La rapina commessa da più persone riunite, travisate e armate: disposizione a più norme o norma a più fattispecie?

18 Febbraio 2021

L'intervento novellatore del 2017 ha riformato l'art. 628, comma 4, c.p., indicando un più elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero dell'art. 628, comma 3, c.p...
Massima

L'intervento novellatore del 2017 (l. n. 103/2017, in vigore dal 3 agosto 2017), che ha dato all'art. 628, comma 4, c.p. un contenuto nuovo, affermando che "se concorrono due o più delle circostanze di cui al comma 3 del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sei a venti anni", indica un più elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero dell'art. 628, comma 3, c.p. Ne consegue che ciascuno dei numeri interni al catalogo del ridetto comma terzo contiene una disposizione a più norme autonome ed eventualmente concorrenti.

Il caso

Tizio, condannato per rapina dal Tribunale di Nola con pronuncia confermata dalla Corte di Appello di Napoli, ricorreva per Cassazione ritenendo che la Corte territoriale, così come il primo giudice, fosse incorsa in un errore di diritto avendo individuato il minimo edittale della pena detentiva in sei anni di reclusione facendo applicazione della disciplina sanzionatoria dettata dal quarto comma dell'art. 628 c.p. (introdotto con la l. n. 103/2017), senza tener conto del fatto che due delle diverse aggravanti ritenute sussistenti nel caso di specie (l'uso di un'arma e la presenza di più persone riunite) sono inserite nella terna elencata al numero 1 del terzo comma e quindi per esse il legislatore avrebbe già previsto un regime sanzionatorio aggravato, che non può essere ulteriormente inasprito per effetto della disposizione del comma 4, che dovrebbe trovare applicazione laddove le aggravanti siano collocate in numeri diversi del medesimo terzo comma, o qualora esse concorrano con le aggravanti di cui all'art. 61 c.p.

La Suprema Corte rigettava il ricorso asserendo che nelle ipotesi di concorso di più circostanze aggravanti previste dallo stesso numero del comma terzo dell'art. 628 c.p. sia applicabile l'aggravamento sanzionatorio previsto dal quarto comma della medesima disposizione. La Corte, in particolare, evidenziava come il legislatore, con la l.n. 103/2017, abbia dato a tale ultima disposizione un contenuto nuovo, affermando che se concorrono due o più delle circostanze di cui al comma 3 del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sei a venti anni"; conseguentemente, la Corte affermava che, configurando ciascuno dei numeri interni al catalogo previsto dal terzo comma delle “disposizioni a più norme” autonome, nell'ipotesi di concorrenza di quest'ultime deve applicarsi la più severa risposta retributiva (minima) introdotta dal legislatore del 2017.

La questione

Nell'ipotesi di concorrenza delle tre distinte circostanze previste dall'art. 628, comma 3, n. 1, c.p. deve procedersi all'applicazione del regime sanzionatorio previsto dal quarto comma della medesima disposizione oppure dal terzo comma?

Le soluzioni giuridiche

Sulla questione riguardante il molteplice effetto aggravante determinato dalla ricorrenza di più ipotesi tra quelle descritte dal numero uno del comma terzo dell'art. 628 c.p. sussiste un contrasto giurisprudenziale quasi secolare.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, le diverse ipotesi previste dalla suddetta disposizione non costituiscono semplici modalità di un'unica circostanza di fatto, bensì configurano ciascuna un'aggravante distinta e separata, poiché si diversificano per il loro contenuto e non si pongono tra loro in un rapporto tale da consentire di ritenerle l'una comprensiva dell'altra. Conseguentemente, nell'ipotesi di concorso di tali circostanze il giudice deve operare un autonomo aumento di pena per ognuna di esse (Cass. pen., sez. II, 31 maggio 1971 - 9 dicembre 1971, n. 2689; Cass. pen., sez. II, 5 dicembre 1975 - 24 febbraio 1976, n. 1529; Cass. pen., sez. II, 1° dicembre 1976 - 16 giugno 1977, n. 7771; Cass. pen., sez. I, 7 marzo 1978 - 19 aprile 1978, n. 550; Cass. pen., sez. II, 14 marzo 1985 - 13 luglio 1985, n. 7010; Cass. pen.,sez. V, 13 gennaio 2000 - 28 febbraio 2000, n. 135; Cass. pen., sez. IV, 10 maggio 2007 - 13 luglio 2007, n. 27748; Cass. pen., sez. V, 29 gennaio 2016 - 18 maggio 2016, n. 20723; Cass. pen., sez. II, 20 maggio 2016 - 9 giugno, n. 23978).

