Tutela dell'ambiente e tutela dei diritti umani. La Corte di Strasburgo condanna l'Italia per la vicenda Ilva

10 Luglio 2019

Nelle parole della sentenza Cordella e altri c. Italia si delinea in sottofondo uno dei principali problemi dell'epoca moderna: l'esigenza di trovare un equilibrio tra...
Massima

È violato l'art. 8 CEDU da parte dello Stato italiano che ha omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati a non subire gravi danni all'ambiente pregiudizievoli per il loro benessere e la loro vita privata.

È violato l'art. 13 CEDU da parte dello Stato italiano, essendo l'ordinamento italiano sfornito di vie di ricorso interne tramite cui i cittadini interessati avrebbero potuto dolersi della mancata attuazione del piano di risanamento ambientale previsto dai c.d. decreti “salva-Ilva” e, dunque, essere messi in condizione di vedersi tutelati in modo effettivo.

Abstract

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con la sentenza Cordella e altri c. Italia si pronunciata sulla vicenda dello stabilimento Ilva di Taranto, A seguito del ricorso di numerosi cittadini delle zone limitrofe allo stabilimento, la Corte europea, esaminate le doglianze ed i documenti, ha condannato lo Stato italiano per violazione dell'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), poiché le autorità istituzionali avrebbero omesso di adottare le misure necessarie per proteggere il diritto degli interessati al rispetto delle loro vite private, pregiudicate dalle emissioni inquinanti dell'acciaieria. La Corte di Strasburgo ha altresì ritenuto violato l'art. 13 CEDU (diritto a un ricorso effettivo), posto che l'ordinamento italiano risulta sfornito di vie di ricorso interne tramite cui i cittadini interessati avrebbero potuto dolersi della mancata attuazione del piano di risanamento ambientale previsto dai c.d. decreti “salva-Ilva” e, dunque, essere messi in condizione di essere tutelati in modo effettivo a fronte della violazione di un diritto sancito dalla Convenzione.

La vicenda

La sentenza in commento trae origine da due ricorsi proposti contro l'Italia da alcuni cittadini italiani che si sono rivolti alla Corte Edu ai sensi dell'art. 34 CEDU.

I ricorrenti che risiedono (o hanno risieduto) nella città di Taranto, sede dello stabilimento siderurgico ILVA, il più grande d'Europa, o nei comuni limitrofi, denunciavano gli effetti delle emissioni dell'industria siderurgica Ilva di Taranto sulla loro salute e sull'ambiente e lamentavano, tra l'altro, una violazione dei loro diritti alla vita, al rispetto della vita privata e a un ricorso effettivo (artt. 2, art. 8 e 13 CEDU).

L'Italia è stata condannata per violazione dell'art. 8 CEDU che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Secondo la Corte europea, il nostro Paese è responsabile per non aver posto in essere le misure necessarie a proteggere il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata, su cui l'inquinamento prodotto dallo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto avrebbe inciso.

È stata altresì ravvisata la violazione dell'art. 13 CEDU, rilevando la mancanza di strumenti di ricorso interno tramite i quali gli abitanti delle zone interessate avrebbero potuto lamentare la mancata attuazione del piano di risanamento ambientale previsto dai decreti “salva-Ilva” e, così, difendersi in modo effettivo a fronte della violazione di un diritto sancito dalla Convenzione.

Riconosciute le suddette violazioni ai principi fissati in Convenzione, la Corte europea non ha tuttavia accordato alle vittime alcun risarcimento, sulla base della considerazione, già riprodotta in altri casi, secondo cui l'accertamento delle violazioni costituisce una riparazione sufficiente per il danno morale subito dai ricorrenti (§ 187).

La sentenza in commento si va a collocare in una vicenda molto complessa e nell'ambito della quale numerosi sono stati gli interventi effettuati dalle autorità nazionali, realizzati su più piani (amministrativo, legislativo e giudiziario), malgrado i quali non si è riusciti a risolvere il tema dell'inquinamento di una determinata area interessata dalle attività dello stabilimento siderurgico. Al centro del pronunciamento, stante il tipo di doglianza mossa dai ricorrenti, è l'inadempienza da parte dello Stato italiano che non ha adottato le misure volte a proteggere la salute dei ricorrenti e l'ambiente.

I profili di ricevibilità del ricorso. La qualità di vittima e la tutela dell'ambiente

Prima di entrare nel merito della vicenda, la Corte Edu ha rilevato come nell'ambito del meccanismo di controllo della Convenzione europea non sia ammessa l'actio popularis (e a tal riguardo, ha fatto richiamo alla precedente giurisprudenza della stessa Corte: Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 70; CEDU 2004-I, e Di Sarno e altri c. Italia, n. 30765/08, § 80, 10 gennaio 2012) e, come, inoltre, non vi sia una specifica disposizione che garantisca una protezione generale dell'ambiente in quanto tale (v. Kyrtatos c. Grecia, n. 41666/98, § 52, CEDU 2003 VI (estratti)).

