Costituzione di parte civile nel processo nei confronti degli enti collettivi: nuove posizioni della giurisprudenza di merito in contrasto con la Cassazione

Ciro Santoriello
19 Febbraio 2021

Fra i temi maggior dibattuti della disciplina dettata dal D.lgs. n. 231/2001 rientra la legittimazione, ad opera di colui che assuma di aver subito un danno dall'illecito amministrativo dipendente da reato, ad esercitare, nei confronti dell'ente collettivo sottoposto a processo, l'azione civile risarcitoria mediante la costituzione di parte civile...
Premessa

Fra i temi maggior dibattuti della disciplina dettata dal D.lgs. n. 231 del 2001 rientra sicuramente la legittimazione - ad opera di colui che assuma di aver subito un danno dall'illecito amministrativo dipendente da reato - ad esercitare, nei confronti dell'ente collettivo sottoposto a processo, l'azione civile risarcitoria mediante la costituzione di parte civile.

Nonostante la Cassazione, come vedremo, sia pervenuta ad una soluzione ormai consolidata che nega la possibilità di esercitare l'azione civile in sede penale, non mancano nella giurisprudenza di merito prese di posizioni di senso contrario, come dimostra la recentissima decisione del Tribunale di Lecce. Su questa decisione, torneremo più avanti; prima, infatti, è il caso di riassumere quali siano le posizioni che fino ad oggi si sono confrontate sul punto.

Le posizioni favorevoli all'ammissione della costituzione di parte civile

Le posizioni favorevoli alla costituzione di parte civile hanno fatto riferimento a due tipologie di argomentazioni.

Da un lato, si è sostenuto che l'illecito dell'ente derivante da reato avrebbe natura penale per cui l'esercizio dell'azione civile nel processo de quo discenderebbe direttamente dall'applicazione del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.; dall'altro si è valorizzata la disposizione di cui all'art. 2043 c.c., giusto il quale l'azione civile da danno ingiusto trarrebbe origine da un qualunque fatto illecito, ivi compresi gli illeciti degli enti collettivi dipendenti da reato - non essendo ostacolo a questa impostazione né l'art. 185 c.p. né l'art. 74 c.p.p., il cui contenuto andrebbe rivisitato alla luce della novità rappresentata dalla responsabilità diretta delle persone giuridiche. Secondo queste posizioni, dunque, l'ente sarebbe responsabile del reato (per avere colpevolmente agevolato la commissione del reato doloso da parte del proprio dirigente/dipendente nell'interesse o vantaggio dello stesso ente, mancando al proprio dovere giuridico di predisporre un Modello di Organizzazione idoneo ad impedire il fatto) e sarebbe tenuto a risarcire il danno prodotto, così come prevedono anche gli artt. 17 e 19 del decreto.

In giurisprudenza tali considerazioni sono presenti in alcune ordinanze dei giudici di Torino e di Milano in cui è stata attribuita alla persona giuridica una responsabilità autonoma e diretta - diversa dalla responsabilità per fatto altrui ex art. 2049 c.c. - per i danni subiti dai terzi ai sensi dell'art. 2043 c.c. e da tale autonoma responsabilità è stata fatta conseguire l'esperibilità dell'azione civile con costituzione di parte civile nel processo all'ente (ordinanza GUP Milano 5 febbraio 2008). Quanto al contrasto fra tale soluzione ed il contenuto dei citati art. 185 c.p. e 74 c.p.p. si è sostenuto che “tali previsioni dovrebbero comunque troverebbero applicazione nel processo agli enti sia in virtù del rinvio contenuto nelle disposizioni degli artt. 34 e 35 d.lgs. 231/2001, sia delle norme di cui agli artt. 12, 17 e 19 dello stesso decreto e del complessivo sistema sanzionatorio da esso delineato, in quanto incentrati su una struttura di recupero economico del profitto del reato e su una polivalente funzione del ripristino dell'equilibrio tra l'ente (che ha tratto profitto dal reato) e chi ne è stato vittima”.

