Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. La condanna di Strasburgo per l'assenza di confronto

Sergio Beltrani
28 Marzo 2018

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto l'Italia responsabile dell'ennesima violazione dell'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), della Convenzione Edu, per aver condannato il ricorrente a conclusione di un procedimento penale giudicato non equo, in particolare per non essere stato assicurato all'imputato il diritto di esaminare o fare esaminare il testimone a carico, le cui dichiarazioni erano state rese nel corso delle ...
Massima

L'assenza di confronto tra testimone e imputato in pubblica udienza impedisce al giudice – per quanto scrupoloso possa essere il suo vaglio – di valutare correttamente ed equamente l'attendibilità della prova formatasi fuori dal dibattimento.

Il caso

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto l'Italia responsabile dell'ennesima violazione dell'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), della Convenzione Edu, per aver condannato il ricorrente a conclusione di un procedimento penale giudicato non equo, in particolare per non essere stato assicurato all'imputato il diritto di esaminare o fare esaminare il testimone a carico, le cui dichiarazioni erano state rese nel corso delle indagini preliminari, senza contraddittorio, ed acquisite per sopravvenuta irreperibilità.

Il ricorrente, dichiarato in primo ed in secondo grado colpevole di concorso in rapina, e condannato alla pena ritenuta di giustizia, aveva presentato ricorso per cassazione denunciando «nullità della sentenza per avere fondato la decisione sulla scorta delle dichiarazioni di un unico testimone, acquisite indebitamente ex art. 512 c.p.p. nonostante che il medesimo si fosse poi reso latitante; la Corte territoriale aveva proceduto all'acquisizione dei verbali di dichiarazioni e di riconoscimento dell'imputato resi dalla parte offesa C., senza considerare che il medesimo si era reso latitante, scegliendo così volontariamente di sottrarsi al contraddittorio sicché non ricorrevano i requisiti per ritenere irripetibile l'atto e, soprattutto, si erano violati i principi stabiliti dall'art. 526 c.p.p., comma 1-bis e dalla Corte europea con numerose decisioni, nelle quali si era affermata l'illegittimità della decisione che si basava in via esclusiva sulle deposizioni rese da una persona che l'imputato non aveva avuto la possibilità di interrogare» e chiedendo, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata.

In sede di legittimità, ilricorso era stato ritenuto manifestamente infondato per le seguenti ragioni:

  • il tribunale aveva legittimamente acquisito i verbali di dichiarazioni e di riconoscimento dell'imputato resi dalla persona offesa ai sensi dell'art. 512 c.p.p. essendo divenuto impossibile l'esame di quest'ultima, resasi latitante nell'ambito di diverso procedimento e avendo ritenuto non prevedibile all'epoca in cui le predette dichiarazioni erano state rese, che il dichiarante si sarebbe in seguito reso irreperibile;
  • anche dopo la modifica dell'art. 111 Cost., doveva ritenersi legittimo il ricorso all'art. 512 c.p.p. atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., n. 355/2003), la situazione processuale accertata configurava un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio;
  • d'altro canto, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (per tutte, Cass. pen., Sez. II, n. 6139/2009), la valutazione dell'imprevedibilità dell'evento, che rende impossibile la ripetizione dell'atto precedentemente assunto e ne legittima la lettura ai sensi dell'art. 512 c.p.p., è demandata in via esclusiva al giudice di merito che deve formulare in proposito una "prognosi postuma" sorretta da motivazione adeguata, come avvenuto nella specie: nel caso in esame, proprio sulla base di tali rilievi era stata ritenuta l'assoluta legittimità dell'acquisizione delle dichiarazioni in oggetto ex art. 512 c.p.p., e, d'altro canto, i difensori di fiducia dell'imputato, presenti, non si erano opposti all'acquisizione, ma ne avevano "preso atto", senza eccepire alcunché;
  • né sussisteva la dedotta violazione dell'art. 526, comma 1-bis, c.p.p., poiché non vi era la prova che la persona offesa denunciante C. avesse ricevuto notizia della sua citazione nel giudizio a carico del ricorrente, e si fosse, quindi, volontariamente sottratta all'esame dibattimentale: invero, secondo orientamento ancora una volta consolidato della giurisprudenza di legittimità, «la semplice irreperibilità del teste è un elemento neutro che, di per sé, non può far presumere la volontà di sottrarsi all'esame, quando manchino indici sintomatici in questo senso» (Cass. pen., Sez. unite, n. 36747/2003). Nel caso di specie, il ricorrente non aveva allegato «circostanze da cui ricavare la prova che il teste d'accusa avesse mai espresso la volontà di sottrarsi al contraddittorio con l'accusato e il suo stato di latitanza, con il corollario del definitivo e clandestino allontanamento, ha impedito una sua regolare citazione per l'udienza. Mancando, in tal modo, la prova che egli si sia volontariamente sottratto al contraddittorio con il ricorrente non può ritenersi operante il precetto dell'art. 526 c.p.p., comma 1-bis, restando utilizzabile la documentazione validamente acquisita ai sensi dell'art. 512 c.p.p.».