In particolare, il giudice sovranazionale ha rimarcato come il danno ambientale in sede di tutela convenzionale non rilevi in sé, ma, piuttosto, nella misura in cui esso abbia comportato una violazione della sfera privata o familiare della persona (§ 101). Specificamente, il punto da evidenziare è quello in cui la Corte europea ha sottolineato come, stando alla giurisprudenza emersa in seno alla stessa, il fattore determinante per stabilire se il danno ambientale abbia generato violazione di uno dei diritti garantiti dal paragrafo 1 dell'articolo 8 CEDU sia "l'esistenza di un effetto nefasto sulla sfera privata o familiare di una persona, e non semplicemente il degrado generale dell'ambiente (Fadeïeva c. Russia, n. 55723/00, § 88, CEDU 2005-IV)" (§ 100).

Ciò premesso, la Corte di Strasburgo rileva come, nel caso di specie, dagli elementi di prova a disposizione emerga il fatto "che l'inquinamento ha inevitabilmente reso le persone che vi erano sottoposte più vulnerabili a varie malattie" (§ 104). Invero, "i numerosi rapporti e studi scientifici a disposizione della Corte (si veda in particolare il rapporto SENTIERI, paragrafi 20 e seguenti) attestano, in effetti, l'esistenza di un nesso di causalità tra l'attività produttiva della società Ilva di Taranto e la situazione sanitaria compromessa che si configura in particolare nei comuni sopra menzionati", vale a dire quelli interessati dalle emissioni inquinanti e nella cui area risiedono alcuni dei ricorrenti. La sentenza in commento, inoltre, fa riferimento al rapporto dell'ARPA del 2017, che ribadisce il nesso di causalità e attesta la permanenza di uno stato di criticità sanitaria nella zona «ad alto rischio ambientale» e nel SIN di Taranto, dove il tasso di mortalità e di ricovero ospedaliero per alcune patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e digestive era superiore rispetto alla media regionale) (§ 105).

Peraltro, la Corte europea ha evidenziato come l'inquinamento abbia avuto senza dubbio conseguenze nefaste sul benessere dei ricorrenti interessati, ma ha escluso che tali conseguenze possano ritenersi dimostrate per alcuni dei ricorrenti, residenti in comuni esterni all'area direttamente interessata dagli effetti nocivi dell'Ilva, per come definita da misure interne, e posto che questi ricorrenti non hanno presentato prove tali da rimettere in discussione l'estensione della predetta area. Delimitato, dunque, il concetto di "vittima" ai fini della Convenzione europea che, nel caso di specie, viene riconosciuto ai soli soggetti residenti nel territorio definito ad alto rischio ambientale dal Ministero dell'ambiente, il giudice di Strasburgo ha valutato che offese di tipo individuale al bene tutelato dall'art. 8 CEDU siano derivate dal danno ambientale e siano documentate da studi scientifici di inequivoca attendibilità.

(Segue). L'esaurimento delle vie di ricorso interne

Ribadito il ruolo del ricorso alla Corte Edu quale strumento di carattere sussidiario rispetto ai rimedi di diritto interno, i giudici di Strasburgo hanno osservato che le censure mosse dai ricorrenti riguardano l'assenza di misure volte ad assicurare il disinquinamento del territorio in questione e hanno riconosciuto fondamento a tale doglianza. Invero – ha ragionato la Corte – sebbene l'obiettivo del risanamento della zona sia da più anni perseguito dalle autorità istituzionali, tale obiettivo non è stato raggiunto.

E se l'obiettivo è quello del risanamento della zona inquinata dall'attività siderurgica, nessuno strumento di tipo penale, civile o amministrativo attivabile dai ricorrenti – a parere della Corte - potrebbe, nel caso di specie, dare soddisfazione (§ 122).

Di conseguenza, sono state rigettate le eccezioni rappresentate dal Governo italiano circa il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, laddove si sosteneva che i ricorrenti avrebbero potuto presentare una denuncia penale, agire per un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., esperire una class action, ovvero sollevare una questione di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale. In particolare, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto non realizzabile per i ricorrenti, sul piano dei rimedi interni, tanto il potere di sollevare una questione di legittimità costituzionale (posto che il singolo non ha accesso diretto al sindacato della Consulta - § 125), quanto il complesso dei rimedi previsti dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto azionabili soltanto dal Ministero dell'ambiente (§ 126).