Particolari approfondimenti sono poi presenti nella decisione del giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Milano del 24 gennaio 2008. In tale pronuncia si afferma che il legislatore del 2001 si è mosso nella direzione di recuperare l'origine comune del risarcimento e della pena inserendo il primo nel quadro delle cause che legittimano l'attenuazione della sanzione in una chiara ottica special-preventiva, stante il fatto che le condotte (successive all'illecito) di natura reintegrativa, riparatoria e riorganizzativa sono orientate alla tutela degli interessi offesi dall'illecito e la rielaborazione del conflitto sociale sotteso all'illecito e al reato avviene non solo attraverso una logica di stampo repressivo, ma anche e soprattutto con la valorizzazione di modelli compensativi dell'offesa: da tali premesse e sul presupposto che nel decreto legislativo in parola l'istituto del risarcimento del danno è stato recuperato in chiave pubblicistica di alternativa ad una sanzione penale, viene tratta la conseguenza della ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo all'ente.

Le tesi contrarie alla costituzione di parte civile

L'impostazione ora esaminata è stata però da sempre decisamente minoritaria rispetto a quanti negavano l'ammissibilità di costituzione della parte civile nel processo agli enti.

In proposito, fra le considerazioni di provenienza dottrinale va rimarcata in primo luogo la tesi secondo cui non sarebbero ipotizzabili danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali potrebbe ipotizzarsi la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente: in sostanza, da un punto di vista sostanziale non sarebbe configurabile alcuna ragione di risarcimento del danno in funzione dell'illecito amministrativo rispetto al quale viene evocata una responsabilità diretta della persona giuridica. Alla luce di questa osservazione anche le norme di cui agli artt. 12 e 17 del decreto - da più parti indicate a sostegno della tesi favorevole all'ammissibilità della costituzione di parte civile, disciplinando tali disposizioni benefici premiali in caso di risarcimento del danno da parte dell'ente – venivano considerate quali spunti testuali a supporto della posizione contraria, laddove prevedono che il danno che l'ente può intervenire a risarcire è solo quello derivante dal fatto di reato in senso stretto attribuito alla persona fisica e non un ipotetico danno derivato dall'illecito amministrativo.

Sempre in dottrina, si è evidenziato poi come, quand'anche vi fosse spazio per identificare un danno civilmente risarcibile direttamente collegato al titolo che sta alla base della responsabilità amministrativa, la correlativa azione civile non potrebbe comunque essere esercitata nell'ambito del processo penale, tenuto conto della tassatività della previsione dell'art. 1 c.p.p. - secondo cui sono proponibili dinanzi al giudice penale esclusivamente le azioni specificamente previste dalle norme di legge - e della conseguente possibilità di esercitare l'azione civile nel giudizio criminale solo in presenza delle condizioni di cui al combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.

In particolare, l'illecito dell'ente non potrebbe mai identificarsi con il reato, che pure ne costituisce il presupposto e ciò precluderebbe l'applicazione del disposto dell'art. 185 c.p. e, per conseguenza, dell'art. 74 c.p.p., che appunto legittima l'esercizio dell'azione civile nel processo penale agli esclusivi fini del ristoro dei danni menzionati dal citato art. 185 c.p.

La tesi della inammissibilità di qualunque tipo di azione a contenuto patrimoniale civile da esperire contro i soggetti chiamati a rispondere di un illecito amministrativo dipendente da reato è stata poi argomentata anche mediante un esame delle singole disposizioni presenti nel decreto n. 231: da un lato la parte civile non è menzionata tra i soggetti processuali né nelle norme relative in materia di indagini preliminari, né in tema di udienza preliminare, né in sede di disciplina dei procedimenti speciali o della sentenza; dall'altro, l'art. 54 richiama, in tema di sequestro conservativo, solamente le disposizioni che consentono l'adozione della misura cautelare reale a garanzia del pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'Erario e non anche le disposizioni che prevedono l'adozione del vincolo reale a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato e ciò rappresenterebbe un'inequivocabile indicazione circa la precisa volontà del legislatore di non far partecipare la parte civile al procedimento nei confronti dell'ente; infine, si è osservato che nel disciplinare gli istituti richiamati dai citati artt. 12, 17 e 19, comma 1, che pure sembrano presupporre un danno patrimoniale nella sfera giuridica di terzi, non fanno alcun riferimento al soggetto danneggiato dall'illecito amministrativo.