Il ricorrente aveva, quindi, adito, la Corte Edu, lamentando la violazione dell'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d) della Convenzione Edu, per avere riportato condanna penale a conclusione di un procedimento penale non equo, in particolare per non essergli stato assicurato il diritto di esaminare o fare esaminare il testimone a carico.

La questione

Il Governo italiano aveva in primo luogo eccepito l'irricevibilità del ricorso poiché il ricorrente, che durante il dibattimento non si era opposto alla lettura (rectius, acquisizione mediante lettura) delle dichiarazioni predibattimentali controverse, non si era avvalso di un rimedio accessibile, adeguato ed efficace offerto dal diritto interno per escludere questo materiale probatorio dal fascicolo per il dibattimento o comunque non acconsentire alla sua acquisizione.

Le soluzioni giuridiche

A tale obiezione la Corte di Strasburgo ha replicato che l'acquisizione e utilizzazione delle dichiarazioni controverse era avvenuta nel rispetto dell'art. 512 c.p.p. e quindi che «una eventuale opposizione del ricorrente all'acquisizione agli atti dei verbali in questione avrebbe avuto poche possibilità di essere accolta» e che «il fatto che non sia stata sollevata alcuna eccezione formale durante il dibattimento non può essere interpretato come una rinuncia tacita al diritto di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico».

Nel merito, la Corte Edu ha premesso che il Governo italiano non aveva dimostrato che i giudici italiani avessero fatto «tutti gli sforzi che si potevano ragionevolmente attendere da loro per assicurare la comparizione» della persona offesa: tuttavia, l'assenza di un motivo serio che giustificasse la mancata partecipazione al dibattimento della P.O. non viola di per sé l'art. 6 Conv. Edu.

Ciò posto, ha ritenuto che si dovesse valutare:

  • se la deposizione predibattimentale della P.O. costituisse «base unica o determinante» della condanna del ricorrente;
  • se esistessero elementi compensativi sufficienti per controbilanciare le difficoltà che l'impossibilità di controinterrogare il testimone aveva causato alla difesa.

E in proposito, la Corte Edu, pur avendo ammesso che i giudici nazionali avevano valutato attentamente l'attendibilità del dichiarante (evidenziando che egli non aveva motivo di accusare il ricorrente, anche perché, prima del verificarsi dei fatti delittuosi in contestazione, non lo conosceva) e avevano fondato la conclusiva affermazione di responsabilità non soltanto sulle menzionate dichiarazioni predibattimentali, ma anche sulla testimonianza di un carabiniere (che aveva riferito in udienza sulle modalità di svolgimento dell'operata individuazione fotografica dell'imputato, confermandola), ha ritenuto che le dichiarazioni predibattimentali delle quali si discuteva erano risultate determinanti ai fini della condanna del ricorrente e che il pur attento esame operato dalla Corte di appello sulla credibilità del dichiarante non poteva da solo compensare l'assenza di interrogatorio del testimone da parte della difesa, poiché, «per quanto rigoroso possa essere, l'esame effettuato dal giudice di merito costituisce uno strumento di controllo imperfetto in quanto non consente di disporre degli elementi che possono emergere da un confronto in pubblica udienza tra l'imputato ed il suo accusatore».

