Perquisizione negativa e sindacato giurisdizionale sui presupposti giustificativi della misura

11 Ottobre 2018

La Corte di Strasburgo è stata chiamata ad accertare se la mancata previsione di una sede processuale nella quale il destinatario della misura potesse richiedere...
Massima

Sussiste la violazione dell'art. 8 della Convenzione, se il destinatario di una perquisizione disposta dal pubblico ministero, non seguita da alcun sequestro, non possa disporre di alcun rimedio per ottenere né ex ante a posteriori un sindacato giurisdizionale sulla sussistenza dei presupposti giustificativi della misura

Il caso

La vicenda esaminata dalla Corte scaturisce dal ricorso proposto da un cittadino italiano e tedesco, il sig. Brazzi, che vive a Monaco ed è iscritto nel registro degli italiani residenti all'estero. Il Brazzi nel 2010 è stato sottoposto sia ad un procedimento amministrativo che ad indagini preliminari, perché sospettato di avere sostanzialmente conservato la residenza in Italia e di avere evaso l'Iva e l'imposta sui redditi.

In particolare, nel luglio del 2010, nell'ambito della procedura amministrativa, la Guardia di Finanza era stata autorizzata dalla procura di Mantova ad accedere alla casa italiana del signor Brazzi per cercare prove. Il 13 luglio 2010, gli agenti della Guardia di Finanza si erano recati sul posto, senza trovare il Brazzi. Successivamente, lo stesso giorno, la Procura della Repubblica aveva disposto la perquisizione finalizzata alla ricerca e al sequestro di documenti contabili e qualsiasi altro documento pertinente al reato di evasione fiscale. La perquisizione aveva dato esito negativo.

Il procedimento a carico del Brazzi era stato archiviato ed era stata definita anche la sua posizione sul piano amministrativo, in quanto il primo aveva dimostrato che risiedeva principalmente in Germania.

Il ricorso proposto dinanzi alla Corte di cassazione dal Brazzi, che aveva denunciato l'illegittimità della ricerca è stato dichiarato inammissibile.

La questione

La Corte di Strasburgo era chiamata ad accertare se la mancata previsione di una sede processuale nella quale il destinatario della misura potesse richiedere la verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti la disposta ingerenza nella sua vita privata fosse o non compatibile con le garanzie apprestate dall'art. 8 della Convenzione.

Nell'ordinamento italiano, infatti, può essere richiesto solo il riesame del decreto di sequestro, mentre non sono ravvisabili rimedi, nel caso, ricorrente nella specie, di esito negativo.

Le soluzioni giuridiche

La Corte europea ha ritenuto che la ricerca in questione avesse rappresentato un'ingerenza delle autorità pubbliche nel diritto alla vita privata del Brazzi. Siffatta ingerenza, ha rilevato la Corte, riposa su una base giuridica interna sufficientemente accessibile, prevedibile e coerente con il principio dello Stato di diritto, costituita dagli artt. 247 e ss., c.p.p., talché non si pone alcun problema in termini di accessibilità e prevedibilità.

La Corte ha proseguito osservando che la perquisizione era stata disposta in uno stadio particolarmente precoce delle indagini preliminari, aggiungendo che una ricerca di questo tipo dovrebbe essere circondata da adeguate e sufficienti garanzie per evitare che le autorità acquisiscano elementi rilevanti a carico di persone che non sono ancora state identificate come sospettate di aver commesso un reato.

A tal proposito la Corte cita un proprio precedente (Modestou c. Grèce, n. 51693/13, § 44, 16 marzo 2017), che, letto nella sua interezza, ha un contenuto più complesso di quanto il brano della motivazione citato potrebbe far pensare.

La Corte europea, in definitiva, non nega affatto l'effetto a sorpresa delle perquisizioni, perché riconosce che esso si correla a un'esigenza di raccolta delle prove e, in definitiva, di garantire la difesa dell'ordine e la prevenzione dei reati (art. 8, par. 2 della Convenzione).

