Drassich 2. La Corte di Strasburgo a proposito della formulazione dell'accusa e della partecipazione dell'imputato al processo in Cassazione

08 Marzo 2018

I giudici di Strasburgo sono stati chiamati a decidere sull'ennesimo ricorso del Drassich, che si doleva della rinnovata lesione del proprio diritto di difendersi ...
Massima

Non sussiste violazione dell'art. 6 §§ 1 e 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: a) quando emerga che, pur senza il rispetto di forme predeterminate, l'accusato sia stato informato non solo del fondamento dell'accusa, ossia dei fatti materiali che gli sono addebitati e su cui si basa l'accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti, in modo dettagliato; b) anche nel caso che non sia stata consentita la partecipazione personale dell'imputato alla discussione, in quanto il rispetto di tale diritto va verificato considerando l'intero processo svolto nell'ordinamento giuridico interno e il ruolo che ha svolto la Corte di cassazione, con la conseguenza che una procedura che coinvolge solo questioni di diritto e non di fatto può soddisfare i requisiti di cui all'art. 6, anche se al ricorrente non è stata offerta l'opportunità di comparire dinanzi alla Corte d'appello o alla Corte di cassazione

Il caso

La Corte europea torna ad occuparsi della vicenda Drassich, con riguardo all'ultimo intervento della Corte di cassazione sul tema (sentenza 15 maggio 2013, n. 37413).

Al fine di intenderne la portata, è necessario richiamare le vicende che hanno preceduto la decisione che si esamina.

Esse prendono le mosse dalla sentenza 4 febbraio 2004, n. 23024 della Corte di cassazione, che, decidendo sul ricorso proposto dal Drassich, in sede di merito ritenuto responsabile dei delitti di falso continuato in atti pubblici fidefacienti e di corruzione continuata per atti contrari ai doveri d'ufficio ex artt. 81 e 319 c.p., aveva rigettato l'impugnazione, riqualificando, i fatti corruttivi quali reati di corruzione in atti giudiziari, ai sensi dell'art. 319-ter c.p. e ritenendo, in relazione alla pena edittale stabilita da quest'ultima norma, che fossero infondate le doglianze relative alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Con la sentenza in data 11 dicembre 2007, la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva ritenuto sussistente la violazione da parte della Corte di cassazione dell'art. 6, § 1 e 3, a) e b) della Convenzione e, in particolare, del diritto dell'imputato di essere informato in modo dettagliato non solo dei motivi dell'accusa ma anche della qualificazione giuridica attribuita ai fatti oggetto di accusa.

A seguito della ordinanza con la quale la Corte d'appello di Venezia, provvedendo quale giudice dell'esecuzione su ricorso proposto dal Drassich, aveva dichiarato la ineseguibilità ex art. 670 c.p.p. del giudicato, la Corte di cassazione, con la sentenza 12 novembre 2008, n. 45807, dopo aver provveduto alla revoca della citata sentenza n. 23024 del 2004, aveva disposto, applicando analogicamente l'art. 625-bis c.p.p., la nuova trattazione del ricorso «limitatamente al punto della diversa qualificazione giuridica data al fatto corruttivo rispetto a quella enunciata nell'imputazione e poi ritenuta dai giudici di merito».
All'esito della nuova trattazione del ricorso suddetto, la Corte di cassazione, con la sentenza 25 maggio 2009, n. 36323, lo aveva rigettato, qualificando i fatti corruttivi quali reati di corruzione in atti giudiziari.

La sentenza n. 37413 del 2013 era stata provocata dal ricorso del medesimo Drassich, a seguito dell'ordinanza con la quale la Corte di appello di Trento aveva dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di revisione della sentenza originaria emessa il 12 giugno 2002 dalla Corte di appello di Venezia. L'istanza era fondata sulla necessità di conformare la pronuncia giudiziaria nazionale ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo (ipotesi introdotta dalla sentenza n. 113 del 2011 della Corte costituzionale che sul punto ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p.).

La sentenza n. 37413 del 2013 cit., nel rigettare il ricorso del Drassich, ha rilevato: a) che la menzionata sentenza n. 36323 del 2009 della Corte di cassazione aveva precisato che la questione da esaminare, a seguito della revoca della precedente decisione, era di puro diritto, non toccando la essenza contenutistica dell'imputazione e la ricostruzione dei fatti considerata corretta e logica nella sua complessiva esposizione delle decisioni di merito; b) che in ogni caso, non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimità; c) che la questione della qualificazione giuridica del fatto (e non dell'accertamento materiale dello stesso) rientra fra i casi tipici del ricorso per cassazione; d) che, anche ove sia ipotizzabile la contestazione in fatto della diversa qualificazione giuridica, è imprescindibile che con il ricorso per cassazione sia formulata una richiesta di annullamento con rinvio, che specificamente indichi nuovi elementi di fatto, non valutati dal giudice di merito e non prospettati perché non attinenti alla originaria qualificazione, che consentirebbero di escludere la diversa e nuova qualificazione; e) che comunque le nuove prove che la difesa ricorrente avrebbe inteso chiedere in sede di merito non attenevano alla specifica questione della riqualificazione giuridica, ma tendevano a mettere in discussione in radice quella ricostruzione dei fatti, confermata nei due gradi di merito, e ritenuta dalla Suprema Corte corretta e logica; f) che, quanto alla doglianza del ricorrente di non avere a suo tempo potuto partecipare personalmente al giudizio, doveva ribadirsi, alla stregua della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che le procedure dedicate esclusivamente a punti di diritto e non di fatto, possono soddisfare le esigenze dell'art. 6 della Convenzione, anche se la Corte d'appello o di Cassazione non hanno dato al ricorrente la facoltà di esprimersi personalmente dinanzi ad esse, purché vi sia stata una pubblica udienza in primo grado e ciò perché l'istanza giurisdizionale interessata non ha il compito di accertare i fatti, ma solo quello di interpretare le norme giuridiche controverse.