La giurisprudenza di merito ha invece valorizzato il combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 e seguenti c.p.p., a norma del quale l'esercizio dell'azione civile nel processo penale presupporrebbe in modo specifico ed indefettibile la commissione di un reato dal quale siano derivate conseguenze civili consistenti essenzialmente nella produzione di un danno patrimoniale e non patrimoniale (ordinanza GUP Torino, 24 luglio 2008; ordinanza GUP Torino, 21 ottobre 2008; Trib. Milano, 9 marzo 2004; GUP Milano, 25 gennaio 2005; Trib. Milano, sez. X, 20 marzo 2007; Trib. Milano, sez. I, 19 dicembre 2005; Trib. Milano, sez. IV, 10 giugno 2008; ordinanza GUP Milano, 26 marzo 2009). Secondo queste decisioni, dunque, nel processo penale la parte civile dovrebbe agire non in virtù di una estensione della responsabilità civile aquiliana ordinaria prevista dagli artt. 2043 e seguenti c.c. all'ambito penalistico, ma in ragione di una vera e propria fonte autonoma e distinta di responsabilità, anche se pur sempre civile ossia con connotati propri della pretesa privata; rispetto a tale pretesa civilistica il giudice naturale sarebbe sempre quello civile e non quello penale, quand'anche tale organo giurisdizionale si trovasse a giudicare della responsabilità di una società.

Altre pronunce, inoltre, sulla scorta della denominazione quale “amministrativo” del nuovo illecito introdotto nel 2001, hanno ritenuto essere preclusa ogni interpretazione estensiva dell'art. 185 c.p. dal momento che tale illecito non potrebbe rientrare nella nozione di reato e la responsabilità dell'ente non potrebbe essere assimilata, concettualmente e giuridicamente, alla responsabilità penale, visto che non discenderebbe esclusivamente dalla commissione di un reato. Detto altrimenti “la commissione del reato costituisce solo uno degli elementi che vengono a comporre l'illecito ascritto alla società imputata, per di più qualificato come amministrativo ed esso perciò non può valere come succedaneo del reato, sia pure in senso sostanziale, con una interpretazione analogica dell'art. 185 c.p.” (ordinanza GUP Milano, 27 febbraio 2009): se quindi l'ente non ha “commesso” il reato presupposto cui si collegano i danni di cui si chiede il ristoro ma è responsabile di un diverso ed autonomo illecito non produttivo di ulteriori e diversi danni, la costituzione di parte civile non può essere ammessa in quanto l'art. 185 c.p. – richiamato dagli artt. 74 e ss. c.p.p. – richiede la commissione di un reato e non di un illecito “amministrativo” – il quale potrà eventualmente fondare un'azione civile di danno innanzi al giudice civile, senza possibilità di trasferire la relativa azione nel processo penale.

La posizione della Cassazione

Come accennato, la giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che “nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal D.lgs. n. 231 del 2001 e l'omissione non rappresenta una lacuna normativa ma corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore” (Cass. pen., sez. IV, 17 ottobre 2014 - 27 gennaio 2015, n. 3786; Cass. pen., sez. VI, 5 ottobre 2010) e tale conclusione è stata ritenuta indenne da censura sia dalla Corte di Giustizia con la sentenza 12 luglio 2012, n. C-79/11, che dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 218 del 2014.

Secondo la Cassazione, nessuna possibilità di istanza di risarcimento potrebbe essere formulata nei confronti dell'ente collettivo posto l'illecito attribuito a tale soggetto è "strutturato nella forma di una fattispecie complessa", della quale "il reato costituisce solo uno degli elementi fondamentali dell'illecito", sicché "tale illecito non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone"; assodata dunque “l'autonomia dell'illecito addebitato all'ente” e la distinzione fra la responsabilità e quella della persona fisica, ne discende che “l'eventuale danno cagionato dal reato non coincide con quello derivante dall'illecito amministrativo di cui risponde l'ente”. Questa autonomia fra illecito dell'ente ed il reato-presupposto della medesima preclude, secondo i giudici romani, la possibilità di estendere la competenza del giudice penale a conoscere dell'illecito dell'ente tramite il ricorso agli artt. 74 c.p.p. e 185 c.p.: proprio l'autonomia dei fatti illeciti (rispettivamente ascritti alla persona fisica e all'ente, che risponde per un fatto proprio, diverso da quello posto in essere dalla persona fisica) induce a escludere la fondatezza del richiamo, tanto più che il sistema non accredita certo il principio generale dell'azione risarcitoria nel processo penale, prevedendo al contrario l'art. 75 c.p.p. il favor separationis.

