L'acquisto di riviste erotiche da parte del detenuto sottoposto al regime di carcere duro

Lorenzo Cattelan
15 Febbraio 2021

Il rifiuto opposto dalla Direzione dell'istituto di pena alla richiesta di acquisto di riviste pornografiche da parte di un detenuto sottoposto al regime di carcere duro è illegittimo in quanto non è congruo e proporzionale rispetto alla finalità della restrizione...
Massima

Il rifiuto opposto dalla Direzione dell'istituto di pena alla richiesta di acquisto di riviste pornograficheda parte di un detenuto sottoposto al regime di carcere duro, di cui all'art. 41-bis della Legge 26 luglio 1975, n. 354, è illegittimo in quanto non è congruo e proporzionalerispetto alla finalità della restrizione, non cogliendosi – in assenza di una previsione di legge – alcun nesso logico e teleologico tra il contenimento del diritto alla sessualità del detenuto da esercitarsi acquistando e trattenendo la stampa (pubblicazione o rivista) di genere e la finalità di tutela dell'ordine interno e della sicurezza interna in base alla ratio dell'art. 41-bis c.p.

Il caso

L'ordinanza in commento si iscrive nel dibattito inerente alla tutela della sessualità, seppur effimera, del detenuto sottoposto al regime di carcere duro. L'argomento è di particolare delicatezza perché presuppone il dialogo tra le latenze erotiche subesistenti ad ogni individuo e le esigenze di particolare rigore contenitivo richieste dalla eccezionale pericolosità sociale dell'interessato.

In particolare, la vicenda in esame prende le mosse dalla richiesta di un detenuto al regime di cui all'art. 41-bis c.p., rivolta alla Direzione del competente istituto di pena, di poter acquistare riviste per adulti reperibili sul mercato.

In conformità all'iniziale valutazione dell'Amministrazione penitenziaria, il Magistrato di Sorveglianza ha rigettato il reclamo presentato dal recluso non riconoscendo alcun diritto dei soggetti ristretti alla visione di materiale erotico. Al più, infatti, si tratterebbe di un mero interesse, peraltro ritenuto non essenziale all'equilibrio psico-fisico della persona. Nella stessa occasione, poi, si sono espresse preoccupazioni in ordine alla possibilità di veicolare, attraverso le riviste pornografiche, messaggi ed annunci criptici provenienti dall'esterno.

Avverso la decisione del Magistrato, il detenuto ha quindi presentato opposizione al Tribunale di sorveglianza. Sollecitata in sede di istruttoria, la Direzione dell'istituto penitenziario ha esposto che:

  • le riviste erotiche sarebbero irreperibili negli esercizi commerciali della zona;
  • l'impresa di mantenimento non acquisterebbe tali giornali da oltre dieci anni, in mancanza anche di una simile richiesta da parte dei detenuti;
  • all'interno degli stampati potrebbero essere contenuti messaggi (anche privati), passibili di veicolare notizie criptiche e pregiudizievoli per l'ordine e la sicurezza pubblica.
La questione

Le questioni giuridiche sottese alla pronuncia del Tribunale di Sorveglianza di Roma sono le seguenti:

  • se la repressione della sfera sessuale del recluso al 41-bis sia necessaria e giustificata in quanto strettamente connessa alla sospensione delle ordinarie regole trattamentali propria del regime differenziato;
  • se la pretesa del detenuto di acquistare riviste pornografiche sia riconducibile alla tutela del diritto all'informazione e, pertanto, se l'eventuale limitazione rientri fra le legittime ipotesi che giustificano la compressione del diritto ex art. 18-ter, comma primo, c.p., ovvero ex art. 38 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230(di seguito “reg. esec.”);
  • se la circolazione di riviste pornografiche all'interno delle mura carcerarie possa trovare tutela nella valorizzazione nell'art. 8 CEDU, laddove viene assicurata la “protezione dei caratteri personali” dell'individuo;
  • se l'acquisto e il successivo trattenimento di stampati erotici siano qualificabili in termini di semplice pretesa ovvero di diritto tutelabile ai sensi dell'art. 35-bisc.p.
Le soluzioni giuridiche

La prima osservazione compiuta dai Giudici di sorveglianza attiene al catalogo delle restrizioni implicate dall'art. 41-bis c.p.

