Tardiva attuazione della direttiva sul sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti: la CGUE sulla responsabilità dell'Italia

15 Ottobre 2020

La Corte di Giustizia è stata investita per l'interpretazione dell'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, in relazione a due questioni pregiudiziali fra di loro collegate. Con la prima, il Giudice di legittimità italiano chiedeva alla Corte UE di dire se il diritto dell'Unione imponga di configurare la responsabilità risarcitoria...
Massima

Il caso di mancata attuazione in tempo utile dell'art. 12 par. 2 della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 rende applicabile allo Stato membro inadempiente, il regime della responsabilità extracontrattuale per violazione del diritto dell'Unione nei confronti delle vittime di reati intenzionali violenti residenti nel predetto Stato membro nel quale è commesso il reato.

L'art. 12 paragrafo 2 della direttiva 2004/80 deve essere interpretato nel senso che un sistema di indennizzo forfettario per reati di violenza sessuale può considerarsi “equo e adeguato”, se tiene conto della gravità delle conseguenze per la vittima e costituisce appropriato ristoro del danno materiale e morale per la stessa.

Il caso

Ad ottobre 2005, la cittadina italiana BV, residente in Italia, fu vittima di sequestro e violenza sessuale commessa nel territorio italiano da due cittadini rumeni che per questo furono condannati alla pena di dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, con assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 50.000 che però BV non ottenne poiché i condannati si resero latitanti.

Pertanto, a febbraio del 2009, BV adì il Tribunale di Torino, citando la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana per sentire dichiarare la responsabilità civile per “la mancata e/o non corretta e/ non integrale attuazione” degli obblighi previsti dall'art 12 paragrafo 2 della Direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 “relativa all'indennizzo delle vittime del reato”.

Più specificamente, si lamentava la violazione dell'obbligo di “mettere in vigore” entro il termine del 1° luglio 2005, imposto dall'art. 18, par 1 della Direttiva 2004/80/CE, un sistema di tutela indennitaria che garantisse un equo e adeguato ristoro alle vittime di reati violenti e intenzionali che non avessero potuto ottenere il risarcimento integrale dei danni dai rispettivi rei.

Il Tribunale di Torino accolse la domanda, condannando la Presidenza del Consiglio a pagare la somma di € 90.000 in favore della vittima. La Corte di Appello successivamente interessata per via dell'impugnazione della sentenza da parte della Presidenza del Consiglio, riformò il provvedimento nel quantum della somma assegnata che giudicò equa nella misura di € 50.000.

Stante la decisione del Giudice d'appello, la Presidenza del Consiglio italiana propose ricorso per la cassazione della sentenza, sostanzialmente sostenendo l'impossibilità di ravvisare la responsabilità dello Stato membro invocata dalla vittima, poiché la direttiva 2004/80/CE avrebbe dovuto essere interpretata come riferibile unicamente a situazioni “transfrontaliere”, vale a dire situazioni nelle quali i reati sono stati commessi nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale risiedono abitualmente. Inoltre, si assumeva l'eccessività della somma liquidata a BV in relazione ai - ritenuti - corretti parametri da adottare, in relazione al tipo di danno lamentato, quello derivante dal mancato recepimento della direttiva e non dall'illecito aquiliano.

La Suprema Corte, dopo avere atteso le decisioni della Corte di Giustizia UE sulla procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea contro l'Italia proprio per la per violazione dell'art. 12 par. 2 della direttiva2004/80/CE (conclusasi con sentenza 11 ottobre 2016 – Causa C-601/14),nonché la decisione sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma (poi rinunciata) e prendendo atto dello jus superveniens costituito dalla L. 167/2017, in vigore il 12 dicembre 2017, decise, all'esito dell'udienza del 29 gennaio 2019, di sottoporre alla Corte di Giustizia le due questioni pregiudiziali oggetto della sentenza in commento, in forza dell'art. 267 par. 3 TFUE, conseguentemente sospendendo il procedimento pendente dinanzi a sé ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (Cass. Civ. Ord. Sez. 3 n. 2964, 31.01.2019)

La questione

La Corte di Giustizia è stata investita per l'interpretazione dell'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, in relazione a due questioni pregiudiziali fra di loro collegate.