Inoltre, il fatto che la violazione contestata, nella fattispecie, non si concretizzi in un atto istantaneo, ma perduri da decenni, è elemento in virtù del quale la Corte Edu ha ritenuto sussistere il rispetto della condizione dei sei mesi prevista dall'art. 35 CEDU e, dunque, respingere la relativa eccezione proposta dal Governo italiano. In proposito, il giudice europeo ha evidenziato come, nel caso di specie, il carattere continuo della violazione faccia sì che tale termine inizi a decorrere soltanto a partire dal momento in cui la situazione perpetua di pregiudizio al diritto fondamentale si concluda (§ 130).

Il merito

Occorre ricordare che l'impatto delle emissioni prodotte dallo stabilimento sull'ambiente e sulla salute della popolazione locale è stato oggetto di diversi rapporti scientifici e studi epidemiologici, riportati in sentenza (§§ 15-30), che, già a partire dal 1997, documentavano una situazione di rischio per la salute della popolazione residente nei comuni il cui tasso di mortalità maschile per tumori risultava più elevato rispetto alla media regionale. Da alcuni di tali studi emergeva altresì che tenuto conto dell'inquinamento ambientale della regione interessata causato dalle emissioni dello stabilimento Ilva, in funzione della distanza tra il luogo di residenza delle persone interessate e i siti di emissioni nocive presi in considerazione, esisteva un nesso causale tra l'esposizione ambientale ad agenti cancerogeni inalabili e lo sviluppo di tumori dei polmoni e della pleura e di patologie del sistema cardiocircolatorio (§ 21).

Numerose le iniziative amministrative e legislative susseguitesi nel tempo al fine di realizzare piani di disinquinamento e risanamento del territorio (§§ 31-69) cui la Corte di Strasburgo, sulla base del ricorso avviato, fa riferimento nella sentenza in commento. Si richiamano, inoltre, i procedimenti penali connessi alla vicenda ILVA, nonché le procedure aperte in proposito in sede di UE.

La lettura della sentenza Cordella c. Italia consente una completa ricostruzione dei molteplici interventi sviluppati a livello interno per tentare di risolvere il problema dell'operatività dello stabilimento e, al contempo, dei derivati effetti inquinanti.

Sin dal 1990 furono individuati dei comuni ad elevato rischio ambientale riguardo ai quali si chiese al Ministero dell'Ambiente di avviare un piano di disinquinamento e risanamento del territorio. Negli anni 2003 e 2004 le società Ilva conclusero accordi con le pubbliche autorità al fine di porre in essere misure necessarie a ridurre l'impatto ambientale dell'impianto.

Convenzione europea e tutela dell'ambiente

Muovendosi nella prospettiva secondo la quale un pregiudizio all'art. 8 CEDU può sorgere se un rischio ecologico raggiunge un livello di gravità che riduce notevolmente la capacità del ricorrente di godere del proprio domicilio o della propria vita privata o familiare, il giudice sovranazionale si sofferma a stabilire se dalla norma convenzionale ora citata derivino per gli Stati membri degli obblighi negativi (cioè, l'astensione da ingerenze arbitrarie), ovvero anche obblighi positivi dati da azioni volte ad adottare misure ragionevoli e adeguate per proteggere i diritti dell'individuo (§ 157).

E, a questo proposito, l'art. 8 CEDU – sottolinea la Corte - non si limita a ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze arbitrarie. A questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata. In entrambi i casi – ricorda la Corte europea – bisogna trovare il giusto equilibrio tra gli interessi dell'individuo e quelli concorrenti della collettività. Nella ricerca di questo equilibrio, gli Stati hanno un margine di apprezzamento (§ 157), ma qualora pongano in essere un'attività pericolosa, hanno l'obbligo di "mettere in atto una legislazione adattata alle specificità di tale attività, in particolare al livello di rischio che potrebbe derivarne" (§ 158). Ne consegue a loro carico l'obbligo di adottare, tra le altre cose, misure di ordine pratico idonee ad assicurare la protezione effettiva dei cittadini (§ 158).

Inoltre, il pregiudizio "personale" causato dal danno all'ambiente deve superare una soglia minima di gravità. Il danno in questione, cioè deve essere tale da tradursi in un concreto vulnus alla qualità della vita dei singoli interessati (§ 157).

Valutare gli effetti negativi sulla "qualità della vita" derivanti dall'inquinamento industriale è complesso anche per le connotazioni soggettive che tale concetto possiede. Pertanto, alla Corte europea non resta che basarsi soprattutto, anche se in modo non esclusivo, sulle conclusioni raggiunte dalle giurisdizioni interne e delle altre autorità interne competenti.

Premesse queste direttive di principio, i giudici di Strasburgo giungono ad una conclusione alquanto secca: lo Stato italiano ha omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati e, dunque, non è stato in grado di equilibrare le contrastanti esigenze. Il che vale a dire che non ha rispettato l'interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all'ambiente pregiudizievoli per il loro benessere e la loro vita privata, da un lato, e l'interesse della società complessivamente intesa, dall'altro. Da qui, il configurarsi della violazione dell'art. 8 CEDU (§ 173).