Diversamente, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, nell'ipotesi di concorso delle suddette circostanze il giudice deve procedere ad un unico aumento della pena, poiché queste devono considerarsi unitariamente, non solo in ragione della loro sistematica collocazione, collegate dalla virgola in un unico paragrafo, ma soprattutto perché l'azione tipica e più frequente della rapina aggravata, per quanto insegna l'esperienza giudiziaria più datata, si connota proprio dalla compresenza delle tre circostanze indicate dal numero uno dell'elenco di cui al terzo comma (Cass.pen., sez. II, 6 luglio 2011-11 novembre 2011, n.41004; Cass. pen., sez. II, 6 aprile 2018-2 maggio 2018, n. 18743; Cass. pen.,sez. II, 29 gennaio 2020, n. 7838).

Come evidenziato dalla stessa Corte Suprema nella sentenza in esame, volendo leggere le opposte interpretazioni alla luce delle più avvedute dottrine “repubblicane”, si potrebbe collocare il primo orientamento tra quelli che leggono l'art. 628, comma 3, n. 1, c.p. come una “disposizione a più norme” distinte che, se concorrenti, cumulano i loro effetti aggravanti, mentre il secondo orientamento rientrerebbe tra quelli che leggono tale elencazione come una “norma a più fattispecie” alternative ed equipollenti.

Appare innanzitutto necessario rilevare come fino alla riforma del 2017 tale questione ermeneutica si poneva ai fini dell'applicabilità o meno, nelle ipotesi di concorrenza delle diverse ipotesi previste dalla disposizione in esame, del comma quarto dell'art. 63 c.p. In altre parole, ci si chiedeva se nelle ipotesi di concorrenza di tali circostanze dovesse applicarsi esclusivamente l'aumento di pena previsto dal terzo comma dell'art. 628 c.p. (comportante un aumento dei limiti edittali della sanzione prevista per il reato) ovvero se il giudice avesse potuto applicare un ulteriore aumento di pena ai sensi dell'art. 63, comma 4, c.p.

Con la riforma del 2017, invece, la questione si sposta sul piano dell'applicabilità o meno del nuovo quarto comma dell'art. 628 c.p., che prevede, nell'ipotesi di concorrenza di più circostanze aggravanti previste dal terzo comma della medesima disposizione (o di concorrenza fra queste e le circostanze previste dall'art. 61 c.p.), un aumento del minimo edittale della pena prevista dal terzo comma, portandola da cinque a sei anni di reclusione (ora, da sei a sette anni in seguito alla modifica apportata dalla l. n. 39/2019).