Con la prima, il Giudice di legittimità italiano chiedeva alla Corte UE di dire se il diritto dell'Unione imponga di configurare la responsabilità risarcitoria extracontrattuale a carico dell'Italia per l'intempestivo recepimento della direttiva in questione, non self executing, anche nei confronti delle vittime di reati intenzionali violenti residenti nello Stato ove è commesso il reato.

I soggetti residenti, infatti, secondo la Corte di Cassazione, non sarebbero i destinatari diretti dell'attuazione della direttiva 2004/80/CE e pertanto si troverebbero in una situazione di discriminazione e disuguaglianza a fronte di diritti fondamentali dell'Unione, fra i quali il principio di uguaglianza, che impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe (art. 20, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Dunque, proprio al fine di evitare la violazione dei detti principi, cui gli Stati membri devono adeguarsi, le vittime residenti nello Stato di commissione del reato, laddove la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, avrebbero potuto beneficiare dell'indennizzo per via dell'estensione dell'effetto utile della direttiva.

Con la seconda questione pregiudiziale la Suprema Corte di Cassazione chiedeva – condizionatamente alla positiva risposta alla prima – se l'indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti nel decreto del Ministro dell'Interno 31 agosto 2017 (emanato ai sensi del comma 3 dell'art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122) e successive modificazioni (previste dall'art. 6, legge 20 novembre 2017, n. 167 e dall'art. 1, commi 593-596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145), fissato nella misura di € 4.800, potesse reputarsi “equo e adeguato”, in attuazione di quanto prevede l'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80/CE.

Le soluzioni giuridiche

Prima di affrontare il merito delle due questioni pregiudiziali sottopostegli, la Corte di Giustizia ne ha esaminato la rilevanza in concreto nel giudizio principale, al fine di valutare l'eventuale non luogo a statuire.

La problematica era stata affrontata in primis dalla Suprema Corte di Cassazione, da qui in avanti “giudice del rinvio”, la quale aveva preso atto del succedersi di giurisprudenza e legislazione sulla base delle quali, anche, è arrivata alla soluzione contenuta nel provvedimento di rinvio.

Nel corso del giudizio principale, infatti, lo Stato italiano, a seguito del ricorso ai sensi dell'art. 258 TFUE presentato dalla Commissione europea, era stato riconosciuto inadempiente per essere venuto meno all'obbligo impostogli dall'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80/CE, di adottare “tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul territorio (così la sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, 11 ottobre 2016, nella causa C-601/14).

L'Italia aveva in effetti sì provveduto a dare attuazione (comunque tardivamente) alla direttiva 2004/80/CE, con le disposizioni di cui al d.lgs. 6 novembre 2007, n. 204 e al decreto ministeriale n. 222/2008, ma soltanto attraverso un sistema giudicato incompleto dalla Corte di Giustizia sotto il profilo della ristretta tipologia dei reati per i quali era previsto l'indennizzo. La normativa interna, infatti, era limitata alle ipotesi di “elargizioni a carico dello Stato previste dalle leggi speciali”, quali quelle su criminalità organizzata e terrorismo (così l'art. 2 d.lgs. 204/2007), che pertanto lasciavano escluse tutte le altre vittime di reati intenzionali violenti, quali i gravi reati contro la libertà sessuale.

La Corte di Giustizia, con la sentenza 11 ottobre 2016, aveva quindi stigmatizzato la discrezionalità con cui aveva operato lo Stato italiano, affermando che si sarebbe dovuto prevedere un indennizzo equo e adeguato per ogni reato intenzionale violento subito da un membro dell'Unione nel territorio dello Stato nel quale si trovava, vale a dire nelle situazioni c.d. “transfrontaliere”.