Ciò che appare alla Corte sproporzionata, rispetto al diritto al rispetto della vita privata, è, sul piano dei presupposti, la perquisizione priva di fondate basi fattuali che giustifichino l'ingerenza nella vita privata altrui (ciò che, nel nostro sistema, è appunto evitato attraverso le puntualizzazioni di cui all'art. 247 c.p.p.) e, sul piano processuale, l'esistenza di rimedi che consentano a chi la perquisizione abbia subito di ottenere il sindacato giurisdizionale, ex ante o ex post, su tali presupposti.

Tornando al caso Brazzi, la Corte di Strasburgo rileva che l'art. 247 c.p.p. non si accompagna a un controllo giurisdizionale anteriore.

Tuttavia, ricorda anche che, secondo la propria giurisprudenza, l'assenza di un controllo giurisdizionale precedente può essere compensato dall'attuazione di un controllo giudiziario ex post della legalità e necessità della misura, che consenta alle persone interessate di ottenere: a) il controllo, in fatto e in diritto, dell'atto impugnato e della sua esecuzione e, nel caso che l'operazione ritenuta irregolare abbia già avuto luogo, b) un'adeguata riparazione, destinata a comprendere anche l'esclusione delle prove dal processo.

Nel caso di specie, tuttavia, in cui la ricerca era stata vana, il Brazzi, pur avendo conseguito il risultato dell'archiviazione del procedimento, non aveva potuto ottenere un riesame della misura in questione dal momento che il rimedio specifico di cui all'articolo 257 c.p.p. è possibile solo dove la perquisizione sia stata seguita da un sequestro.

Secondo la Corte, quindi, in assenza di un previo controllo giurisdizionale o di un'efficace controllo a posteriori la misura di istruzione contestata, le garanzie procedurali previste dalla legge italiana non erano state sufficienti a prevenire il rischio di abuso di potere da parte delle autorità coinvolte nelle indagini.

Nella motivazione della sentenza si legge anche, al par. 49, con riferimento alla possibilità per il ricorrente di valersi dell'azione risarcitoria prevista dalla l. 117/1988, che: a) l'utilizzo di tale rimedio comportava l'onere per il ricorrente di dimostrare il dolo o la colpa grave delle Autorità; b) che lo Stato italiano non aveva dimostrato che, in circostanze simili a quelle del caso di specie, tale azione fosse stata esercitata con successo.

Osservazioni

Le questioni sollevate dalla importante pronuncia in esame non ci pare che si collochino sul crinale processuale, nel senso che, nel caso di perquisizione negativa, non si registra l'acquisizione di alcun dato della cui utilizzabilità si debba discutere.

D'altra parte, la violazione della quale si occupa la sentenza non riguarda l'illegittimità della perquisizione seguita dall'acquisizione di dati rilevanti (anche perché in questo caso, sia attraverso l'impugnativa del sequestro sia attraverso la contestazione della utilizzabilità di tali dati nel processo, il destinatario dell'accusa ha certamente la possibilità di difendersi): il contrasto con la Convenzione è stato colto, sul piano del sistema processuale, nell'assenza di una sede nella quale poter invocare la verifica dei presupposti della perquisizione, che, in ipotesi, ben potrebbero essere presenti. E infatti, il mancato rinvenimento a posteriori di dati utili alle indagini non impone, in sé considerato, di concludere nel senso della mancanza dei requisiti richiesti dal legislatore processuale per disporre la perquisizione.

È, del resto, illuminante il cenno finale alla non ravvisabilità di tale rimedio nell'azione di cui all'art. 2, l. 13 aprile 1988, n. 117.

Pure, su tale punto, la risposta della Corte non è appagante.