Nella sentenza in esame la Suprema Corte evidenzia come il legislatore del 2017, mutando la morfologia del quarto comma dell'art. 628 c.p., sembra aver mostrato indifferenza verso la topografica collocazione delle disposizioni aggravanti ad effetto speciale, imponendo solo un più elevato minimo edittale per tutte le ipotesi di concorrenza tra circostanze interne ed esterne (quelle comuni descritte dall'art. 61 c.p.) al terzo comma dell'art. 628 c.p. I giudici di legittimità precisano però che non potrebbe pretendersi dal legislatore una più incisiva precisione didascalica, in quanto è compito dell'interprete stabilire se sussiste una sostanziale omogeneità o sovrapponibilità di disvalori, di offese, di interessi da tutelare nell'ambito della tipicità offerta dal legislatore, indipendentemente dalla collocazione topografica delle disposizioni in esame. Orbene, nell'effettuare un tale giudizio in riferimento all'art. 628 c.p., la Corte giunge a concludere che il nuovo regime sanzionatorio previsto dal quarto comma della stessa disposizione sia applicabile anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero uno del terzo comma della disposizione, in quanto ciascuno dei numeri interni al catalogo ivi previsto contiene una “disposizione a più norme” autonome ed eventualmente concorrenti. La Corte, difatti, afferma che le aggravanti descritte al numero 1 del comma terzo rappresentano altrettante ipotesi diverse di maggior disvalore espresso nel differente manifestarsi della propria carica criminale, disvalore penale ed accresciuta capacità intimidatrice od offensiva, atta ad incutere timore nella vittima o a superare l'eventuale sua resistenza. Nessuna delle tre epifanie criminali, dunque, “contiene” l'altra, nessuna è speciale rispetto all'altra, nessuna assorbe in sé il disvalore e lo spregio dell'altra, per cui, a dire della Corte, non vi sarebbe alcuna ragione di negare che alla concorrenza delle diverse ipotesi aggravanti debba corrispondere una più severa risposta retributiva (minima) della sanzione, considerato che agire riuniti in più persone compresenti, travisate nell'aspetto e armate, costituisce anche una notevolissima facilitazione nel guadagnare il risultato voluto e va più gravemente sanzionato rispetto all'azione condotta da una sola persona armata o travisata o unita ad altri.

Osservazioni

Per inquadrare correttamente la problematica in esame, appare innanzitutto necessario ricordare i caratteri distintivi tra la categoria delle “disposizioni a più norme” e quella delle “norme a più fattispecie”.

Nel primo caso, l'integrazione di più condotte previste da una stessa disposizione dà luogo ad una pluralità di reati, in quanto esse non rappresentano semplicemente diverse modalità di integrazione della medesima fattispecie criminosa, bensì costituiscono differenti elementi materiali di altrettanti reati.

Diversamente, nell'ipotesi di “norma a più fattispecie” la realizzazione di più condotte previste dalla disposizione integra comunque un unico reato, poiché esse possono essere ricollegate ad un'offesa unitaria. In quest'ultimo caso, dunque, il reato può in concreto venire realizzato indifferentemente da una o più delle condotte tipizzate dalla norma.

La distinzione in concreto tra le due ipotesi, tuttavia, non è mai stata agevole e sia la dottrina che la giurisprudenza hanno di volta in volta suggerito diversi criteri al fine di effettuare una tale operazione.

Su tale problematica sono difatti intervenute anche le Sezioni Unite, le quali hanno affermato che “in linea di massima si può ritenere valido un criterio fondato sulla natura intrinseca delle varie condotte ipotizzate, configuranti uno o più reati a seconda che costituiscano ontologicamente diverse manifestazioni esteriori di una sola situazione di fatto rivestente lo stesso disvalore sociale, ovvero rappresentino situazioni strutturalmente, fenomenicamente e cronologicamente distinte anche in relazione alle offese arrecate” (Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo 2001-7 giugno 2001, n. 22902). Può dunque affermarsi “che il riconoscimento della natura di norma a più fattispecie viene rimesso al riscontro cumulativo di un'identità oggettiva (devono avere uno stesso oggetto materiale), soggettiva (devono essere compiute dallo stesso soggetto), cronologica (devono essere contestuali) e psicologico-funzionale (devono essere indirizzate verso un unico fine) tra le diverse condotte penalmente sanzionate. Soltanto ove la verifica abbia esito positivo è possibile affermare che ci si trova al cospetto di un unico titolo di reato, cosicché il reo, anche laddove abbia commesso plurime violazioni della medesima norma, sarà chiamato a rispondere di un solo illecito, sebbene integrato sotto l'aspetto materiale da una pluralità di condotte. Al di fuori del perimetro così delineato, ciascuna violazione della disposizione incriminatrice si tradurrà, al contrario, in altrettanti reati quante siano state le condotte effettivamente realizzate dall'agente” (Cass. pen., sez. II,17 dicembre 2013-17 gennaio 2014, n. 1856).