E così, a seguito della sentenza, nelle more del giudizio promosso da BV, l'Italia emise la legge 7 luglio 2016, n. 122, in vigore dal 23 luglio 2016, con la quale fu predisposto un sistema che prevede il diritto all'indennizzo per le vittime di reati dolosi commessi con violenza alla persona, oltre che del reato di cui all'art.603-bis c.p. e dei reati di cui agli artt. 581 e 582 se aggravati dall'art. 583 c.p.

Con il successivo decreto ministeriale del 31 agosto 2017, sono stati poi determinati gli importi dell'indennizzo in misura forfettaria secondo tre diverse fasce a seconda della tipologia di reato.

Successivamente, la legge 20 novembre 2017, n. 167, modificando la legge n. 122/2016, rese applicabile retroattivamente il sistema indennitario ai reati intenzionali violenti commessi “successivamente al 30 giugno 2005 e prima della entrata in vigore della medesima legge”, con riapertura dei termini per la presentazione della domanda. Tale sistema risultava pertanto applicabile anche alla richiesta proposta da BV. Di qui il tema dell'interesse in concreto a sollevare le due questioni pregiudiziali indicate.

Ebbene, secondo il giudice del rinvio, la questione pregiudiziale relativa alla domanda proposta da BV, restava concretamente rilevante, posto che, pur rientrando la ricorrente nel novero dei beneficiari delle leggi suindicate, “la pretesa azionata in giudizio è quella del diritto al risarcimento del danno per l'inadempimento statuale all'obbligo di trasposizione tempestiva del diritto dell'Unione e non già la pretesa di conseguire, in base al diritto nazionale, l'indennizzo attualmente stabilito dalla legge 122 del 2016” (così in motivazione il provvedimento di rinvio).

Come si diceva all'inizio, alla Corte di Giustizia si è chiesto, da parte del Governo italiano, di affrontare anche dinanzi a sé la questione della rilevanza in concreto delle questioni pregiudiziali. Il 14 marzo 2019, e quindi successivamente alla loro proposizione, a BV venne in effetti concesso un indennizzo, in relazione alla violenza sessuale dalla stessa subita, pari ad euro 4.800, come previsto dall'art. 1 decreto ministeriale 31 agosto 2017.

Anche a fronte dell'indicato evolversi della situazione concreta, il Giudice europeo ha giudicato non “ipotetiche” le questioni pregiudiziali proposte, bensì rilevanti ai fini della soluzione della controversia principale, osservando, in perfetta armonia con quanto sostenuto dal giudice del rinvio, che l'azione di BV mirava ad ottenere non l'indennizzo, poi in effetti concessole per l'applicazione retroattiva della legge, ma il risarcimento del danno a causa dell'inadempimento statuale relativo alla asserita intempestiva trasposizione dell'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80. Pertanto, la Corte conclude che vi sia luogo a statuire, poiché la soluzione della controversia impone di verificare se il predetto art. 12, par 2, “conferisca ai singoli, come BV, un diritto che questi ultimi possono far valere al fine di contestare la responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto dell'Unione”.

Verifica che è oggetto della prima questione pregiudiziale posta dal Giudice italiano.

In prima istanza, la Corte di Giustizia ricorda come il diritto al risarcimento dei danni per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno Stato membro è riconosciuto al singolo soltanto se siano soddisfatte tre distinte condizioni, la cui verifica deve essere operata dal giudice nazionale per costante giurisprudenza: 1) la norma di diritto dell'Unione violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli; 2) la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata; 3) deve sussistere un nesso causale diretto fra la violazione e il danno subito dal soggetto leso. Ai fini della questione interpretativa in esame, il giudice del rinvio, ritenuta indubbia la sussistenza delle ultime due condizioni, si era ovviamente soffermato sulla prima, ritenendo che, affermatasi con la richiamata sentenza CGUE dell'11 ottobre 2016, la violazione dell'art. 12 par 2 da parte dello Stato italiano, poiché la norma configura il sistema indennitario nazionale come “prodromico e funzionale” alla disciplina delle situazioni “transfrontaliere”, essa violazione si pone quale “condizione immediata e diretta per l'accesso al risarcimento del danno da illecito comunitario dello Stato-legislatore”.