In particolare, si conferma l'orientamento secondo cui le limitazioni menzionate dal comma 2-quater della medesima disposizione sarebbero da intendersi in maniera restrittiva. In questo senso, non sarebbe configurabile una modulazione amministrativa del trattamento applicabile ai detenuti di eccezionale pericolosità (cfr. Cass. pen., sez. I, 26 novembre 2013, n. 49729). Restrizioni ulteriori rispetto a quelle previste “non sono possibili salvo che derivino da assoluta incompatibilità della norma ordinamentale di volta in volta considerata con i contenuti normativi tipici del regime differenziato” (Cass. pen., sez. I, 24 giugno 2013, n. 39537).

Ecco che, allora, la pretesa del detenuto al regime differenziato di fruire di riviste pornografiche, correttamente inquadrabile nell'alveo della tutela della sua sessualità sublimata, non va incontro alle riserve espresse dall'art. 18-ter c.p. Infatti, l'interessato, nel caso di specie, non richiede la ricezione di materiale erotico per corrispondenza. La questione, quindi, non è riducibile all'ambito del diritto all'informazione. Sul punto, anche la Corte Costituzionale, con sentenza 8 febbraio (dep. 16 maggio) n. 122, ha sostenuto che la ricezione dall'esterno di pubblicazioni (libri e riviste) esula dalle garanzie costituzionali in tema di corrispondenza (art. 15 Cost.), costituendo espressione del diritto di informarsi e di istruirsi ricadente nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero di cui all'art. 21 Cost.

Più approfonditamente, il Tribunale di Sorveglianza ritiene che la fruizione del materiale erotico da parte del detenuto sia espressione di quel diritto alla sessualità “effimera” che, in prospettiva evolutiva, trova tutela nell'art. 8 CEDU, nella parte in cui si assicura la protezione dei dati di carattere personale, tra cui non ancillare è quello alla pratica sessuale. Così, “la richiesta di acquistare riviste per soli uomini rinviene la propria motivazione nella possibilità di visionare fotografie erotiche al fine di migliorare la vita sessuale del detenuto sottoposto al regime differenziato per il quale l'orizzonte espressivo della libertà sessuale si riduce ad una dimensione effimera e sublimata”.

La posizione soggettiva avanzata dall'interessato, quindi, è di diritto soggettivo assoluto. Tale assunto, peraltro, è corroborato da una consolidata giurisprudenza, secondo cui la libera disposizione della propria sessualità è un diritto “che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire” (Corte Costituzionale, 18 dicembre 1987, n. 571; negli stessi termini anche Corte Costituzionale, 6 marzo 2019, n. 141). Ne deriva che la pretesa sollevata nel caso di specie integra un diritto tutelabile tramite il meccanismo del reclamo giurisdizionale di cui all'art. 35-bisc.p. Tale soluzione interpretativa è, peraltro, sostenuta da un filone giurisprudenziale che si è già pronunciato a favore del riconoscimento del diritto del detenuto a ricevere e trattenere riviste erotiche (cfr. Cass. pen, sez. I, 30 giugno 2011, n. 45410; Mag. Sorv. L'Aquilia, ord. 5 settembre 2018; da ultimo, in relazione ad un detenuto comune, Mag. Sorv. Verona, ord. 12 febbraio 2020).

Tanto premesso, l'ordinanza in commento evidenzia l'irrazionalità della esposta limitazione rispetto alle finalità proprie del regime del carcere duro.