L'effettività della sentenza CEDU

Dalla lettura della sentenza Cordella c. Italia emerge chiaramente il profilo concernente l'effettività della stessa in termini di forza vincolante ed esecuzione della stessa prescritta dall'art. 46 CEDU.

Tenendo conto della peculiarità della situazione denunciata, sono gli stessi ricorrenti a chiedere l'adozione di una c.d. sentenza pilota affinché, da parte dello Stato italiano, siano poste in essere misure che sospendano immediatamente le attività più inquinanti dello stabilimento in questione e, al contempo, attuino un piano di decontaminazione della fabbrica e dell'area limitrofa.

Al riguardo, però, la Corte di Strasburgo, pur evidenziando la necessità di un intervento nel più breve tempo possibile volto a garantire la protezione ambientale e la tutela sanitaria della popolazione (§ 182), ha ritenuto che "la complessità tecnica delle misure necessarie al risanamento della zona interessata, che rientra nella competenza delle autorità interne" fa sì che "non sia necessario applicare la procedura della sentenza pilota" (§ 179).

In conclusione

Nelle parole della sentenza Cordella e altri c. Italia si delinea in sottofondo uno dei principali problemi dell'epoca moderna: l'esigenza di trovare un equilibrio tra esercizio di attività economiche rischiose e tutela dei diritti umani. Centrale in quest'ambito è la ricostruzione del nesso di causalità tra lo svolgimento di tali attività e i danni che le stesse possono determinare sui singoli. In questa prospettiva, non pare casuale la scelta della Corte EDU di accogliere le censure mosse dai ricorrenti ma sotto il profilo dell'art. 8 Convenzione europea (diritto alla vita privata) e non dell'art. 2 (diritto alla vita).

Nell'ambito della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il diritto alla vita per come tutelato dall'art. 2 CEDU riceve una tutela pressoché assoluta e tale da non essere contemperabile con altro, tanto meno con un bene di rango inferiore quale l'esercizio di attività industriale.

Diversa, invece, è la prospettiva ove ci si collochi dal punto di vista dell'art. 8 CEDU che al paragrafo 2 prevede espressamente la possibilità di un bilanciamento tra rispetto della vita privata ed altri valori dell'ordinamento, tra i quali “il benessere economico del Paese”.

Avendo il giudice europeo, in quest'occasione, optato per la tutela dei ricorrenti tramite l'art. 8 CEDU (rispetto della vita privata, da intendere nel senso di “benessere” e “qualità della vita” (§ 157), lo stesso non si è soffermato a cercare una relazione causale individuale. Il decidente, infatti, ha precisato che il caso di specie è ben diverso dal caso Smaltini c. Italia, nel cui ambito occorreva valutare se le emissioni dell'ILVA fossero state all'origine di una leucemia nella ricorrente (§ 162).

Diverso l'oggetto del decidere nella vicenda Cordella e altri c. Italia: in questo caso occorreva "soltanto" decidere se lo Stato italiano avesse adottato o meno quelle misure necessarie a proteggere la salute e l'ambiente dei cittadini dall'esercizio di un'attività industriale rischiosa. Non a caso la Corte europea con riguardo agli studi epidemiologici riportati nel ricorso e richiamati in sentenza non li utilizza per individuare rapporti di causalità rilevanti sulla salute dei singoli, ma all'unico fine di comprendere se le emissioni dello stabilimento siderurgico di Taranto fossero effettivamente pericolose e, dunque, meritevoli di azioni istituzionali volte a limitare gli effetti nocivi dell'attività industriale. Una volta constatata – a parere della Corte europea – l'omissione delle necessarie misure, se ne è fatta derivare una lesione dell'art. 8 CEDU e, cioè della vita privata degli interessati. Il che, però, non ha portato a riconoscere alcun risarcimento. I giudici europei, infatti, hanno concluso nel senso che l'accertamento delle violazioni costituisce compensazione sufficiente per il danno morale subito (§ 187).

Guida all'approfondimento

MONTAGNA, Incostituzionalità del decreto Ilva del 2015 e conseguenze sul sequestro preventivo, in Il penalista, Focus del 4 giugno 2018.

SACCUCCI, La protezione dell'ambiente nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, in La tutela dei diritti umani in Europa – Tra sovranità statale e ordinamenti sovranazionali, a cura di A. Caligiuri - G. Cataldi - N. Napoletano, Padova, 2010, p. 513 ss.

ZIRULIA, Ambiente e diritti umani nella sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Ilva, in Diritto penale contemporaneo, 2019, n. 3, p. 135 ss.

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