Il fatto che l'azione de qua non sia stata esperita con successo in casi precedenti è un dato irrilevante, perché bisognerebbe piuttosto dimostrare che essa non è stata mai accolta, ossia che, nella dimensione effettuale dell'ordinamento, a dispetto della astratta previsione legislativa, non è configurabile in concreto un rimedio efficace. Il fatto che nessuno abbia esercitato l'azione in precedenza non dimostra l'inadeguatezza del sistema processuale.

La questione, poi, della necessità di dimostrare un elemento soggettivo qualificato pone un problema distinto e più sottile, che attiene al bilanciamento di interessi che, pur in presenza di diritti fondamentali, l'ordinamento domestico è chiamato a operare.

Ma, prima di considerare tale aspetto, bisogna soffermarsi a rilevare che il terzo comma dell'art. 2 della l. 117/1988, nel testo introdotto dalla l. 27 febbraio 2015, n. 18, riconduce nell'alveo della colpa grave l'emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. Il che sembrerebbe individuare una sede idonea a garantire alla persona che deduca una violazione dei limiti che consentono al P.M. di disporre la perquisizione di ottenere una decisione giurisdizionale.

Nel testo vigente all'epoca dei fatti, per i provvedimenti di natura reale, occorreva metter capo alla lett. a) dell'art. 2, comma 3, l. 117/1988, secondo cui costituiva colpa grave la violazione di legge determinata da errore inescusabile.

Gli stessi problemi, sul piano del rapporto con il diritto convenzionale, pongono i limiti di operatività dell'art. 609 c.p., che, nell'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, valgono a qualificare come arbitraria la perquisizione disposta dal pubblico ministero solo nelle ipotesi di una totale assenza dei requisiti necessari al compimento dell'atto o con modalità che fuoriescano totalmente da quelle ordinarie di esplicazione del pubblico potere, tali da connotare la condotta del deliberato proposito del magistrato di eccedere le proprie attribuzioni per finalità diverse da quelle attribuitegli in ragione dei suoi pubblici poteri (Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2016, n. 8031, Calligaris).

L'appartenente alla polizia giudiziaria non rientra tra i soggetti dei quali si occupa l'art. 1, comma 1, della l. 117/1988, che estende le previsioni dettate in tema di responsabilità civile dei magistrati agli «estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria», intendendo per tali soltanto coloro che esercitano funzioni giudiziarie, sia inquirenti che giudicanti, in senso tipico, pur non essendo parte dell'ordine giudiziario, come nel caso dei giudici onorari o componenti non togati delle corti di assise. Ne consegue che tra detti "estranei" non rientra l'appartenente alla polizia giudiziaria, il quale non esercita una funzione giudiziaria nel senso innanzi evidenziato, pur svolgendo un'attività di supporto ad essa (Cass. pen., 5 agosto 2010, n. 18170), con la conseguenza che sarà applicabile l'ordinario statuto della responsabilità civile.

Ora, in tale contesto e fermo restando che il rimedio civilistico, proprio perché affidato all'iniziativa dell'interessato, appare maggiormente rispondente alle esigenze di garanzia delle quali la Convenzione europea è espressione, rispetto alle sollecitazioni rivolte all'autorità pubblica ad indagare, pur in un quadro di obbligatorietà dell'azione penale, resta da osservare che gli eventuali limiti che il legislatore nazionale pone al fondato esperimento dell'azione risarcitoria, in un'ottica di ponderazione dell'interesse del singolo con i valori per i quali, in una società democratica, si rende necessaria l'ingerenza nella vita privata, non dimostriano, in sé considerati, l'esistenza di una ineffettività della tutela giurisdizionale.

In definitiva, se la Corte europea puntualmente attrae nella valutazione della protezione assicurata da uno Stato ad un diritto la consistenza effettiva della protezione giurisdizionale, dovrebbe anche riconoscere che anche siffatta consistenza va apprezzata nell'ottica di bilanciamento richiesta dal principio di proporzionalità, senza correlare semplicisticamente all'esistenza di limiti la conseguenza della inadeguatezza della stessa.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.