Pertanto, l'assenza di confronto tra testimone e imputato in pubblica udienza impedisce sempre e comunque al giudice – per quanto scrupoloso possa essere il suo vaglio – di valutare correttamente ed equamente l'attendibilità della prova formatasi fuori dal dibattimento.

Osservazioni

Leaffermazioni della Corte Edu sulla ricevibilità del ricorso destano forti perplessità, concretizzandosi in una sorta di “processo alle intenzioni” e svuotando di contenuto l'onere di impulso processuale gravante sul ricorrente secondo il diritto interno.

La previsione di cui all'art. 35 della Convenzione Edu, che condiziona la ricevibilità del ricorso all'esaurimento di tutte le vie di ricorso interne, impone, infatti, per quello che in questa sede maggiormente rileva:

  • all'ordinamento interno, di apprestare una congrua via di ricorso atta ad assicurare soddisfazione delle istanze della parte privata riguardanti la tutela dei diritti garantiti dalla Convenzione Edu (in difetto, ogni ricorso della parte alla Corte Edu andrebbe necessariamente dichiarato ricevibile);
  • alla parte privata (perlopiù, ma non necessariamente, l'imputato condannato), di coltivare con diligenza la congrua via di ricorso all'uopo apprestata dall'ordinamento interno (in difetto, ogni ricorso della parte alla Corte Edu andrebbe necessariamente dichiarato irricevibile);

Con la sua affermazione di principio (invero meramente assertiva, perché priva di un pur minimo percorso argomentativo), la I Sezione della Corte Edu ha, inoltre, trascurato di considerare quanto, con estrema chiarezza, dalla stessa Corte Edu tradizionalmente sostenuto: «Nella misura in cui esiste un ricorso a livello nazionale che permette ai tribunali interni di esaminare, almeno nella sostanza, l'argomento di una violazione di un dato diritto previsto dalla Convenzione, è quello il ricorso che dovrebbe essere esaurito. Non è sufficiente che il ricorrente abbia esperito senza successo un altro ricorso, che avrebbe potuto ribaltare la misura contestata per altri motivi non connessi alla doglianza relativa alla violazione di un diritto previsto dalla Convenzione. È la doglianza relativa alla Convenzione che deve essere stata esposta a livello nazionale perché si abbia l'esaurimento dei “ricorsi effettivi”. […] Se gli ordinamenti giuridici prevedevano la tutela costituzionale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, spettava in linea di massima alla persona lesa verificare la portata di tale tutela e consentire ai tribunali nazionali di sviluppare tali diritti mediante l'interpretazione. […]L'esistenza di meri dubbi sulle prospettive di successo di un particolare ricorso non era una ragione valida per non esaurire tale via di riparazione» (Corte Edu, Grande Chambre, 25 marzo 2014, Caso Vučković e altri contro Serbia, traduzione non ufficiale, in www.cortedicassazione.it).

Quanto al merito della questione, la decisione in commento dichiara di conformarsi all'art. 6 Conv. Edu, come interpretato dalla stessa Corte Edu, il cui orientamento (sul punto ormai consolidato: cfr., da ultimo, sentenze della Grande Chambre, 15 dicembre 2011, caso Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, caso Schatschaschwili c/ Germania), afferma che una sentenza di condanna che si basi unicamente o in misura determinante su una testimonianza resa in fase di indagini preliminari da un soggetto che l'imputato non sia stato in grado di interrogare o far interrogare nel corso del dibattimento, viola l'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), Conv. Edu quando il pregiudizio così arrecato ai diritti della difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo insieme.

La sentenza 15 dicembre 2015, caso Schatschaschwili c/ Germania, riguardava il ricorso di un uomo condannato per rapina aggravata ed estorsione, il quale aveva sostenuto che il suo processo era stato ingiusto, in quanto né lui né il suo avvocato avevano avuto la possibilità, nel corso del procedimento penale, di esaminare alcuni testimoni in relazione ad uno dei reati che si asseriva da lui commessi.

La Grande Chambre, nel ribadire i principi già elaborati dalla propria sentenza nel caso Al-Khawaja e Tahery c. Regno unito, ha osservato che, in considerazione dell'importanza delle dichiarazioni rese da testimoni oculari per l'accertamento di uno dei reati in ordine ai quali lo Schatschaschwili era stato condannato, le misure di “controbilanciamento” adottate dal giudice di merito erano state insufficienti a garantire una valutazione equa e corretta dell'affidabilità delle prove; ha, inoltre, ribadito che, per valutare l'equità del processo penale nel quale vengano utilizzate dichiarazioni testimoniali predibattimentali, occorre considerare:

  • l'esistenza di buone ragioni che giustifichino la mancata presenza dei testimoni in dibattimento;
  • se le prove costituite dalle dichiarazioni dei testimoni non sentiti nel corso del processo costituiscano la base esclusiva o determinante per la condanna dell'imputato;
  • se vi siano stati sufficienti fattori per controbilanciare e compensare gli svantaggi patiti dalla difesa in conseguenza dell'ammissione delle prove testimoniali non esaminate nel corso del processo.

Ciò premesso, pur avendo ammesso che vi era stata una buona ragione, dal punto di vista del tribunale tedesco interessato, che giustificava la mancata presenza delle due testimoni-chiave in dibattimento, e pure avendo preso atto che, in considerazione del quadro giuridico esistente, i giudici tedeschi avevano compiuto ogni ragionevole sforzo per ottenere la partecipazione al processo di esse (non essendovi altre possibilità per garantire – nell'ambito dei poteri dell'autorità giudiziaria tedesca – la presenza nel territorio tedesco delle due donne, cittadine lettoni residenti nel loro paese d'origine), la Corte Edu ha attribuito rilievo assorbente al fatto che le due donne erano le uniche testimoni oculari per il reato in questione, in quanto la prova supplementare era rappresentata o da dichiarazioni de relato (c.d. prova per sentito dire) o da prove puramente tecniche e prove indiziarie che non erano però determinanti per ritenere provata la responsabilità del ricorrente in ordine alla rapina ed all'estorsione; pertanto, pur se le predette testimonianze non costituivano l'unica prova a carico dell'imputato, la mancata audizione delle due testimoni in dibattimento era risultata determinante ai fini della condanna.

Ha, pertanto, concluso che, in considerazione della rilevanza assunta dalle predette dichiarazioni testimoniali in relazione alla prova di uno dei reati in ordine al quale il signor Schatschaschwili era stato condannato, le misure, adottate per controbilanciare il vulnus arrecato alle garanzie difensive del predetto dall'impossibilità di esaminare o fare esaminare le due testimoni oculari, erano state insufficienti per consentire una valutazione equa e corretta circa l'affidabilità delle prove testimoniali non assunte in contraddittorio: di qui, la violazione dell'articolo 6, §§ 1 e 3, lett. d), Conv. Edu.

In puntuale applicazione del predetto orientamento, la sentenza in commento non ha ritenuto necessario valutare l'utilizzabilità o meno (cfr. art. 195, comma 4, c.p.p.), secondo il diritto interno, delle concorrenti dichiarazioni dibattimentale del carabiniere, né esplicitare le ragioni del ruolo non determinante ad esse attribuito, attribuendo tout court alle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa (le uniche direttamente riguardanti il fatto contestato) valenza determinante ai fini della conclusiva affermazione di responsabilità.

La giurisprudenza interna, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 526, comma 1-bis, c.p.p., è ferma nel limitare l'acquisibilità e utilizzabilità (ai fini dell'affermazione di responsabilità) di dichiarazioni non assunte in contraddittorio, ai soli casi di impossibilità (di riassunzione in dibattimento) di natura oggettiva, ovvero quando quest'ultima non appaia ricollegabile all'intento del dichiarante di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale (cfr., per tutte, Sez. VI, sentenza n. 6846 del 2016, F. ed altro).

Intervenendo in argomento, le Sezioni unite (sentenza n. 27918 del 2011 D. F.), con l'evidente intento di interpretare l'art. 512 (e l'art. 512-bis) c.p.p. nel rispetto dell'art. 6 della Conv. Edu (come a sua volta interpretato dalla Corte Edu) hanno già avuto modo di chiarire che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale. In quella occasione, peraltro, la sentenza impugnata fu annullata (con rinvio) in difetto di adeguata motivazione in ordine all'assoluta impossibilità di esaminare la persona offesa in dibattimento.

L'affermazione di principio, tralaticiamente ribadita dalla giurisprudenza successiva (cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 2232/2018, D., e Cass. pen., Sez. III, n. 4732/2018, S.), rischia di rivelarsi priva di contenuto e non selettiva, ove non si definisca con rigore, e, soprattutto, in conformità con quanto sul punto ritenuto dalla Corte Edu, in quali casi una prova assunta prima e fuori del dibattimento, ovvero non in contraddittorio, assuma carattere determinante ai fini dell'affermazione di responsabilità.

Invero, le più recenti decisioni della Corte Edu, pur in difetto di una consapevole affermazione di principio in tal senso, sembrano nei fatti reclamare addirittura l'autosufficienza, ai fini dell'affermazione di responsabilità, degli “elementi ulteriori”, rendendo in concreto inutile la valorizzazione della prova predibattimentale (cui potrebbe al più essere attribuita valenza ai fini della prova di una circostanza aggravante o della gravità del fatto-reato ex art. 133 c.p. ma non ai fini della prova del suo verificarsi): il caso esaminato dalla sentenza emessa dalla Grande Chambre nel caso Schatschaschwili c. Germania appare, in proposito emblematico.

Al contrario, la giurisprudenza interna continua a ritenere rispettosa dei principi affermati dalla Corte Edu l'affermazione di responsabilità fondata su una prova non assunta in contraddittorio e su ulteriori “elementi di prova”, senza precisare se questi ultimi possano avere carattere accessorio, e non essere a loro volta autonomamente determinanti.

Ai fini della miglior comprensione del problema, appare indispensabile la disamina di alcune fattispecie passate al vaglio della giurisprudenza di legittimità.

Nel caso esaminato da Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 6846 del 2016, cit., l'affermazione di responsabilità fondava non soltanto sulle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa (querelante deceduto: la sopravvenuta morte del dichiarante è stata ritenuta evento oggettivo ed imprevedibile, non ricollegabile all'intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale), ma anche sulle deposizioni di diversi testimoni, sui contenuti di conversazioni telefoniche intercettate e su documenti rinvenuti durante alcune perquisizioni, tanto da spingere la Corte di appello ad affermare che «si trae la prova dei reati contestati in modo assolutamente autonomo e diretto, senza la necessità di quelle della P.O., dalle dichiarazioni dei testi». In un caso del genere, le disquisizioni sui limiti di utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali ex art. 512 (ma anche 512-bis) c.p.p. appaiono francamente prive di concreto rilievo, poiché da esse la conclusiva affermazione di responsabilità ben può prescindere in toto.

Nel caso esaminato da Cass. pen., Sez. I, n. 14243/2016, N., al contrario, l'affermazione di responsabilità fondava esclusivamente sulle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa e di un testimone, la cui effettiva irreperibilità non era stata, peraltro, adeguatamente vagliata. In un caso del genere, paradigmatico in senso contrario rispetto a quello in precedenza illustrato, l'annullamento (con rinvio) della sentenza di condanna, era inevitabile, ed è puntualmente intervenuto.

Ben diverso è il caso (classificabile nell'ambito di una sorta di zona “grigia”, la sola che pone problemi) esaminato da Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 2232/2018, cit., nel quale l'affermazione di responsabilità fondava su dichiarazioni contenute in querela(acquisita ex art. 512 c.p.p. in presenza di condizioni di salute del querelante che non ne consentivano l'esame in dibattimento: la P.O., già anziana all'epoca del fatto,era risultata non in condizione di parlare, e quindi di rendere il chiesto esame dibattimentale), oltre che, «a maggior conforto della attendibilità delle dichiarazioni della vittima» , su un verbale (ugualmente predibattimentale) di individuazione fotografica (nel quale la medesima p.o. aveva individuato in fotografia il ricorrente come autore della truffa in contestazione, ed al quale erano allegate «molte fotografie»), qualificato come atto «divenuto irripetibile a seguito delle condizioni di salute della vittima, sicché poteva essere legittimamente acquisito», a conferma del quale era stato esaminato in dibattimento un agente di polizia giudiziaria. Il caso appare molto vicino a quello esaminato dalle sentenze Cafagna e Schatschaschwili, poiché le sole dichiarazioni assunte in contraddittorio erano indirette.

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