La questione

I giudici di Strasburgo erano chiamati a decidere sull'ennesimo ricorso del Drassich, che si doleva della rinnovata lesione del proprio diritto di difendersi, in quanto la riqualificazione in pejus dei fatti operata dalla Corte di cassazione nel 2013, senza che egli potesse disporre del tempo necessario per approntare la propria difesa, lo aveva privato di una istanza giurisdizionale di merito. A ciò doveva aggiungersi che gli era stato precluso di partecipare alla discussione dinanzi alla Suprema Corte.

Le soluzioni giuridiche

La Corte europea ha respinto il ricorso.

Quanto al primo punto, essa ha ribadito (par. 65 della motivazione) che l'equità del procedimento deve essere valutata alla luce del procedimento nel suo complesso (v., ad es., Miailhe c. Francia 26 settembre 1996 e Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993).

L'articolo 6, § 3, lettera a), della Convenzione sottolinea la necessità di un'estrema cura nel notificare l'accusa ​​alla persona interessata. L'atto d'accusa ha un ruolo decisivo nel procedimento penale: dal momento in cui viene notificato, l'imputato viene ufficialmente informato per iscritto della base giuridica e fattuale delle accuse contro di lui. L'articolo 6 § 3, lett. a) della Convenzione riconosce il diritto dell'accusato di essere informato non solo del fondamento dell'accusa, ossia dei fatti materiali che gli sono addebitati e su cui si basa l'accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti, in modo dettagliato (Pélissier e Sassi c. Francia, 25 marzo 1999).

Tuttavia, ha osservato la Corte: a) le disposizioni dell'articolo 6, § 3, lettera a) non impongono alcuna forma particolare riguardo al modo in cui l'imputato deve essere informato della natura e del fondamento della accusa contro di lui; b) che esiste un nesso tra le lettere a) e b) dell'articolo 6, § 3 e che il diritto di essere informati sulla natura e sul fondamento dell'accusa deve essere valutato alla luce del diritto dell'accusato di preparare la sua difesa.

Alla stregua di tali premesse e tenuto conto delle ragioni che avevano condotto alla riapertura del processo e delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione n. 45807 del 2008, la Corte europea ha escluso che il ricorrente non sia stato in grado di prevedere la riqualificazione dei fatti contestati nei suoi confronti come corruzione in atti giudiziari

Quanto al secondo profilo (par. 75 della motivazione), la Corte ha ribadito che la comparizione personale di un imputato è di fondamentale importanza in vista della realizzazione di un processo equo e giusto. Tuttavia, il modo in cui l'articolo 6 § 1 della Convenzione si applica alle Corti d'appello o alla Cassazione dipende dalle peculiarità del procedimento in questione. È necessario prendere in considerazione l'intero processo svolto nell'ordinamento giuridico interno e il ruolo che ha svolto la Corte di cassazione. Pertanto, una procedura che coinvolge solo le questioni di diritto e non di fatto può soddisfare i requisiti di cui all'art. 6, anche se al ricorrente non è stata offerta l'opportunità di comparire dinanzi alla Corte d'appello o alla Corte di cassazione (Meftah e altri c. Francia, 26 luglio 2002).

Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la Corte di cassazione si è occupata esclusivamente di questioni di diritto e non ha trattato questioni di fatto, il che avrebbe richiesto la presenza della ricorrente all'udienza. Ne consegue che il diritto del ricorrente a un processo equo non è stato impedito neanche da questo punto di vista.

Osservazioni

Di particolare interesse appare la sentenza in rassegna, sia per le affermazioni di principio contenute e sopra riassunte, sia perché rappresenta una tappa dell'attività di controllo della Corte sull'esecuzione delle proprie sentenze.

Si tratta di un tema, a proposito del quale si è di recente registrata l'importante sentenza della Grande Camera 11 luglio 2017, Moreira Ferreira c. Portogallo, che, con significative dissenting opinion (tra l'altro dello stesso Presidente della Corte), ha affrontato il tema con alcune puntualizzazioni che, pur circondate da cautele espressive finalizzate a inserire la soluzione raccolta nell'alveo della giurisprudenza della Corte, presentano, anche per l'autorevolezza della composizione, profili di assoluta novità.

Nel caso esaminato dalla Grande Camera, il tema centrale era rappresentato dalla possibilità di superare le questioni di incompetenza scaturenti dall'art. 46 della Convenzione, che pare attribuire all'organo politico, ossia al Comitato dei Ministri, il compito di vigilare sull'attuazione delle sentenze di condanna.

Nel caso esaminato dalla sentenza del 22 febbraio 2018, la questione è risultata più agevole, in quanto, essendo stato “riaperto” il processo, vi era la strada per una verifica del rispetto dell'art. 6 della Convenzione, alla luce delle caratteristiche del nuovo procedimento, che vale senz'altro a costituire un fatto nuovo, idoneo a giustificare, anche alla stregua della giurisprudenza precedente alla decisione sul caso Moreira Ferreira del luglio 2017, il rinnovato intervento della Corte.

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