I limiti al divieto di reformatio in peius

26 Ottobre 2015

Per la Corte Edu ben può la Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, irrogare una pena più grave rispetto a quella comminata dal primo giudice di appello, purché non sia più alta rispetto a quella determinata dai giudici di primo grado. Il ricorrente, condannato con giudizio abbreviato per associazione di tipo mafioso, aveva impugnato la sentenza di condanna a sei anni di reclusione contestando la inutilizzabilità di parte delle intercettazioni telefoniche realizzate nel corso delle indagini preliminari, in quanto effettuate con strumenti non appartenenti alla Procura.

Per la Corte Edu ben può la Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, irrogare una pena più grave rispetto a quella comminata dal primo giudice di appello, purché non sia più alta rispetto a quella determinata dai giudici di primo grado.

Il ricorrente, condannato con giudizio abbreviato per associazione di tipo mafioso, aveva impugnato la sentenza di condanna a sei anni di reclusione contestando la inutilizzabilità di parte delle intercettazioni telefoniche realizzate nel corso delle indagini preliminari, in quanto effettuate con strumenti non appartenenti alla Procura.

La Corte di appello, in riforma della sentenza impugnata, riduceva la condanna a cinque anni e quattro mesi di reclusione, considerato il limitato contributo del ricorrente alle attività dell'associazione. Avverso questa decisione, il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione ribadendo la illegittimità delle intercettazioni così come effettuate. La Corte regolatrice annullava con rinvio ad altra Corte di appello ritenendo che le intercettazioni potevano essere realizzate con strumenti non appartenenti agli inquirenti ma solo in circostanze eccezionali le quali, tuttavia, non risultavano correttamente motivate. Nel nuovo procedimento la Corte di appello confermava il giudizio di primo grado, conclusosi con una condanna a sei anni di reclusione, inasprendo così la pena rispetto a quella precedentemente inflitta dal primo giudice di appello. Riproponeva ricorso per Cassazione l'imputato, il quale, oltre a ribadire i già menzionati motivi di ricorso, eccepiva altresì la violazione del principio di divieto di reformatio in peius, come garantito dall'articolo 597, comma 3, c.p.p., atteso che, condannato dal Gup ad anni 6 di reclusione, si era visto ridurre la pena dal primo giudice d'appello ad anni cinque e mesi quattro, mentre il giudice di rinvio aveva rideterminato la sanzione in anni 6 di reclusione.

La Cassazione, aderendo all'indirizzo maggioritario, ha sostenuto che il divieto di reformatio in peius è un principio di portata generale che opera anche nel giudizio di rinvio; tuttavia, qualora la sentenza di appello sia stata annullata per ragioni esclusivamente processuali – come nel caso in esame – tale divieto deve essere rispettato solo in relazione alla sentenza di primo grado, non avendo determinato quella di secondo grado il consolidamento di alcuna posizione di carattere sostanziale.

Per la Corte Edu, che ha dichiarato all'unanimità irricevibile il ricorso, non può ritenersi violato, da parte della Cassazione, il divieto di applicazione analogica e dunque l'art. 7 della Convenzione che afferma il principio nulla poena sine lege, dal momento che il testo dell'articolo 597, comma 3, c.p.p. vieta solo una condanna superiore a quella imposta nella sentenza di primo grado che, nel caso di specie, è pari a sei anni di reclusione. Sanzione finale applicata al ricorrente dal giudice nazionale che, a tal fine, non è andato oltre il dettato normativo.

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