Con estrema chiarezza, il Tribunale osserva che i rapporti tra Amministrazione penitenziaria e Magistratura di Sorveglianza sono orientati al principio di proporzionalità. Ne deriva che le compressioni delle libertà del detenuto al 41-bis appaiono giustificate solo se proporzionate rispetto al fine perseguito. Com'è noto, il regime di carcere duro ha la sua ragion d'essere nel preservare la sicurezza e l'ordine pubblico (sia interno che esterno all'istituto penitenziario) e, conseguentemente, nell'evitare qualsiasi contatto tra l'interessato e la realtà sociale di appartenenza. Ciò posto, vietare al soggetto ristretto di esprimere la propria sessualità – oltretutto in modalità sublimata – non è conforme al principio di proporzionalità, inteso nelle accezioni di idoneità, necessarietà e adeguatezza; al contrario, un simile divieto appare connotato da mere finalità afflittive.

Gli stessi Giudici di sorveglianza, poi, ricordano che anche la Corte Costituzionale ha di recente statuito che è “possibile sospendere solo l'applicazione di regole ed istituti dell'ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza”. Per questa ragione non possono disporsi “misure che, a causa del loro contenuto, a quelle concrete esigenze non siano riconducibili perché risulterebbero palesemente inidonee o incongrue rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato”: “mancando tale congruità, infatti, le misure in questione non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisirebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all'ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento materiale (sentenza n. 351 del 1996)” (Corte Costituzionale, 26 settembre 2018).

Così risolte le questioni di diritto, i Giudici del Tribunale romano, in accoglimento del reclamo, hanno ordinato all'Amministrazione penitenziaria di procedere – a spese dell'interessato – a sottoscrivere un abbonamento ad una rivista per adulti, in conformità all'art. 19 della circolare DAP del 2 ottobre 2017 n. 3676 (che prevede, in generale, la possibilità di acquistare o sottoscrivere abbonamenti per il tramite della Direzione).

Infine, rilevata l'eccezionale pericolosità sociale del ristretto, meritevole addirittura del contenimento proprio del regime del carcere duro, il Collegio ha ordinato la sottoposizione al visto di controllo delle riviste in questione prima della consegna all'interessato, per scongiurare il rischio che possano essere veicolati testi diversi dalle immagini e/o idonei a trasmettere messaggi al detenuto.

Osservazioni

Come si è già osservato in occasione del commento pubblicato su questa Rivista all'ordinanza 12 febbraio 2020 del Mag. Sorv. Verona (a cui si rinvia), dietro alla specificità del caso di specie si racchiude un tema quanto mai delicato e, come tale, meritevole di essere posto in luce: l'affettività del detenuto.

Sul punto, l'influenza Goffmaniana ha condotto parte della dottrina (Pugiotto, Pulvirenti) a sostenere che in quanto aggiuntiva pena corporale, la forzata astensione sessuale del detenuto configura trattamento inumano, il cui divieto è sancito quale vincolo negativo direttamente dall'art. 27, comma terzo, Cost. ed indirettamente dall'art. 117, comma primo, Cost. per il tramite del disposto di cui all'art. 3 CEDU.

Al di là di questa estrema posizione, vi è un dato di fondo sicuramente non trascurabile: la sessualità è espressione di una posizione soggettiva assoluta riconosciuta dalla Carta Fondamentale (artt. 2, 3) a qualsiasivoglia persona fisica, in quanto coessenziale elemento della personalità di ciascun individuo. Ciononostante, non si può non tenere conto della particolare condizione in cui si trovano i soggetti inseriti nel circuito carcerario, specie se sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis c.p. In questo senso, allora, è ben necessaria un'attenta opera di bilanciamento che tenga conto in particolar modo delle esigenze di contenimento dell'elevatissima pericolosità sociale del detenuto.