È agevole dunque notare come la questione inerente la natura della disposizione prevista dall'art. 628, comma 3, n. 1, c.p. debba essere risolta sulla base dei criteri espressi dalla giurisprudenza di legittimità appena esaminata. Orbene, in primo luogo è possibile evidenziare come le tre condotte di violenza o minaccia commessa “con armi” o “da persona travisata” o “da più persone riunite” siano caratterizzate da una identità oggettiva: tali condotte, difatti, si sostanziano tutte in atti violenti nei confronti della persona offesa posti in essere con l'ausilio di uno strumento atto ad agevolare il conseguimento del risultato finale illecito. In altre parole, le tre ipotesi previste dalla disposizione consistono nel realizzare la rapina avvalendosi di modalità tali da ottenere una maggior coartazione della volontà della vittima del reato, la quale, alla vista di un'arma ovvero di un soggetto travisato ovvero in presenza di più persone riunite, sarà maggiormente distolta dal resistere alla minaccia o alla violenza subita.

Tale interpretazione è confermata dalla diversa struttura fenomenica che presentano invece le condotte previste dagli altri numeri dell'elenco contenuto dal terzo comma dell'art. 628 c.p. Invero, mentre in tal caso la condotta circostanziale ha ad oggetto l'utilizzo di uno strumento di agevolazione nella commissione del reato, nelle altre ipotesi le circostanze aggravanti hanno ad oggetto il tipo di violenza posta in essere (consistente nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire) ovvero la qualità del soggetto agente (appartenente all'associazione di cui all'art. 416-bis c.p.) ovvero i luoghi nei quali è commesso il reato (nei luoghi di cui all'art. 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa ovvero all'interno di mezzi di pubblico trasporto) ovvero la qualità della persona offesa (qualora il fatto venga commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire o che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro ovvero nei confronti di persona ultrasessantacinquenne). È evidente, dunque, come il legislatore abbia inserito in distinti numeri dell'elenco condotte tra loro differenti e collocato, invece, condotte omogenee all'interno di uno stesso numero.

Per quanto concerne gli altri requisiti della norma a più fattispecie individuati dalla giurisprudenza, si può evidenziare come le condotte in esame siano sicuramente caratterizzate da una identità soggettiva, cronologica e psicologico-funzionale: si tratta, difatti, di condotte poste in essere da un medesimo soggetto, contestualmente ed esclusivamente al fine di impossessarsi della cosa mobile altrui.

È possibile dunque concludere che, applicando i criteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità al fine di distinguere le ipotesi di “norme a più fattispecie” dalle ipotesi di “disposizione a più norme”, l'art. 628, comma 3, n. 1, c.p. rientri a pieno nella prima categoria di disposizioni, potendo essere tale fattispecie integrata alternativamente da una o più delle condotte ivi descritte, senza che in questa seconda ipotesi si giunga ad un ulteriore aggravamento di pena.

Sul piano applicativo, inoltre, appare necessario rilevare come la considerevole escursione edittale della pena prevista dal terzo comma dell'art. 628 c.p. (consistente, in seguito alla riforma del 2019, nella reclusione da sei a venti anni e nella multa da 2.000 a 4.000 euro) lasci comunque un ampio spazio di discrezionalità al giudice nel modulare la pena da applicare in concreto al fatto commesso dall'imputato, potendo dunque infliggere una più severa risposta retributiva nell'ipotesi in cui il reato sia stato realizzato integrando più condotte tra quelle previste dal numero uno dell'elenco previsto dalla disposizione.

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