Nella sentenza che si esamina, la Corte Europea parte dall'analisi della premessa sulla quale si è basata l'ordinanza interlocutoria, per verificarne la fondatezza: l'art. 12 par 2 impone l'obbligo agli Stati di dotarsi di un sistema indennitario soltanto per le vittime che si trovino in una situazione “transfrontaliera”.

In ossequio alla giurisprudenza europea che impone di tenere conto, a fini interpretativi, del tenore letterale, del contesto e degli scopi perseguiti dalla direttiva, la Corte osserva che l'art 12 par 2 per un verso prevede l'obbligo per gli Stati membri di costituire un sistema indennitario per le “vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori” (così la lettera della norma). Per altro, sotto il profilo del contesto, la Corte annota che l'art. 12 è l'unica norma del capo II della direttiva che riguarda i “sistemi di indennizzo nazionali”, non riguardando perciò le situazioni transfrontaliere, previste nel capo I. Inoltre, il paragrafo 1 dell'art. 12 prevede che l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere venga applicato sulla base dei sistemi interni di indennizzo per i reati commessi sul territorio. Dunque, si osserva, gli Stati membri non dovevano istituire sistemi di indennizzo specifici per le predette situazioni, ma applicare i sistemi relativi agli indennizzi previsti in conseguenza dei reati sul territorio.

Pertanto, dalla mancata adozione diun tale sistema di indennizzo alla data di adozione della direttiva, discende che lo Stato membro non può essere considerato adempiente neppure rispetto agli obblighi nascenti nei confronti delle vittime in situazione transfrontaliera, che si applicano sulla base di quelli nazionali.

Sotto il profilo dell'interpretazione della direttiva 2004/80 rispetto agli obiettivi dalla stessa perseguiti, la Corte fa riferimento ai considerando 3,6,7, e 10 che riguardano l'elaborazione di norme minime sulla tutela delle vittima di criminalità (3), il diritto all'indennizzo equo da reato, indipendentemente dal luogo nel quale si trovi la vittima (6), l'impossibilità per la vittima di ottenere un risarcimento dal reo in relazione alla sua incapacità patrimoniale o alla sua mancata individuazione: nel caso di specie, gli autori si erano resi latitanti e BV non aveva potuto ottenere il risarcimento a loro carico e ciò si era verificato in una situazione interna all'Italia.

Ebbene, conclude la Corte Europea, che dall'interpretazione così effettuata dell'art 12 par 2 della direttiva 2004/80/CE, debba trarsi che esso conferisce ai singoli il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato in conseguenza di reati intenzionali violenti commessi non soltanto nelle situazioni transfrontaliere, ma anche nel territorio ove la vittima risieda abitualmente. Da ciò se ne trae la conseguenza che la violazione dell'obbligo di cui all'art.12 par 2 della direttiva 2004/80 da parte dello Stato membro (Italia), pone in capo al singolo il diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla detta violazione.

Quanto alla seconda questione pregiudiziale, la Corte considera innanzitutto che la direttiva in esame ha lasciato agli Stati membri un margine di discrezionalità sia in relazione alle “modalità di determinazione” dell'indennizzo, che all'individuazione del quantum da ritenersi equo e adeguato. A tal proposito si osserva che una disposizione di diritto interno che prevedesse un importo “simbolico o manifestamente insufficiente” in relazione alla gravità delle conseguenze prodotte dal reato sulla vittima, “eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dall'art 12 par 2”, poiché l'indennizzo deve rappresentare un contributo al risarcimento materiale e morale subito. In questo senso il parametro dell'equità e della adeguatezza può dirsi rispettato se l'indennizzo è sostanzialmente compensativo delle sofferenze subite dalla vittima.

Ebbene, osserva ancora la Corte che, poiché l'art. 12 par 2 non esclude un sistema indennitario su base forfettaria, quale quello adottato dallo Stato italiano, un tale sistema, seppure ammissibile, non può contemplare un importo che si riveli nel caso concreto “manifestamente insufficiente”.

La violenza sessuale viene ritenuta un reato tra quelli che possono comportare conseguenze tra le più gravi e dunque, si conclude nella sentenza che l'importo di euro 4,800 previsto dal decreto ministeriale 31 agosto 2017 non appare corrispondente “prima facie” ad un “indennizzo equo e adeguato” per come precisato dall'art. 12 par 2 della direttiva 2004/80.

Osservazioni

La direttiva 2004/80/CE ha inteso istituire un sistema di cooperazione fra Stati membri volto a facilitare le vittime di reato nell'accesso all'indennizzo nelle situazioni c.d. “transfrontaliere”, in maniera che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest'ultima possa essere indennizzata dallo Stato nel cui territorio ha subito il reato.

E ciò, nella considerazione che uno degli obiettivi della Comunità europea è quello di abolire ogni ostacolo alla libera circolazione tra Stati membri e che, come statuito dalla Corte di giustizia nella nota causa Cowan (186/87), il corollario della libertà del singolo di recarsi in altro Stato membro è quello di vedere tutelata la propria integrità personale alla stessa stregua dei suoi cittadini e dei soggetti che ivi risiedono. A ciò consegue, a mente dei considerando della direttiva 2004/80, che ogni vittima di reato nell'Unione europea deve avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso.

La sentenza 16 luglio 2020 che si è esaminata, per la prima volta, consegna al giudice nazionale un'interpretazione dell'art.12 par 2 della direttiva 2004/80 che consente quell'effetto estensivo del sistema indennitario previsto per le situazioni transfrontaliere, di cui ha parlato il giudice del rinvio nella parte motiva del provvedimento, alle situazioni di reati subiti sul territorio di residenza.

I precedenti giurisprudenziali della stessa Corte di giustizia, secondo i quali le situazioni “interne” non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2004/80, non sono da considerare propriamente difformi: così le due note sentenze 28 giugno 2007, Dell'Orto, C-467/05 e 12 luglio 2012, Giovanardi e a., C-79/11. La Corte in tali casi, infatti, pur dichiarando che la direttiva 2004/80 prevede indennizzi soltanto nelle situazioni “transfrontaliere”, non aveva escluso che l'articolo 12 par 2, imponesse l'adozione di un sistema indennitario per le vittime di reati commessi sul territorio, anche se al fine di garantire l'obiettivo da essa perseguito per le situazioni “transfrontaliere”. Si può dunque dire che, nel solco di una siffatta interpretazione, la Corte giunge ad una conseguenza interpretativa che rende finalmente completo il sistema di tutela delle vittime sotto il profilo esaminato.

Sistema di tutela che è previsto al fine di sopperire al mancato risarcimento del danno da parte dell'autore del reato (come è accaduto nel caso di BV che ha originato il procedimento di rinvio) perché questi non è “identificato” o non è stato “perseguito” oppure non possiede “le risorse necessarie per ottemperare” (così nel considerando (10) della direttiva 2004/80/CE).

A questo proposito è bene ricordare che l'art. 12 comma 1 lett. b) L. 122/2016 prevede che la vittima, al fine di conseguire l'indennizzo a carico dello Stato, deve avere esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato al fine di ottenere il risarcimento del danno previsto nella sentenza di condanna. E ciò, ammenochè il condannato sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato o l'autore sia rimasto ignoto. In mancanza dell'infruttuoso tentativo di recuperare la somma risarcitoria, la vittima del reato non potrà ottenere alcun indennizzo (si segnala la sentenza del Tribunale di Roma sez. II, 29.09.2020, n. 13118 che, pur avendo preso atto della sentenza della Corte di Giustizia 16 luglio 2020, ha rigettato la domanda proposta per carenza delle condizioni previste dalla legge italiana).

La sentenza esaminata offre l'occasione per ricordare l'importanza della funzione dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, per come previsto dall'art. 267 TFUE e dalle relative Raccomandazioni (2018/C257/01), ai sensi dei quali la Corte si pronuncia sull'interpretazione del diritto dell'Unione Europea e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni, dagli organi e organismi dell'UE.

Tramite il procedimento in questione, il giudice nazionale può o deve chiamare la Corte di Lussemburgo a risolvere il quesito pregiudiziale dalla cui soluzione dipende la decisione della controversia interna. E ciò nell'ambito di un rapporto di cooperazione fra la Corte e i giudici nazionali che segna, come è stato più volte definito, un “autentico dialogo”, volto a garantire l'unità di interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri.

Il discrimen fra la facoltà di promuovere il procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia e l'obbligo, è dato dalla diversa sede giurisdizionale nella quale la necessità di interpretazione insorge. Nel caso di specie, si era trattato di un rinvio obbligatorio, poiché il giudice nazionale era il giudice di ultima istanza, trattandosi della Corte di Cassazione (“Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte” così l'art. 267 par 3).

E' utile ricordare che il perimetro entro il quale la Corte si pronuncia quando viene adita per quesiti pregiudiziali è quello della sola interpretazione del diritto comunitario, non potendo la stessa spingersi all'applicazione delle dette norme alle fattispecie concrete oggetto del procedimento principale del quale pure prende cognizione con il rinvio propostole, né addentrarsi nell'interpretazione delle norme interne che anche analizza. Nell'ambito del dialogo instauratosi, una volta emessa la decisione interpretativa, riemerge la funzione del giudice nazionale che deve trarre le conseguenze concrete derivanti dalla decisione della Corte Europea.

E così, nella causa intentata da BV, la Corte illustra la normativa nazionale e il diritto dell'Unione rilevanti ai fini della soluzione ai quesiti prospettatigli, ripercorre sinteticamente il caso concreto nelle sue fasi di fronte ai giudici nazionali, ma ciò soltanto al fine di verificare se il diritto dell'Unione è applicabile nel procedimento principale. La causa dovrà essere riassunta dinanzi al giudice italiano che, alla luce dell'effettuata interpretazione dell'art. 12 par 2, deciderà sull'inadempimento dello Stato e sull'entità del risarcimento. In proposito, la conclusione cui giunge la Corte europea è soltanto quella di offrire al giudice nazionale un criterio interpretativo che lo orienti nella soluzione del caso concreto, che viene esplicitamente ad esso lasciata (“fatta salva la verifica del giudice del rinvio”), enunciando il principio sopra indicato nella risposta alla seconda questione pregiudiziale.

In ultimo, si annota che il 23 gennaio 2020 è entrato in vigore il D.M. 22 novembre 2019, il quale ha innalzato di gran lunga le esigue somme precedentemente previste, (ai sensi dell'art. 1 lett. c) l'indennizzo stabilito per il reato di violenza sessuale, se non di minore gravità, è di euro 25.000), ma, prevedendo indennizzi fissi, ha tralasciato il criterio indicato dalla Corte di giustizia secondo il quale occorre adottare una normativa che, se pur forfettaria, tenga conto della gravità delle conseguenze subite dalla vittima. In questo senso sarebbe stata preferibile una normativa che contemplasse una gradazione delle somme indicate.

Guida all'approfondimento

TROGLIA, La Corte di Giustizia dell'Unione europe dichiara l'Italia inadempiente in relazione al sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, in DPC, 7 nov 2016

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario