La stretta inviolabilità del rapporto avvocato-detenuto secondo i parametri Cedu

Veronica Manca
22 Maggio 2019

Con il caso Altay c. Turchia (N. 2), la Corte europea dei diritti dell'uomo torna a pronunciarsi sulla delicata questione del diritto di difesa del detenuto e, in particolar modo, del rapporto con l'avvocato (dalla corrispondenza ai colloqui). La decisione si aggiunge ad una serie di pronunce in merito, con cui la Corte di Strasburgo ha delineato una forma di tutela rafforzata, sotto l'ombrello di copertura dell'art. 8 Cedu (e/o art. 6, § 1 Cedu), in relazione ai momenti cruciali del rapporto tra avvocato e assistito (nella specie recluso).
Abstract

Con il caso Altay c. Turchia (N. 2), la Corte europea dei diritti dell'uomo torna a pronunciarsi sulla delicata questione del diritto di difesa del detenuto e, in particolar modo, del rapporto con l'avvocato (dalla corrispondenza ai colloqui). La decisione si aggiunge ad una serie di pronunce in merito, con cui la Corte di Strasburgo ha delineato una forma di tutela rafforzata, sotto l'ombrello di copertura dell'art. 8 Cedu (e/o art. 6, § 1 Cedu), in relazione ai momenti cruciali del rapporto tra avvocato e assistito (nella specie recluso).

Il caso deciso dalla Corte europea: Altay c. Turchia (N. 2)

Con il caso Altay c. Turchia (N. 2), la Corte europea rimarca la centralità del ruolo dell'avvocato nel rapporto con il proprio assistito, specie, se detenuto, in linea con l'orientamento della Corte ormai consolidato e granitico (v., sul punto, tra tutte, Corte EDU, GC, Beuze c. Belgium, 9 dicembre 2018, ric. n. 22765/12).

Il caso trae origine dal ricorso di un cittadino turco, condannato alla pena dell'ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale per reati di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico e costituzionale. Il ricorrente lamentava di essere stato sottoposto reiteratamente a limitazioni alla corrispondenza con il proprio avvocato: in particolare, le autorità turche avevano provveduto al sequestro di corrispondenza inviata dall'avvocato al detenuto. Si trattava di materiale divulgativo e scientifico – di per sé non rilevante ai fini difensivi – ma che si inseriva, con tutta evidenza, in un rapporto di scambio culturale di informazioni e documenti a beneficio del detenuto: il difensore aveva infatti inviato al proprio assistito un libro, una rivista scientifica e un settimanale (v., in ordine, Globalisation and Imperialism, Rootless Anational Publication, Express International Sha la la). Secondo le autorità turche, tale invio non era legittimo e come tale andava bloccato perché il materiale non ineriva la difesa del detenuto: la richiesta di sequestro e di presa visione del contenuto era, infatti, stata autorizzata dai giudici turchi; decisione poi confermata dalle più alte Corti. La Edirne Assize Court aveva, da ultimo, ritenuto come le decisioni assunte dai gradi inferiori fossero state corrette, essendosi limitate ad applicare la normativa di settore (v., Sezione V della legge n. 5351: “A lawyer's documents and files related to the defence and his or her records of the meetings with his or her client chall not be subject to examination. However, if it emerges from documents or other evidence that visits by lawyers to a person convicted of the offences set out in section 220 of the Criminal Code or sub-chapters 4 and 5 Chapter 2 of the Criminal Code are serving as a mean of communication with a terrorist organisation or of enforcement court may, on the application of the prosecution, impose [following measures]: presence of an official during the lawyer's visits; verification of documents exchanged between the prisoner and his or her lawyers during such visits; and/or confiscation of all or some of these documents by the judge”).

In un secondo momento, rispetto al sequestro della corrispondenza, il ricorrente lamentava di aver subìto ulteriori restrizioni da parte dell'autorità turca, dato che, durante i colloqui difensivi, l'amministrazione penitenziaria aveva imposto la presenza di un agente.

Sotto il preliminare profilo dell'ammissibilità, nonostante le affermazioni contrarie del Governo, la Corte ritiene pienamente ammissibile il ricorso (ai sensi dell'art. 35, § 3 Cedu) e non manifestamente infondate le questioni sottese. Con riguardo al merito, il ricorrente adduce una violazione dell'art. 8 Cedu, per un'indebita ed illegittima interferenza delle autorità turche rispetto al rapporto confidenziale con il proprio avvocato, tenuto conto che la legge turca non vieta lo scambio di documenti e di materiali che non siano di stretta rilevanza con la difesa; opposta, invece, la posizione del Governo turco. Medesime considerazioni valgono anche per l'ulteriore profilo di cui all'art. 6, § 1 Cedu: secondo il ricorrente, l'impossibilità di essere ascoltato durante il procedimento giudiziale – meramente cartolare – avrebbe violato il suo diritto di difesa a partecipare ed essere presente in un processo equo e garantito.

Preso atto del ricorso e della posizione del Governo, la Corte di Strasburgo dichiara all'unanimità la violazione della Convenzione, sotto un duplice profilo: art. 8 Cedu e dell'art. 6, § 1 Cedu e condanna lo Stato turco al pagamento di 2000 euro a titolo di risarcimento del danno (non patrimoniale) a favore del ricorrente.

Le “questioni al tappeto”: la tutela dei diritti dei detenuti

La pronuncia in esame si rivela di grande interesse, dato che, con riguardo a un unico caso, affronta più questioni cruciali in relazione al diritto di difesa. In primo luogo, la Corte europea ricorda come la tutela dei diritti delle persone recluse sia garantita alla pari delle persone libere. Ai sensi dell'art. 5 Cedu, infatti, la Convenzione impone il diritto per la persona a non essere privato della libertà personale senza una base normativa e in modo arbitrario (secondo le condizioni di cui alle lettere a-f, § 1 dell'art. 5 Cedu). La lettura di tale norma, anche in combinato disposto con gli artt. 2, 3, 6, 8-11 Cedu, circoscrive lo statuto dei diritti delle persone recluse, secondo i parametri della Cedu (che ovviamente si uniformano alle fonti internazionali, come, ad es., dai Principi per la protezione di tutte le persone private della libertà personale, 9 dicembre 1988 e ai Principi sul ruolo del difensore, 7 settembre 1990, alle Regole penitenziarie europee, 11 gennaio 2006, e alla giurisprudenza evolutiva della Corte di Strasburgo).

Nello specifico, se gli artt. 2 e 3 Cedu sono “assoluti” e non soffrono di limitazioni da parte degli Stati membri, le previsioni di cui agli artt. 8-11 Cedu, invece, sono soggette a possibili restrizioni e rientrano nel margine di discrezionalità dei legislatori nazionali. Vale, però, l'inciso per cui tali limiti sono ammissibili e legittimi, nel sistema convenzionale, solo laddove siano previsti da una fonte normativa (la cui previsione sia chiara, prevedibile ed accessibile e, soprattutto, lo sia anche la sua interpretazione giudiziale) e siano strettamente necessari al raggiungimento dello scopo: opera, infatti, per le disposizioni in esame, la regola della “necessarietà”, per cui sono convenzionalmente conformi quelle ingerenze statuali che si rivelino necessarie e proporzionate al raggiungimento dello scopo inteso dalla norma (individuato dallo Stato membro nel suo ampio margine di discrezionalità), che dovrebbe essere rappresentato da esigenze di difesa sociale e/o di prevenzione di reati e/o di neutralizzazione della pericolosità sociale degli autori di gravi crimini.

Tale quadro introduttivo serve alla Corte per inquadrare la prima questione: la riconducibilità della relazione tra avvocato e detenuto sotto l'ombrello di copertura dell'art. 8 Cedu. In linea con il proprio orientamento, i giudici europei qualificano come “privilegiato” il rapporto difensivo e ne sanciscono la sua inviolabilità rispetto a restrizioni arbitrarie, irragionevoli ed imprevedibili ad opera di interpretazioni sfavorevoli delle Corti interne.

Infine, la Corte ripercorre la propria giurisprudenza per puntualizzare come anche i procedimenti di impugnazione avverso provvedimenti dell'amministrazione penitenziaria siano da considerare coperti dalle tutele e dalle garanzie del fair trail e che, quindi, eventuali lacune in merito alla possibilità di essere ascoltati e/o di usufruire di un'udienza pubblica, rappresentino evidenti lesioni del diritto di difesa e di partecipazione al processo, ai sensi dell'art. 6, § 1 Cedu.

(Segue). L'esegesi dell'art. 8 Cedu: ombrello di copertura delle violazioni della privacy del detenuto

L'art. 8 Cedu, in relazione alle persone recluse, viene spesso utilizzato per tentare una copertura rispetto a lesioni e ingerenze nella vita privata del detenuto che non assurgono a lesioni alla vita ed all'integrità fisica di gravità tale da integrare il diverso e assoluto parametro dell'art. 3 Cedu.

Con l'art. 8 Cedu, la Convenzione offre parametri di tutela circa la sfera privata della persona, sia essa intesa come singolo sia come parte di un contesto sociale. Non è un diritto riconosciuto in modo assoluto, essendo legittime restrizioni da parte degli Stati membri. Tali, però, come detto in apertura, devono avere una base normativa – intesa in termini sostanziali – e devono rientrare negli ambiti tassativamente previsti dal § 2 dell'art. 8 Cedu.

Le possibili restrizioni devono, dunque, rispecchiare un primario interesse dello Stato (come, ad es., ordine pubblico, sicurezza pubblica, integrità territoriale), o, legittimi interessi della collettività (come ad es., prevenzione della criminalità, benessere economico), o, infine, pari interessi di terzi privati (come, ad es., l'onore e la reputazione di terzi lesi dal comportamento dell'agente). Nel caso concreto, oltre a verificare la base normativa, si deve anche valutare l'idoneità della misura adottata (la sua relativa necessarietà) rispetto al bisogno sotteso alla previsione: l'ingerenza dello Stato deve, quindi, fondarsi su ragioni pertinenti e rispettose del principio di proporzionalità convenzionalmente inteso.

Con riguardo alle persone recluse, va da sé che l'ingerenza dello Stato raggiunga massimi livelli, data la natura restrittiva della misura. Con ciò, però, non vuol dire che tutte le limitazioni sono di per sé consentite ed ammesse. Nel leading case Boyle e Rice c. Regno Unito, la Corte, in un primo momento, aveva adottato un approccio prudente e, pur riconoscendo l'operatività dell'art. 8 Cedu anche alle persone recluse, riteneva legittime le restrizioni imposte dagli Stati membri, perché rientranti nel proprio margine di discrezionalità.

Con riguardo, nello specifico, al diritto alla corrispondenza, per un primo periodo, la Commissione procedeva, dichiarando irricevibili per manifesta infondatezza ricorsi presentati da detenuti circa il controllo della corrispondenza: si sosteneva infatti che tale limitazione rientrasse nella discrezionalità legislativa nazionale.

In un secondo momento, invece, si è consolidato un orientamento – ormai granitico – più garantista: una delle prime pronunce in merito, riguardava il caso dei c.d. “Vagabondi belgi” risalente al 1971. In tale caso, la Corte ritenne che il controllo preventivo sulla corrispondenza e le intercettazioni telefoniche disposte dal Direttore del carcere costituissero un'ingerenza dell'autorità nella sfera privata dei detenuti, che esula dalle “normali” intromissioni legali e previste per esigenze di ordine e difesa pubblici (v., il caso De Wilde, Ooms e Versyp c. Belgio, del 18 giugno 1971).

Innumerevoli le sentenze di condanna in materia a carico dell'Italia: la prima, come tutti ricordano, è risalente al caso Calogero Diana e Dominichini (del 15 novembre 1996), a cui seguirono numerose pronunce sino alla riforma avvenuta con legge 95/2004, con cui si poneva rimedio alla normativa penitenziaria in materia di corrispondenza, censurata, a più riprese dalla Corte Edu, in relazione ai commi 7, 8 e 9 dell'art. 18 ord. pen.: la disciplina appariva, infatti, gravemente lacunosa sotto il profilo della tassatività legislativa, dato che non venivano individuate le situazioni idonee a giustificare le misure restrittive e la durate delle medesime. Carente, inoltre, anche la parte relativa all'onere motivazionale in capo all'autorità competente che, di conseguenza, riduceva le possibilità di esperire valide impugnazioni (a fronte di tale impostazione, si era sviluppato un orientamento giurisprudenziale per cui individuava nella posizione dei detenuti alla corrispondenza un mero interesse legittimo e, non come invece si è sostenuto saldamente più tardi, un diritto soggettivo). A tale situazione di palese contrasto con i precetti europei, giunsero plurime sentenze di condanna della Corte europea, soprattutto in relazione ad un duplice profilo, quello dell'art. 8 Cedu (illegittimità delle previsioni come ingerenze nella vita privata e familiare), e, quello dell'art. 13 Cedu (illegittimità per l'assenza di un ricorso effettivo): vedi, sul punto, Corte Edu, Sezione II, Messina c. Italia, 28 settembre 2000, ric. n. 25498/94; Corte Edu, Ganci c. Italia, 28 settembre 2000, ric. n. 26772/95; Corte Edu, Vincenzo Guidi c. Italia, 27 marzo 2008, ric. n. 28320/02.

Nonostante la riforma, e l'evoluzione della giurisprudenza, numerosi sono i profili critici della normativa italiana, soprattutto in relazione ai regimi differenziati, come quello di cui all'art. 41-bis ord. pen.: in materia di colloqui con il difensore, la Corte costituzionale (con sent. n. 143/2013) ha ritenuto illegittime le restrizioni quantitative imposte dalla previsione del comma 2-quater, lett. b) dell'art. 41-bis ord. pen.; privi di limitazione, invece, i colloqui con il Garante nazionale dei diritti delle persone recluse (un tanto è stato riconosciuto anche dalla Circolare DAP n. 3676/6126; più discusso, in giurisprudenza di merito, l'accesso ai Garanti territoriali). Con riguardo alla corrispondenza, valgono anche per i detenuti in 41-bis ord. pen. i limiti e le garanzie procedurali di cui all'art. 18 ord. pen.: più discusse, invece, le forme di controllo non qualificabili formalmente come “visto” (v., Cass. pen., Sez. unite, n. 28997/2012); così, ad oggi, risultano vietati canali di comunicazioni (dalla corrispondenza ai colloqui) tra persone recluse, specie, se tutte in regime di 41-bis ord. pen. (v., da ultimo, Cass. pen., Sez. I, n. 16557/2019).

(Segue). La tutela rafforzata del rapporto avvocato-detenuto

Come anticipato, la pronuncia in esame si presenta di fondamentale importanza, perché unitamente a due precedenti Laurent c. Francia e Beuze c. Belgium, circoscrive l'ambito di operatività delle restrizioni imposte per motivi di ordine pubblico e/o sicurezza pubblica da parte degli Stati su soggetti in vinculis – siano essi indagati o imputati o condannati definitivi – in relazione al rapporto con l'avvocato.

Con la pronuncia Laurent c. Francia, la Corte di Strasburgo aveva sancito l'inviolabilità della corrispondenza tra detenuto e avvocato: anche un foglio (piegato a metà e consegnato a mano al proprio avvocato, durante un colloquio) rientra nella nozione di corrispondenza protetta ai sensi dell'art. 8 Cedu, e, quindi, qualsiasi ingerenza da parte dell'autorità e/o amministrazione penitenziaria rappresenta una violazione del segreto professionale dell'avvocato e della sfera privata del proprio assistito (v., sul punto, Corte EDU, Sezione V, Laurent c. Francia, 24 maggio 2018, ric. N. 28798/13).

Ancora. Con il recentissimo caso Beuze c. Belgium, i giudici di Strasburgo sono intervenuti nell'affermare una tutela rafforzata per la fase pre-cautelare, in fase di arresto e trattenimento, sull'accesso al colloquio con il proprio difensore, e sulla sua facoltà di rimanere in silenzio (e sul suo diritto di venir informato dei propri diritti), durante l'interrogatorio e nella fase immediatamente successiva.

Del resto, la protezione al diritto di difesa trova le sue origini nel lontano leading case Campbell c. Regno Unito (del 25 marzo 1992, ric. N. 13590/13),in cui Corte aveva già affermato la natura “privilegiata” della relazione tra avvocato e assistito ([…] the lawyer-client relationship is, in principle, privileged”), e aveva specificato come, in sostanza, la Convenzione non faccia mai riferimento a distinzioni circa il contenuto delle comunicazioni, se private o confidenziali – che, quindi, di per sé non sono vietate – o strettamente inerenti il mandato difensivo.

Non solo, quindi, la Corte riconosce, in termini generali, un diritto soggettivo “rafforzato” di difesa, ma impone anche agli Stati membri, in armonia con la Convenzione e con le fonti internazionali, di garantire (tramite il rispetto di obbligazioni positive, oltre che quelle negative di “non ingerenza”) il rispetto della privacy durante i momenti cruciali di svolgimento del mandato difensivo, dalla corrispondenza ai colloqui (così, la giurisprudenza della Corte europea seguente, v., C. EDU, Paolello c. Italia, 1 settembre 2015, ric. N. 37648/02; Corte EDU, Di Cecco c. Italia, 15 febbraio 2011, ric. N. 28169/06; Corte EDU, Messina c. Italia, 28 settembre 2000, ric. N. 25498/94; con riferimento alla tutela della corrispondenza agli organi di giustizia sovranazionale, Corte EDU, Natoli c. Italia, 9 gennaio 2001, ric. N. 4290/02).

Con questo, la Corte non sta affermando l'assolutezza di tale diritto, riconoscendo comunque in capo agli Stati la facoltà di prevedere delle restrizioni, in armonia con l'inciso del § 2 dell'art. 8 Cedu, per cui: Non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Tali restrizioni, tuttavia, sono legittime solo laddove previste dalla legge e solo nella misura in cui si rivelino strettamente necessarie al raggiungimento dello scopo: la Corte, infatti, rammenta che “[…] the margin of appreciation of the respondent State in assessment of the permissible limits of interference with the privacy of consultation and communication with a lawyer is narrow in that only exceptional circumstances, such as to prevent the commission of serious crime or major breaches of prison safety and security, might justify the necessity of limitation of these rights” (Corte EDU, Sezione II, Altay c. Turchia (N. 2), 9 aprile 2019, ric. N. 11236/09, p. 15).

(Segue). L'accessibilità e prevedibilità dell'interpretazione giudiziale

Questione strettamente collegata alla precedente, la base legale della restrizione di per sé non è sufficiente a considerare legittima e convenzionalmente conforme un'eccezione al diritto di difesa del detenuto: la Corte, infatti, ricorda che la previsione della limitazione, oltre al fatto di essere tassativamente disciplinata da una fonte normativa, deve essere anche prescritta in termini chiari e accessibili sia nel momento precettivo sia in relazione agli effetti di una sua eventuale violazione (v., sul punto, Corte EDU, GC, De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017, ric. N. 43395/09). Non solo. Nel più ampio concetto tipicamente convenzionale della “prevedibilità della sanzione penale”, la Corte ricorda come l'accessibilità e la prevedibilità delle conseguenze devono essere garantite, primariamente dal legislatore, e, secondariamente, nel momento applicativo, dalle Corti nazionali.

Nel caso di specie, la condotta censurata dell'avvocato, di inviare libri e pubblicazioni al proprio assistito, non sarebbe ricompresa nella normativa di settore turca, che si limita, infatti, ad elencare circostanze eccezionali in cui, sulla base di un'esplicita richiesta motivata da indirizzarsi al giudice competente, le autorità possono trattenere e visionare il contenuto di missive e/o presidiare colloqui visivi tra difensore e detenuto: tali circostanze, però, sono tutte riconducibili alla prevenzione di reati e di neutralizzazioni di pericolosità sociale interna/esterna, che potrebbe alimentarsi con il contatto del detenuto rispetto alla criminalità organizzata per il tramite del difensore e/o di familiari. L'interpretazione fornita dalla Edirne Enforcement Court (confermata poi dalla Edirne Assize Court) sarebbe, quindi, da considerarsi irragionevole e imprevedibile per il detenuto (in violazione dell'art. 8, § 2 Cedu e, si potrebbe aggiungere, anche in violazione dell'art. 7 Cedu). Secondo la Corte europea, dunque, la decisione delle Corti interne si sarebbe basata su di un'interpretazione sfavorevole al detenuto, senza alcuna base normativa, dato che la legge di settore non dispone nulla di così preciso sul punto, lasciando ampio margine di intervento alle autorità (“Accordingly, there has been a violation of Article 8, § 1 of the Convention on account of the lack of foreseeability of the applicant's case”, v. Corte EDU, Sezione II, Altay c. Turchia (N. 2), 9 aprile 2019, ric. N. 11236/09, p. 17).

(Segue). Fair trial e audizione del detenuto: art. 6, § 1 Cedu

Ultimo profilo affrontato dalla Corte europea, concerne l'assenza di un oral hearing nel procedimento di reclamo instauratosi per effetto dell'impugnazione del detenuto dinanzi alla Corte di grado superiore. Il diritto dell'interessato a partecipare e ad essere ascoltato in udienza rappresenta uno dei punti saldi del fair trial (ai sensi dell'art. 6, § 1) che deve essere garantito in any stage del procedimento penale: così, infatti, ricorda la Corte nel caso Jussila c. Finlandia, per cui “an oral, and pubblic, hearing constitutes a fundamental principle that is enshrimed in Article 6 § 1”.

In una recente pronuncia, la Grande Camera è tornata a pronunciarsi sul tema, circoscrivendo le possibili eccezioni – da valutarsi caso per caso – a cui potrebbe sopperire il diritto di essere ascoltato in udienza: a) la “cartolarità” del caso, la cui risoluzione è possibile agilmente dall'esame dei documenti; b) la linearità della questione di diritto oppure c) la tecnicità dei motivi di diritto proposti all'esame della Corte (v., C. EDU, GC, Ramos Nunes de Carvalho e Sa c. Portogallo, 6 novembre 2018, ric. N. 55391/13).

Al contrario, la Corte ritiene necessaria la previa audizione dell'interessato, ad esempio, quando sia fondamentale chiarire determinati punti della vicenda, con mezzi istruttori, tra cui anche l'esame della parte oppure, quando è indispensabile chiarire aspetti personali della situazione familiare o del contesto sociale e/o del comportamento tenuto rispetto alla circostanza contestata o, ancora, quando è cruciale stabilire il corretto agire dell'autorità pubblica.

Sulla base di tale orientamento, la Corte conclude, come nel caso concreto, vi sia stata la violazione dell'art. 6, § 1 Cedu, in quanto la gravità della restrizione imposta, l'assenza di un contraddittorio con l'autorità pubblica ed il procedimento in doppio grado, meramente documentale (basatosi, quindi, unilateralmente solo sul provvedimento dell'autorità pubblica) avrebbe imposto la necessità di un'audizione della persona interessata per valutare complessivamente l'agire dell'autorità pubblica e per chiarire la condotta serbata dal professionista e dal detenuto rispetto alla normativa nazionale.

In conclusione

Con la pronuncia in esame, si aggiunge un ulteriore tassello a un orientamento ormai granitico in materia di esercizio del diritto di difesa della persona sottoposta a restrizioni da parte dello Stato. Con le tre pronunce, Laurent c. Francia, Beuze c. Belgium e Altay c. Turchia (N. 2), la Corte europea rammenta, ancora una volta, agli Stati membri la centralità del rapporto difensivo sia nel momento del colloquio sia nella fase della corrispondenza: il primo contatto con la giustizia da parte della persona, con l'arresto e l'applicazione di una misura pre-cautelare, deve essere garantita, in armonia con l'art. 6, § 1 Cedu, e, quindi, devono essere offerte al cittadino tutti gli strumenti di difesa, dall'accesso all'avvocato, al colloquio con lo stesso (v, Beuze c. Belgium). Medesime considerazioni, in fase di applicazioni della privazione della libertà personale (mai arbitraria ed illegittima), ai sensi dell'art. 5 Cedu: solo laddove le restrizioni dell'autorità pubblica siano legali, motivate e giurisdizionalmente controllate, allora sono ammissibili – all'interno delle dinamiche di discrezionalità nazionali – forme di limitazioni e di controllo, che, in ogni caso, devono rivelarsi adeguate, necessarie e proporzionate. In tale ottica, si giustificano le limitazioni imposte alla corrispondenza e/o ai colloqui anche con il difensore, che devono avere carattere eccezionale ed uniformarsi a esigenze tassativamente previste dal § 2 dell'art. 8 Cedu. Al di fuori di tale previsione, ogni limitazione potrebbe assumere connotati di illegittimità e non-convenzionalità, come nei casi Laurent c. Francia e Altay c. Turchia (N. 2).

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