La giurisprudenza – anche della Corte EDU – è costante nell'affermare che il regime di cui all'art. 41-bis c.p. non costituisce, di per sé, violazione dei diritti umani del detenuto (cfr., ex plurimis, Corte EDU, sez. IV, 24 settembre 2015 Paolello c. Italia, Ric. n. 37648/02; Corte EDU, sez. II, 28 settembre 2000, Messina c. Italia, ric. n. 25498/94; Corte EDU, Grande Camera, 6 aprile 2000, Labita c. Italia, ric. n. 26772/85). Più precisamente, i Giudici di Strasburgo hanno ribadito, a partire dal leading case Labita c. Italia, l'astratta conformità del regime speciale di detenzione alla Convenzione e precisato come, affinché si possa integrare una violazione dei diritti umani, sia necessario esaminare le peculiarità del caso concreto. Solamente laddove, infatti, le misure restrittive, in regime di 41-bis c.p., oltrepassino la soglia minima di gravità di cui all'art. 3 CEDU allora sarà possibile individuare, nei casi più gravi un'ipotesi di tortura, ovvero, negli altri casi, di trattamento inumano e degradante.

Nel dettaglio, in relazione alle restrizioni all'affettività familiare presupposte dal regime differenziato, la Corte EDU ha affermato che l'ingerenza nella vita familiare e privata (art. 8, § 2 CEDU) del detenuto non viola la Convenzione, essendo tali limitazioni proporzionate allo scopo legittimo perseguito dall'art. 41-bis c.p., consistente nel “recidere i legami esistenti tra la persona interessata ed il suo ambiente criminale di origine, al fine di ridurre al minimo il rischio di utilizzazione dei contatti personali di tali detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di appartenenza” (caso Messina c. Italia). Così, il divieto di incontri intimi per i detenuti al 41-bis – pure eccentricamente messo in discussione da una parte della dottrina per i detenuti c.d. comuni – non sembra destare problemi di compatibilità con l'attuale assetto ordinamentale.

Più complesso, invece, è il ragionamento sottostante al divieto di acquistare riviste per adulti da parte dei sottoposti al regime differenziato. Le motivazioni dell'orientamento che guarda con favore alla possibilità di garantire all'interessato la fruizione di stampati erotici poggiano sulla:

  • valorizzazione dell'assenza di contatti personali;
  • portata fondamentale del diritto alla sessualità;
  • concretezza dello scopo perseguito dal regime di carcere duro;
  • irragionevolezza di un trattamento che diversifichi, sul punto, le modalità di “espressione del sé” consentite ai detenuti c.d. comuni.

Infatti, la prassi seguita dalla maggioranza delle Direzioni degli Istituti di pena autorizza i detenuti comuni a trattenere – oltreché a ricevere per corrispondenza – riviste pornografiche. Peraltro, nelle ipotesi in cui tale diritto è stato negato e l'interessato ha presentato reclamo ex art. 35-bisc.p., i Giudici di sorveglianza hanno ordinato all'Amministrazione penitenziaria di sottoscrivere un abbonamento, a spese dell'interessato, ad un periodico erotico in libera circolazione all'esterno.

Quid iuris dei detenuti al regime di carcere duro? L'eccezionale pericolosità sociale dei soggetti ristretti legittima la repressione di, seppur minime, manifestazioni della loro personalità sessuale? In caso di risposta negativa, com'è possibile assicurare la mancanza di strumentalità della pretesa vantata?

Gli interrogativi manifestano la problematicità e la delicatezza dei relativi risvolti pratici.

Dal punto di vista giuridico, la soluzione poggia – come condivisibilmente ritenuto dalla pronuncia in commento – sull'analisi delle ragioni che determinano l'esigenza di sottoporre il detenuto ad un regime detentivo speciale. In questo senso, la compressione della sessualità sublimata del sottoposto al carcere duro non risulta, in astratto, congrua e proporzionale rispetto alla finalità della restrizione, non cogliendosi – in assenza di una previsione di legge – alcun nesso logico e teleologico tra il contenimento del diritto alla sessualità del detenuto da esercitarsi acquistando e trattenendo la stampa (pubblicazione o rivista) di genere e la finalità di tutela dell'ordine interno e della sicurezza interna in base alla ratio dell'art. 41-bis c.p. Inoltre, come riconosciuto dalla Consulta, «l'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare per conseguenza il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona e dei suoi diritti» (Corte Cost., 8 febbraio 1999, n. 26).

Dunque, la mancanza di un riferimento normativo – circostanza, ahimè, sin troppo nota agli interpreti del diritto penitenziario – produce, anche in questa tematica, occasione per un intervento additivo della giurisprudenza di merito, con inevitabili rischi di disomogeneità applicative sul panorama nazionale. Il ridimensionamento delle restrizioni proprie del regime differenziato ad opera della Suprema Corte, tuttavia, consente di ritenere che la soluzione adottata dall'ordinanza in commento sia particolarmente convincente ed aderente all'evoluzione del diritto vivente (ad es., Cass. pen., sez. I, 28 febbraio2019, n. 17580 ha riconosciuto al detenuto sottoposto al regime speciale di trascorre più tempo fuori dalla camera di pernottamento; Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2017, n. 48424 ha ammesso la possibilità per il detenuto in parola di essere presente alla nascita del figlio).

Basti pensare che anche la Corte EDU è ferma nel ritenere che, laddove le misure detentive adottate impediscono de facto qualsiasi contatto del ristretto col mondo esterno, queste non possono essere considerate necessarie e proporzionate nel contesto di una società democratica (da ultimo: Corte EDU, Sez. V, 17 settembre 2020, Mirgadirov c. Azerbaijan e Turchia).

Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dalla provenienza extramuraria della rivista erotica; fattore che può determinare concreti rischi di alterazione della genuinità del materiale fruibile dal detenuto. Ciò è tanto più vero se si considera che i boss al 41-bis possiedono un linguaggio criptico difficilmente decifrabile da una superficiale sottoposizione al visto di controllo.

In ogni caso, l'art. 19 della circolare DAP 2 ottobre 2017, n. 3676 ammette che il detenuto/internato possa acquistare o sottoscrivere abbonamenti ai quotidiani a più ampia diffusione nazionale per il tramite della Direzione. Per quanto riguarda i quotidiani locali dell'area geografica di appartenenza, la stessa circolare evidenzia che è emerso che i richiedenti “manifestano interesse per tali testate giornalistiche allo scopo di tenersi informati sulle vicende connesse al clan criminale ovvero per verificare l'avvenuta esecuzione dei propri ordini veicolati all'esterno. Infatti, tali quotidiani spesso offrono una dettagliata descrizione degli episodi di cronaca. È avvenuto, inoltre, che alcuni detenuti/internati cui è stata inibita la lettura dei quotidiani contenente cronaca locale, abbiano cercato di aggirare le restrizioni imposte, servendosi di altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo di socialità per i quali non vi era analogo divieto da parte della competente Autorità giudiziaria. Pertanto, dovrà essere interessata la competente Autorità giudiziaria affinché sia vietato l'acquisto dei quotidiani locali, indipendentemente dalla provenienza geografica dei detenuti/internati”.

Tanto premesso, con riferimento al regime di carcere duro, se ne ricava:

  • l'acquisto di sole riviste a diffusione nazionale;
  • l'opportunità di procedere all'acquisto di riviste contenenti sole immagini, senza interferenze di pubblicità o inserti di altro tipo;
  • obbligo di sottoporre la rivista a visto di controllo prima della consegna all'interessato.

Merita, infine, di essere segnalato che, a seguito del ricorso per Cassazione proposto dall'Amministrazione penitenziaria, la decisione del Tribunale di Sorveglianza in commento non è ancora divenuta esecutiva.

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