Da ultimo, poi la Cassazione evidenzia come non sia neppure "individuabile un danno derivante dall'illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato": diversamente ragionando, si giungerebbe infatti alla conclusione che il danno da reato può essere indifferentemente attribuito alla condotta della persona fisica o dell'ente, il che contraddice, da un lato, la diversità dei fatti illeciti e, dall'altro, l'autonomia dei comportamenti rispettivamente riferibili alla persona fisica e all'ente. In sostanza, quand'anche si volesse riconoscere l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti di una persona giuridica, tale modalità di esercizio dell'azione di risarcimento sarebbe senza effetto posto che "i danni riferibili al reato sembrano esaurire l'orizzonte delle conseguenze in grado di fondare una pretesa risarcitoria', escludendo che possano esservi danni ulteriori derivanti direttamente dall'illecito dell'ente".

Quanto alla decisione della Corte di Giustizia, la stessa non era chiamata - a differenza del compito deputato al nostro giudice di legittimità – a definire se l'ordito del D.lgs. n. 231 del 2001 consentiva l'esercizio dell'azione civile nell'ambito del relativo procedimento bensì se tali disposizioni, come intrepretate dalla Cassazione, fossero o meno in contrasto con l'ordinamento comunitario ed in particolare con l'art. 9, § 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, che prevede che gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito dello stesso procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento. Nel negare l'esistenza di tale contrasto fra normativa nazionale e comunitaria, la Corte non “promuove” tout court la scelta del legislatore italiano di negare ingresso all'azione civile nel procedimento contro gli enti collettivi ma semplicemente evidenzia come il diritto italiano consenta alle vittime del reato oggetto del procedimento principale di far valere le loro pretese risarcitorie nei confronti delle persone fisiche (autrici dei reati costituenti presupposto della responsabilità delle persone giuridiche) rispetto ai danni cagionati direttamente con siffatti reati, costituendosi, a tal fine, parti civili nell'ambito del processo penale, ed ha osservato che una situazione del genere si concilia con lo scopo perseguito dall'art. 9, § 1, della decisione quadro, consistente nel garantire alla vittima il diritto di ottenere una decisione relativa al risarcimento, da parte dell'autore del reato, nell'ambito del procedimento penale ed entro un ragionevole lasso di tempo; la predetta disposizione non può, tuttavia, essere interpretata nel senso che la vittima deve avere anche la possibilità di chiedere, nell'ambito del medesimo procedimento penale, il risarcimento dei danni de quibus alle persone giuridiche imputate.

In sostanza, la Corte di Giustizia non ha asserito che nel procedimento verso l'ente non è consentita la costituzione di parte civile, bensì che – laddove così interpretato - il sistema normativo contenuto nel D.lgs. n. 231 del 2001 non sarebbe comunque in contrasto con l'obbligo di cui all'art. 9 § 1 della decisione quadro. Per il rispetto di tale prescrizione è infatti sufficiente che l'ordinamento nazionale consenta alla vittima di costituirsi parte civile contro la persona fisica autrice del reato mentre non è imposto alla Stato di assicurare alla vittima la possibilità di ottenere tale risarcimento (anche) dall'ente responsabile ex D.lgs. n. 231 del 2001, anche perché l'illecito dell'ente non può considerarsi come il fatto dal quale scaturisce direttamente il danno in capo alla vittima, materialmente cagionato dalla persona fisica autrice del reato.

Le nuove decisioni dei giudici di merito ed il contrasto con la giurisprudenza di legittimità

Nonostante la chiarezza del principio e la ricchezza della relativa argomentazione, la decisione della Cassazione non ha posto termine al dibattito ed anzi tre decisioni di merito si sono poste in deciso contrasto con le conclusioni della Corte di legittimità (Corte di Assise di Taranto, 4 ottobre 2017; Trib. Trani, 7 maggio 2019; Trib. Lecce, 28 gennaio 2021).

