Alla accertata violazione della Convenzione non consegue il diritto alla revisione della sentenza irrevocabile

Donatella Perna
26 Ottobre 2017

La questione proposta è se la decisione della Corte Edu, che ravvisi una violazione della Convenzione in un giudizio ormai concluso con sentenza irrevocabile, dia diritto alla riapertura del processo e alla revisione della sentenza coperta da giudicato.
Massima

La Convenzione Edu non garantisce il diritto alla riapertura di un processo o altre forme di ricorso che permettano di annullare o rivedere decisioni divenute irrevocabili. Un nuovo processo o la riapertura del processo ad istanza dell'interessato possono rappresentare, in via di principio, un mezzo appropriato per porre rimedio ad una violazione della convenzione, ma non costituiscono mezzi necessari od esclusivi.

Il caso

All'origine della sentenza in commento, vi è la vicenda di una donna portoghese che, a seguito di una lite con altri soggetti, era stata inquisita per minacce; nel corso dell'istruttoria era stata prodotta una perizia secondo la quale l'imputata, pur disponendo di capacità intellettuali e cognitive diminuite, doveva essere comunque ritenuta penalmente responsabile dei propri atti, cosicché con sentenza del 23 marzo 2007, il tribunale l'aveva condannata alla pena di 320 giorni-ammenda, ovvero 640/00 euro totali, per minacce ed ingiurie, nonché al risarcimento del danno nei confronti delle vittime del reato.

Impugnata la sentenza dinanzi alla Corte d'appello, l'imputata aveva ribadito di non avere avuto coscienza del carattere illecito dei propri atti e aveva chiesto di essere riconosciuta penalmente incapace, alla luce delle patologie psichiatriche dalle quali si dichiarava afflitta, chiedendo una nuova valutazione del caso e la fissazione di un'apposita udienza per essere personalmente sentita. Tuttavia la Corte d'appello, all'udienza designata – svolta alla presenza del P.M. e del difensore – non aveva ascoltato l'imputata, confermando nel merito la condanna, e limitandosi a ridurre leggermente la pena inflitta: secondo i giudici non vi erano infatti i presupposti per procedere ad una rivalutazione dei fatti, poiché l'appellante non era riuscita a rimettere in discussione la validità dell'apprezzamento compiuto dal tribunale di primo grado.

Divenuta definitiva la sentenza, la donna aveva pagato l'ammenda in più tranches ed infine aveva ottenuto la cancellazione della condanna dal certificato penale; tuttavia, il 15 aprile 2008 aveva presentato ricorso alla Corte Edu, lamentando di non essere stata personalmente sentita dalla Corte d'appello, in violazione – a suo dire – dell'art. 6 della Convenzione, il quale prevede il diritto ad un equo processo.

Con decisione del 5 luglio 2011, i giudici di Strasburgo avevano accolto il ricorso, rilevando che la Corte d'appello portoghese non avrebbe potuto risolvere la questione centrale del processo, ovvero se l'imputata fosse parzialmente incapace al momento del fatto, se non dopo averla sentita personalmente in pubblica udienza: ciò non era stato fatto, ed era sufficiente ad integrare la violazione dell'art. 6 della Convenzione sul diritto ad un equo processo.

Frattanto la condannata presentava alla Corte suprema portoghese un'istanza di revisione, sostenendo che la sentenza della Corte d'appello era incompatibile con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, ma la Corte suprema rigettava la richiesta, ritenendo che non vi fosse alcuna incompatibilità, e che l'omessa audizione della condannata costituiva una semplice irregolarità procedurale, non suscettibile di revisione.

Di qui un nuovo ricorso alla Corte Edu, rimesso dalla quarta sezione alla Grande Chambre (organo giurisdizionale composto da diciassette giudici), e sfociato nella decisione che si commenta.

La questione

La questione proposta è se la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ravvisi una violazione della Convenzione in un giudizio ormai concluso con sentenza irrevocabile, dia diritto alla riapertura del processo e alla revisione della sentenza coperta da giudicato.

Le soluzioni giuridiche

La Grande Chambre muove innanzitutto da uno studio comparativo della legislazione e della prassi dei quarantatré Stati membri del Consiglio d'Europa, e rileva che molti di essi prevedono dei meccanismi interni che permettono di richiedere – quando vi sia stata una violazione della convenzione accertata dalla Corte Edu – la revisione o la riapertura di una vicenda penale coperta da giudicato. Altri, come ad es. Albania, Italia, Danimarca, Islanda, Malta, Regno Unito e Svezia, non prevedono espressamente la revisione della sentenza ma contemplano comunque la possibilità di essa grazie ad un'interpretazione estensiva delle disposizioni generali in materia; solo nel Liechtenstein la revisione di una sentenza definitiva in materia penale – sulla scorta di una decisione della Corte europea - non è possibile.

Ciò premesso, i giudici osservano che l'accertamento della violazione dell'art. 6 della Convenzione da parte della Corte europea, non impone automaticamente la riapertura del procedimento penale interno; nondimeno, la riapertura costituisce – in linea di principio – un mezzo appropriato e, spesso, il più appropriato per mettere termine alla violazione accertata e per cancellarne le conseguenze.

E tuttavia, la riapertura del processo non è un diritto e la relativa istanza deve essere innanzitutto ricevibile, condizione il cui controllo è assicurato dalle giurisdizioni nazionali, che in questo campo godono di un ampio margine di apprezzamento.

Per altro verso, le giurisdizioni superiori non devono utilizzare il loro potere di revisione se non per correggere errori in fatto o in diritto, o errori giudiziari, e non certo per procedere ad un nuovo esame della vicenda: la revisione non deve diventare un appello mascherato, ed il semplice fatto che possano esistere due punti di vista sull'argomento, non è un motivo sufficiente per un nuovo giudizio, a meno che motivi sostanziali ed imperativi lo esigano.

Inoltre, osservano i giudici, l'art. 6 della Convenzione non regolamenta l'ammissione delle prove o il loro apprezzamento, materia che fa capo in primo luogo al diritto interno e alle giurisdizioni nazionali: la Corte non è un giudice di quarta istanza, e non rimette in discussione sotto il profilo dell'art. 6 della Convenzione, l'apprezzamento dei tribunali nazionali, a meno che le conclusioni di questi possano considerarsi arbitrarie o manifestamente irragionevoli.

A tale ultimo proposito, per giurisprudenza costante della Corte europea (riflettente un principio legato alla buona amministrazione della giustizia), le decisioni giudiziarie devono indicare in maniera sufficiente i motivi sulle quali si fondano. L'estensione di tale dovere può variare a seconda della natura della decisione, e deve analizzarsi alla luce delle circostanze concrete: senza esigere una risposta dettagliata per ogni argomento posto dal richiedente, questo obbligo presuppone che la parte di una procedura giudiziaria possa attendersi una risposta specifica ed esplicita sui punti decisivi della controversia. Nelle vicende che concernono le ingerenze nei diritti protetti dalla Convenzione, la Corte verifica che la motivazione delle decisioni rese dalle giurisdizioni nazionali non sia automatica e stereotipata.

Alla luce di tali principi, una decisione di giustizia interna può qualificarsi «arbitraria» al punto di nuocere all'equità del processo, solo nel caso in cui sia sprovvista di motivazione, o se la motivazione sia fondata su un errore di fatto o di diritto manifesto, commesso dal giudice nazionale, che conduca ad un diniego di giustizia.

Tutto ciò premesso, la Grande Chambre conclude che nel caso di specie non vi è stata violazione dell'art. 6 della Convenzione da parte del Portogallo: la Corte suprema portoghese, nel rigettare la richiesta di revisione, ha fornito una motivazione esaustiva e non apparente, affermando che la revisione non poteva essere autorizzata per il motivo invocato dalla richiedente, in quanto l'irregolarità procedurale denunciata – ovvero l'omessa audizione della ricorrente da parte della Corte d'appello – non è di gravità tale da rendere la condanna incompatibile con la precedente decisione della Corte Edu, che pure tale omessa audizione aveva ritenuto violasse l'art. 6 della Convenzione.

Osservano i giudici europei che questa interpretazione del diritto interno portoghese, che ha la conseguenza di limitare i casi di riapertura delle vicende penali definitivamente chiuse, o almeno di assoggettarle a criteri sottoposti all'apprezzamento delle giurisdizioni interne, non appare arbitraria, in quanto confortata dalla costante giurisprudenza secondo cui la Convenzione non garantisce il diritto alla riapertura di una procedura o ad altre forme di ricorso che permettano di annullare o rivisitare i giudizi irrevocabili, e tenuto conto della assenza di un approccio uniforme degli Stati membri alle modalità di funzionamento dei meccanismi di riapertura esistenti.

In definitiva, pur costituendo, la revisione della sentenza irrevocabile, un mezzo appropriato per porre rimedio a violazioni accertate della Convenzione, esso non è il mezzo necessario ed esclusivo; anzi, in certi casi, può non essere il mezzo appropriato.

Osservazioni

La sentenza in commento, definitiva anche se non unanime (allegati ad essa vi sono ben due pareri dissenzienti), pone il delicato problema dei rapporti tra ordinamento interno e obblighi discendenti dalla giurisprudenza della Corte Edu, con particolare riferimento alle sentenze irrevocabili in materia penale.

Va subito detto che l'art. 46 della Convenzione Edu stabilisce al comma primo che «Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti» e, al comma secondo, che «La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l'esecuzione».

Trasferendo il discorso alla situazione italiana, va sùbito detto che nel nostro Paese non erano previsti rimedi di alcun tipo per i casi, coperti da giudicato irrevocabile, in cui la Corte europea avesse riconosciuto la violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, aldilà di una mera riparazione pecuniaria.

Tuttavia la Corte costituzionale, con sentenza n. 113/2011, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione

della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, e di conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea.

Trattasi di una sentenza additiva, che ha introdotto una nuova forma di revisione, la c.d. revisione europea, e presuppone che la decisione della Corte Edu cui sia necessario conformarsi, sia stata emessa in un giudizio in cui il soggetto impugnante ex artt. 629 e ss. c.p.p. abbia rivestito la qualità di parte, dovendo escludersi che gli effetti delle c.d. sentenze pilota della Corte di Strasburgo si estendano aldilà dei limiti soggettivi dello Stato parte in causa (Cass. pen., Sez. III, n. 8358/2015).

Il principio è stato recentemente ribadito dalla sesta Sezione della Corte di cassazione con sentenza n. 29167/2016, nella quale si è precisato che l'asserita violazione di diritti fondamentali previsti dalla Convenzione Edu non può costituire motivo per la revisione della sentenza di condanna, in quanto l'attivazione del processo di revisione, in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011, presuppone che la violazione sia accertata con sentenza della Corte Edu relativamente al medesimo processo definitivamente concluso.

Vi sono, tuttavia, delle importanti sfumature.

Infatti, a seguito della sentenza della Corte Edu sul caso Scoppola c. Italia (n. 2) del 17 settembre 2009, le Sezioni unite della S.C. hanno statuito che: «Le decisioni della Corte Edu che evidenzino una situazione di oggettivo contrasto – non correlata in via esclusiva al caso esaminato – della normativa interna sostanziale con la Convenzione Edu, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell'ambito del quale è intervenuta la pronunzia della predetta Corte internazionale» (Sez. unite, n. 34472/2012).

E, anche di recente, la sesta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 21635/2017, ha affermato che la c.d. revisione europea introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva n. 113/2011, pur presupponendo la necessità di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Edu, vincolante ai sensi dell'art. 46 della Convenzione, non esclude che tale necessità sia ravvisabile non solo quando la sentenza europea è stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, ma anche quando la decisione della Corte europea abbia natura di "sentenza pilota", riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all'interno del medesimo ordinamento giuridico, nonché, ancora, quando abbia accertato una violazione di carattere generale, desumibile dal dictum della stessa Corte Edu, e ricorra una situazione corrispondente che implichi la riapertura del dibattimento (Cass. pen., Sez. VI, n. 21635/2017).

In ogni caso, il presupposto indefettibile dell'eventuale revisione, è che il nostro Paese sia stato parte del giudizio dinanzi alla Corte di Strasburgo, concluso con la decisione di cui si invoca l'applicazione; nonostante, quindi, possano esservi analogie, similitudini o addirittura identità di situazioni, non potrà mai invocarsi l'applicazione di una decisione della Corte Edu, resa nei confronti di uno Stato diverso da quello italiano.

Guida all'approfondimento

RICCI, La revisione europea alla luce delle sentenze CEDU, in Annali del Dipartimento giuridico dell'Università degli Studi del Molise, 2016.

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