del ricorso proposto dal difensore indagato, viene affrontato dalla Corte muovendo dalla analisi della immunità apprestata al difensore dall'art. 103 c.p.p. che, al comma 2, esprime il divieto di procedere al sequestro pressolo stesso di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano il corpo del reato; nonché, al successivo comma 7, commina per ogni violazione o elusione di siffatto divieto la sanzione della inutilizzabilità probatoria dei risultati del sequestro stesso.

I supremi giudici, operando contestuale lettura dell'art. 253, comma 2, c.p.p., si preoccupano di precisare il concetto del corpo del reato ricomprendendovi le cose sulle quali il reato è stato commesso nonché quelle che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo, per pervenire ad escludere, in adesione all'indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo i richiami ivi operati, da siffatto contesto normativo la legittimità di una ricerca documentale finalizzata al sequestro presso il difensore, ma per mera utilità probatoria, delle ”cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti” in quanto eccentriche al perimetro legalmente assegnato al concetto di corpo del reato.

Fissati divieto e regola di esclusione probatoria, la Corte tuttavia, dopo aver premesso di non versare nella condizione di poter procedere ad una dettagliata verifica della legale pertinenzialità della documentazione sequestrata, ha annullato il provvedimento impugnato, demandando mediante rinvio al Giudice del riesame il vaglio finalizzato a stabilire ciò che può essere acquisito secondo i principi richiamati.

Osservazioni

In un tempo in cui gli orientamenti giurisprudenziali continuano ad esprimere plurime abrasioni ai principi ed alle garanzie dell'accusato, la decisione in commento si pone in confortante controtendenza, lasciandosi apprezzare almeno sin dove, operando una corretta lettura sostanziale dell'art. 103 c.p.p. sulla scia del duplice insegnamento reso già nel 1993 dalle S.U. penali (con le sentenze gemelle del 12 novembre 1993 n. 24, De Gasperini e n. 25, Grollino) rinnovala puntualizzazione degli esatti confini delle immunità che spettano al difensore, anche in quanto inquisito per fatto connesso all'espletamento della funzione.

Le garanzie, quanto a ispezioni, perquisizioni e sequestri da eseguire negli uffici dei difensori, per restare al caso di specie, debbono quindi ritenersi connesse direttamente ai luoghi in quanto collegabili alle persone che in essi operano per ragione del proprio ministero difensivo o di una specifica attività professionale ad esso connessa. Si tratta di immunità assicurate a tali soggetti non già perché si deve riconoscere loro un qualche privilegio, ma al precipuo scopo di garantire la intangibilità di una piena esplicazione del diritto di difesa al riparo da incursioni esterne ad opera di chi indaga.

Al riguardo merita di essere ricordata la emblematica decisione concernente la affermazione della operatività delle menzionate immunità quanto al contenuto dell'involucro costituito dalla classica “borsa professionale” intesa alla stregua di itinerante proiezione spaziale dell'ufficio del difensore (Cass. pen. sez. V, 15 dicembre 2016 n. 8031).

In primo luogo i difensori, ma anche i collaboratori in funzione investigativa o in proiezione tecnica della funzione di cui i primi sono i titolari.

Gli atti pervasivi, ispettivi e ablativi sono tuttavia eseguibili nei luoghi suddetti e su quanto ivi contenuto solo ove risulti ricorrente almeno uno dei due presupposti indicati con precisione dall'art. 103 c.p.p.

Quanto al primo, che imputato sia lo stesso difensore o persona che ivi operi quale dipendente o collaboratore, limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito (comma 1, lett. a).

Quanto al secondo, che, anche al di fuori del suddetto coinvolgimento, l'ufficio indagante intenda rilevare tracce o altri effetti materiali del reato ovvero ricercare cose o persone specificamente predeterminate proprio in quei luoghi.

Tuttavia non possono essere sottoposte a sequestro carte o documenti, di qualsiasi genere o materia questi risultino costituiti – secondo la esemplificazione non esaustiva recata dall'art. 234 comma 1 c.p.p.

Con specifico riguardo alla operatività della preclusione ablativa soprattutto per la incisiva caratterizzazione dei documenti immateriali di cui pure si ritenesse di disporre ricerca e sequestro al dichiarato scopo di individuare la pertinenzialità al reato dei contenuti in esito alla trasposizione in chiaro degli stessi mediante la creazione della c.d. copia forense o copia originale e trattenendo senza immediata cernita e per intero quest'ultima agli atti procedimentali, è certamente il caso di segnalare gli importanti approdi raggiunti in tali sensi da coeva decisione (Cass. pen. sez. VI, 22 settembre 2020 n. 34265, Aleotti ed altri). Tra questi, non ultimo, quello della censura dell'indebito trattenimento di tutti i dati a prescindere da ogni nesso di ragionevole o appena proporzionale relazione.

Orbene, nonostante gli evidenziati profili dello statuto delle immunità apprestate per il difensore, la Corte pare abbia ritenuto di non considerare proprio ai fini dell'imprescindibile controllo di legalità, il dato fattuale ben stigmatizzato dal ricorrente e persino ribadito tra gli aspetti di rilievo del ricorso attraverso la ricostruzione della vicenda processuale.

A ben guardare si è trattato di un fatto presupposto dalla portata dirimente proprio quanto al versante giuridico processuale della vicenda.

Nel preciso momento in cui, il pubblico ministero si determinava ad adottare nella vicenda procedimentale in esame, il decreto per disporre la perquisizione finalizzata al sequestro probatorio dell'ufficio del difensore indagato, il corpo del reato di falsità grafica a questi attribuito e costituito dall'originale della istanza per l'ammissione al patrocinio statuale dell'assistito della cui sottoscrizione era stata da questi denunciata la apocrifia, si trovava materialmente aliunde, essendo stato depositato presso l'ufficio di cancelleria competente. In tal modo dell'atto falso ne era stato fatto l'uso penalmente rilevante affidando il documento in luogo sicuramente diverso dall'ufficio del difensore.

La pur evidenziata circostanza fattuale rendeva ben palese come risultasse carente ab imis il presupposto fondamentale idoneo a legittimare i penetranti atti pervasisi e ablativi disposti e eseguiti da quel pubblico ministero in danno di quel difensore e, nel riconosciuto difetto di una specifica indicazione delle solo enunciate cose pertinenti al reato, emergeva con chiarezza la ontologica illegittimità dell'intero atto dispositivo di quella perquisizione e del relativo sequestro.

Tanto avrebbe dovuto rappresentare per la stessa Corte, una volta deciso l'annullamento per illegittimità del provvedimento del riesame impugnato, l'ultroneità e persino la contraddittorietà della decisione quanto al rinvio per un nuovo esame finalizzato alla esecuzione di un vaglio dichiaratamente orientato a individuare specificamente quali documenti, tra quelli sequestrati, possano restare vincolati; decisione a tal punto, inappropriata.

Rinvio quindi, disfunzionale oltre che contrastante con il principio di diritto affermato sin dalla premessa stessa della decisione “… l'ordinanza impugnata va annullata quanto alla conferma del decreto di sequestro, con particolare riferimento a tutta la documentazione diversa dall'istanza di ammissione al patrocino statuale di L.…” pur orientata in chiave sanzionatoria.

Come è stato icasticamente sottolineato di recente “Il garantismo è di per sé una disciplina estremamente faticosa” (L. Manconi, F. Graziani).

Guida all'approfondimento

CIANI, Ancora qualche puntualizzazione sulle garanzie di libertà del difensore, in CP 1998, 848;

CORDERO, Procedura penale,8a ed., Milano 2006, 281 ss.;

FRIGO, sub art. 103, in Comm. Amodio, Dominioni, I, Milano 1989, 654 ss.;

JESU, Le garanzie di libertà del difensore nella ricostruzione delle Sezioni Unite: un'opportuna precisazione e qualche nuovo dubbio, in CP 1994, 2021;

JESU, Le compromesse “garanzie di libertà del difensore” nella giurisprudenza della Suprema Corte, in DPP 2007, 489;

MANCONI – GRAZIANI, Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale. Milano, 2020;

PAPAGNO, I limiti oggettivi delle garanzie difensive ex art. 103 comma 2 c.p.p. e l'analisi funzionale sul materiale sequestrato, in DPP 2004, 1119;

POTETTI, Note in tema di sequestro avente ad oggetto appunti predisposti ai fini difensivi, in CP 1999, 817;

SCALFATI, Ricerca delle prove e immunità difensive, Padova, 2001.

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