La più articolata fra queste pronunce è anche la più recente, essendo stata adottata lo scorso 28 gennaio dal Tribunale di Lecce, che essenzialmente ritiene che da un punto di vista letterale, il rinvio operato dall'art. 34 e 35 del D.lgs. n. 231del 2001 consente l'estensione al procedimento degli illeciti amministrativi dipendenti da reato delle norme di procedura penale in quanto compatibili, non vietando nessuna norma del decreto la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente mentre quanto il legislatore ha inteso discostarsi dalle disposizioni del codice di rito, lo ha espressamente affermato. Inoltre, si evidenzia la presenza di una serie di disposizioni (gli artt. 12, 17 e 19 D.lgs. n. 231 del 2001) che consentono di inquadrare il sistema della responsabilità degli enti nel senso di ravvisare un modello sanzionatorio compatibile con il riconoscimento di un danno derivante dall'illecito.

Nella pronuncia del giudice pugliese, inoltre, si rinvengono alcune considerazioni dedicate alle menzionate pronunce della Corte di Giustizia Ue e della Corte costituzionale n. 218 del 2014. Quanto a quest'ultima, è agevole sminuirne la rilevanza posto che la Consulta non si è pronunciata sul merito della questione prospettatagli – ovvero la conformità a Costituzione della ritenuta non esercitabilità dell'azione civile nel processo ex d.lgs. n. 231 del 2001 - ma ne ha dichiarata l'inammissibilità; di contro, quanto alla pronuncia del giudice sovranazionale, si sottolinea – come detto sopra – che tale decisione non ha stabilito che la vittima dell'illecito realizzato dall'ente non possa vantare nei suoi confronti una pretesa risarcitoria, nell'ambito del processo penale a carico dell'ente, dinanzi al giudice competente, ex art. 36 del D.lgs. n. 231 del 2001.

Non può tuttavia non riscontrarsi criticamente come la decisione del giudice di Lecce non si confrontano e non esaminano numerosi profili problematici della questione.

In primo luogo, nulla viene detto circa il fatto che pare difficile rinvenire danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali potrebbe ipotizzarsi la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente, per cui da un punto di vista sostanziale non sarebbe configurabile alcuna ragione di risarcimento del danno in funzione dell'illecito amministrativo rispetto al quale viene evocata una responsabilità diretta della persona giuridica. Alla luce di questa osservazione anche le norme di cui agli artt. 12 e 17 del decreto – che il provvedimento in esame porta a sostegno della tesi favorevole all'ammissibilità della costituzione di parte civile disciplinando benefici premiali in caso di risarcimento del danno da parte dell'ente - conterrebbero in realtà spunti testuali a supporto della posizione contraria, laddove prevedono che il danno che l'ente può intervenire a risarcire è solo quello derivante dal fatto di reato in senso stretto attribuito alla persona fisica e non un ipotetico danno derivato dall'illecito amministrativo.

Inoltre, quand'anche vi fosse spazio per identificare un danno civilmente risarcibile direttamente collegato al titolo che sta alla base della responsabilità amministrativa, la correlativa azione civile non potrebbe comunque essere esercitata nell'ambito del processo penale, tenuto conto della tassatività della previsione dell'art. 1 c.p.p. - secondo cui sono proponibili dinanzi al giudice penale solo le azioni specificamente previste dalle norme di legge - e della conseguente possibilità di esercitare l'azione civile nel giudizio criminale solo in presenza delle condizioni di cui al combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.: in particolare, l'illecito dell'ente non potrebbe mai identificarsi con il reato, che pure ne costituisce il presupposto e ciò precluderebbe l'applicazione del disposto dell'art. 185 c.p. e, per conseguenza, dell'art. 74 c.p.p., che appunto legittima l'esercizio dell'azione civile nel processo penale agli esclusivi fini del ristoro dei danni menzionati dal citato art. 185 c.p..

Infine, le preoccupazioni emerse sotto il profilo del deficit di tutela della persona offesa debbano comunque essere ridimensionate alla luce della possibilità riconosciuta dalla Corte costituzionale di citare l'ente come responsabile civile per il fatto dell'apicale o del sottoposto ai sensi dell'articolo 83 c.p.p., senza eventuali preclusioni derivanti, come precisato dalla Consulta, da erronee letture che qualifichino persona fisica ed ente quali “coimputati”.

In conclusione

Rimane semmai un'unica perplessità. Come detto, la ragione principale per escludere la costituzione di parte civile nei relativi procedimenti contro gli enti è l'impossibilità pratica di individuare danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali è ipotizzabile la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente; quando, infatti, il danneggiato può agire quale parte civile nei confronti dell'autore dell'illecito pare ultroneo ammettere tale costituzione anche nei confronti della società cui appartiene l'accusato “principale”, giacché da un lato il danneggiato può già tutelarsi e vedersi risarcito dalla persona fisica responsabile del reato costituendosi parte civile nei suoi confronti nell'ambito del relativo procedimento penale e dall'altro in tali circostanze non si vede quale sarebbe il danno ulteriore il cui risarcimento potrebbe essere richiesto alla persona giuridica rispetto alla istanza economica già avanzata nei confronti della persona fisica.

Se ciò è corretto, occorre però interrogarsi se la medesima conclusione circa l'inammissibilità della costituzione di parte civile nei processi avverso gli enti collettivi possa essere mantenuta ferma anche quando, nel processo contro il singolo, la costituzione di parte civile non è possibile e quindi la persona offesa non ha alcuna possibilità di rivalersi sulla persona fisica imputata. Il riferimento è ai molteplici casi, alcuni dei quali previsti espressamente nello stesso D.lgs. n. 231/2001, in cui il giudizio nei confronti della persona fisica non ha luogo mentre si procede avverso la società - come accade, per esempio, quando l'autore del reato non è stato identificato ovvero quando nei suoi confronti il reato si sia estinto per causa diversa dall'amnistia – oppure quando nel corso del procedimento contro la persona fisica non sia possibile procedere a costituzione di parte civile – si pensi all'ipotesi in cui l'autore del reato sia “uscito” dal processo prima della decisione definitiva, ad esempio perché deceduto o perché ha “patteggiato” la pena, e dunque il processo prosegue solo nei confronti dell'ente.

Nelle ipotesi ora considerate, la persona offesa non può vedere in alcun modo tutelate le sue pretese nell'ambito del procedimento penale verso l'imputato e quindi non avrà altra scelta che agire in sede civile, nonostante davanti al giudice penale sia in corso altro procedimento che ha per oggetto ed origina (anche) dal fatto illecito da cui è derivato il danno per la persona offesa: in tali ipotesi forse sarebbe necessario riconoscere la possibile costituzione di parte civile da parte della persona offesa nei confronti della società in qualche modo protagonista ed implicata nella vicenda delittuosa.

Guida all'approfondimento

VARRASO, L'"ostinato silenzio" del d.lgs. n. 231 del 2001 sulla Costituzione di parte civile nei confronti dell'ente ha un suo "perchè", in Cass. Pen., 2001;

BALDUCCI, La Corte di Cassazione prende posizione sulla costituzione di parte civile nel processo a carico dell'ente, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2011;

VARANELLI, La Cassazione esclude l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti degli enti, in Soc., 2011;

ARIOLLI, Inammissibile la costituzione di parte civile nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, in Giust. Pen., 2011;

MUCCIARELLI, Il fatto illecito dell'ente e la costituzione di parte civile nel processo ex d.lgs. n.231/2001, in Dir. Pen. Proc., 2011;

SANTORIELLO, La parte civile nel procedimento per la responsabilità degli enti, in Giur. It., 2011;

BRICCHETTI, La persona giuridica non risponde del reato ma di un illecito inidoneo per il risarcimento, in Guida dir., 2011;

VARANELLI, La questione dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria nel processo penale nei confronti degli enti. Disamina aggiornata della giurisprudenza, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2009;

BERLTRAMI, L'inammissibilità della costituzione di parte civile in danno dell'ente al vaglio della corte di Giustizia UE, 2013;

VIGNOLI, La controversa ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente imputato, 2006;

PISTORELLI, La problematica costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti: note a margine di un dibattito forse inutile, in Riv. Resp. Soc. Enti, 2008;

FRACCHIA, In tema di costituzione di parte civile nel procedimento avviato nei confronti degli «enti» di cui al D.Lgs. n. 231/2001, in Soc., 2009;

TESORIERO, Sulla legittimità della costituzione di parte civile contro l'ente nel processo ex d.lgs. 231/2001, in Cass. pen., 2008;

BIANCHI, Responsabilità da reato degli enti e interessi civili: il nodo arriva alla Corte Costituzionale, in Dir. Pen. Proc., 2013.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario