Le condizioni di applicabilità della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva ai sensi dell'art. 90 D.P.R. n. 309/90

Leonardo Degl'Innocenti
26 Febbraio 2021

In materia di sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 90 D.P.R. n. 309/1990, ai fini dell'operatività della condizione ostativa all'applicazione del beneficio prevista dal comma 2 della citata norma occorre che la consumazione del reato sia stata accertata con sentenza passata in giudicato...
La massima

In materia di sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 90 del D.P.R. n. 309/1990 e s.m.i., ai fini dell'operatività della condizione ostativa all'applicazione del beneficio prevista dal comma 2 della citata norma, in forza del quale il beneficio non può essere concesso se nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della sospensione il condannato abbia commesso un altro delitto non colposo punibile con la reclusione, occorre che la consumazione del reato sia stata accertata con sentenza passata in giudicato.

Il caso

L'interessato, detenuto in espiazione della pena di anni 4 e mesi 5 di reclusione derivante da due sentenze di condanna pronunciate per i delitti commessi in violazione della disciplina in materia di stupefacenti, aveva chiesto al Tribunale di Sorveglianza la concessione della sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 90 del D.P.R n. 309/1990 e s.m.i. (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

Il Tribunale in primo luogo ha osservato che il condannato aveva effettuato due diversi programmi di recupero: il primo iniziato il 16.02.2018 e terminato nel 2014; il secondo iniziato il 15.11.2017 e terminato nell'agosto del 2018.

Ciò premesso il collegio, dopo aver accertato, sulla scorta della certificazione trasmessa dal Ser.D. di riferimento, che il condannato aveva terminato positivamente il secondo programma di recupero, ha dichiarato inammissibile la domanda richiamando a tal fine quanto stabilito dall'art. 90, comma 2, D.P.R. n. 309/1990, che individua come causa di inammissibilità della domanda la commissione da parte del condannato che aspira al beneficio di altro delitto non colposo punibile con la reclusione “nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della sospensione”.

Sul punto il Tribunale ha osservato che il detenuto era stato condannato in via definitiva con sentenza emessa in data 20.11.2014 per il delitto di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti commesso nel settembre del 2013 e che suo carico risultava pendente un procedimento per il reato di cui all'art. 19 della l. n. 241/1990 commesso il 10.04.2018, vale a dire nello spatium temporis intercorrente tra l'inizio del secondo programma di recupero e la data delle pronuncia di sospensione.

Il condannato ha impugnato l'ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza e la Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame.

Gli istituti di riferimento

La finalità di cura e di recupero sociale del condannato tossicodipendente (o alcoldipendente) è perseguita dal legislatore mediante un istituto ad hoc: si tratta dell'affidamento in prova in casi particolari di cui all'art. 94 del D.P.R. n.309/1990 e s.m.i., misura alternativa che “pur inserendosi come species nel genus dell'affidamento in prova già previsto dall'ordinamento penitenziario, rappresenta una risposta … differenziata dell'ordinamento penale conformata alla (e giustificata dalla) singolarità delle condizione dei suoi destinatari, vale a dire le persone tossicodipendenti e alcoldipendenti” (Corte Cost., n. 377/1997).

Da tale premessa discende che nell'affidamento in prova in casi particolari, fondato su presupposti specifici, assume un rilievo preminente, pur nell'ambito del generale fine rieducativo della misura, la cura dello stato patologico del condannato liberandolo dalla dipendenza da cui è affetto.

Il condannato, tossicodipendente o alcoldipendente, che abbia intrapreso o che intenda iniziare un programma di recupero da tale condizione può chiedere di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o iniziare l'attività terapeutica sulla base di un programma concordato con una azienda unità sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata. Tali strutture devono attestare, a pena di inammissibilità della richiesta, lo stato di tossicodipendenza (o di alcooldipendenza) e l'idoneità del programma terapeutico concordato ai fini del recupero sociale del reo.

L'affidamento in prova in casi particolari, come l'affidamento ordinario disciplinato dall'art. 47 ord.penit., quale forma di espiazione alternativa al carcere, costituisce a tutti gli effetti una vera e propria sanzione penale la durata della quale coincide con quella della pena detentiva che il condannato deve scontare in forza del titolo esecutivo emesso a suo carico.

L'ordinanza applicativa dell'affidamento in prova, ordinario o terapeutico, non comporta quindi la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva che il condannato deve scontare, ma determina la sostituzione (a seconda dei casi, totale o parziale) della pena detentiva con una misura che, pur presentando profili di limitazione più o meno incisivi della libertà personale, consente al condannato di espiare la pena inflitta dal giudice della cognizione in regime extra carcerario.

Il beneficio di cui all'art.90 del D.P.R n. 309/1990 e s.m.i. consiste invece in una vera e propria sospensione dell'esecuzione della pena.

L'art. 90, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal dl. n.272/2005, convertito modificazioni dalla l.n.49/2006, prevede infatti che il Tribunale di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena per cinque anni a favore del condannato che si è sottoposto con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo eseguito presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata autorizzata, ai sensi dell'art. 116 dello stesso D.P.R., a condizione che:

a) la pena detentiva da espiare sia stata inflitta per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza.

Diversamente da quanto previsto in materia di affidamento in prova in casi particolari, la sospensione può essere concessa solo se il reato per il quale è stata inflitta la pena da eseguire sia riconducibile allo stato di tossicodipendenza del condannato: occorre dunque che la commissione del reato costituisca espressione di quella particolare inclinazione a delinquere che in genere si riscontra nelle persone tossicodipendenti e che deriva dalla necessità di procurarsi le sostanze stupefacenti necessarie per superare la sindrome da astinenza;

b) sia stata acquisita la relazione prevista dall'art. 123, comma 1, D.P.R. n. 309/1990, redatta dalla struttura presso la quale il programma è stato eseguito, relazione che deve indicare la procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti, l'andamento del programma, il comportamento del soggetto e i risultati conseguiti a seguito del programma stesso e della sua eventuale ultimazione, in termini di cessazione di assunzione delle sostanze.

La concessione del beneficio è subordinata all'accertamento dell'esito positivo del programma terapeutico secondo il procedimento istruttorio vincolato all'acquisizione della relazione di cui al citato art. 123, a sua volta postulante precise modalità di redazione da parte di soggetti qualificati e contenuti specifici puntualmente indicati nel medesimo articolo.

Muovendo da tale premessa, la Corte di Cassazione ha affermato che è illegittimo il diniego del beneficio motivato esclusivamente con riferimento alla prossimità temporale dell'ultimazione del programma terapeutico, senza dare contezza nella motivazione dell'ordinanza dell'acquisizione della suddetta relazione e della rispondenza di essa ai canoni di provenienza e contenuto indicati nell'art. 123 D.P.R. n. 309/1990 (Cass. pen., sez. I, 14dicembre2012, n.11050).

La rilevanza attribuita dal dl. n. 272/2005 alla relazione finale di cui all'art. 123 ha consentito di risolvere problema dei rapporti tra la sospensione ex art. 90 D.P.R n. 309/1990 e s.m.i. e l'affidamento disciplinato dall'art. 94 dello stesso D.P.R.

Infatti da un lato, la concessione della sospensione postula che il Tribunale abbia accertato che il condannato si sia “sottoposto con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo” e che pertanto abbia superato i problemi di tossicodipendenza; dall'altro altro, ai fini dell'applicazione dell'affidamento in prova in casi particolari occorre che una struttura sanitaria pubblica, o una struttura privata accreditata, abbia emesso una certificazione attestante lo stato di tossicodipendenza (o di alcooldipendenza) del reo che ha chiesto la concessione della misura e l'idoneità del programma terapeutico concordato ai fini del recupero sociale del condannato da intendersi in primo luogo come affrancamento dalla condizione di dipendenza.

Ne consegue che quando sussiste il presupposto per l'applicazione della sospensione (conclusione positiva del programma di recupero con conseguente superamento delle problematiche di dipendenza) non è configurabile quello per la concessione dell'affidamento terapeutico (che postula l'attualità dello stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza del reo), e viceversa, con la conseguenza che non è più ipotizzabile alcuna sovrapposizione tra i due istituti.

In precedenza la scelta tra i due benefici doveva essere effettuata con riferimento alla pericolosità sociale ed al livello di affidabilità del condannato “per cui dovrà darsi luogo alla sospensione dell'esecuzione quando trattisi di soggetto che, avuto riguardo ai suoi trascorsi, al suo grado di reinserimento ed alla sua personalità, appaia probabilmente dotato di capacità di autocontrollo tali da consentirgli una gestione autonoma del programma di recupero, mentre dovrà preferirsi l'affidamento terapeutico quando, anche per la persistenza di un pericolo (comunque necessariamente limitato) di reiterazione di reati, appaia, per converso, probabile che il soggetto non sia in grado di sottostare al programma riabilitativo se non in quanto affidato ad una struttura che in concreto lo segua e lo controlli” (Cass. pen., sez. I, 30 novembre 2000, n. 1221).

Ai fini della concessione del beneficio di cui all'art. 90 D.P.R. n. 309/1990, inoltre, occorre, come del resto per la concessione della misura alternativa di cui all'art. 94 stesso D.P.R., che la pena detentiva da scontare, anche residua e congiunta a pena pecuniaria, sia non superiore a 6 anni, ovvero a 4 anni “se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui all'art. 4-bis ord. penit., e successive modificazioni”.

Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie non assume rilievo il principio dello scioglimento in bonam partem del provvedimento di cumulo: è dunque sufficiente che anche uno solo dei reati oggetto delle sentenze assorbite nel provvedimento di cumulo rientri nel catalogo di cui all'art. 4-bis ord. penit. per rendere operante il divieto di concessione del beneficio in caso di pena superiore a 4 anni (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. I,20 febbraio 2020, n. 12339; Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2019, n. 10287; Cass. pen., sez. I,18 luglio 2019, n. 42088; Cass. pen., sez. 1, 13 settembre 2016, n. 51882; Cass. pen.,sez. I, 7 ottobre 2009, n. 41322).

Trattasi di una soluzione che da un lato risulta del tutto conforme al tenore letterale della norma in quanto lo scioglimento del cumulo determinerebbe l'obliterazione della rilevanza espressamente annessa dalla norma al titolo, per come posto in esecuzione, comprendente anche la pena riferita al reato ostativo; dall'altro, trova la sua giustificazione sostanziale in ragione della maggiore pericolosità espressa dal condannato riconosciuto colpevole di un delitto ostativo.

D'altra parte, non vi sono ragioni per escludere che il principio dello scioglimento del cumulo non possa subire eccezioni come accade, appunto, nel caso previsto dalla norma in esame. Sul punto cfr. anche Cass pen.,sez. I, 16 giugno 2020, n.20702, secondo cui “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 94 D.P.R n. 309/1990 in relazione agli artt. 3, 27 e 32 Cost., nella parte in cui prevede un diverso requisito di accesso all'affidamento in prova terapeutico per coloro che debbano scontare un residuo di pena riferito ad un reato ostativo previsto dall'art. 4-bis ord.penit., in quanto la norma non stabilisce alcuna preclusione assoluta, ma prevede una diversa modalità di accesso al beneficio giustificata dalla gravità dei reati ostativi inclusi nel titolo esecutivo, indicativi di una maggiore pericolosità sociale del detenuto”.

Il quadro delle condizioni di applicabilità della sospensione dell'esecuzione ex art. 90 D.P.R. n. 309/1990, è completato dalla disciplina dettata dai commi 2 e 4 della norma. Mentre quest'ultimo dispone che la sospensione può essere concessa una sola volta, il comma 2 individua la condizione ostativa legata alla commissione di un delitto non colposo punibile con la reclusione, valorizzata dal Tribunale di sorveglianza ma ritenuta insussistente dalla Corte di Cassazione.

La questione e la decisione della Corte

La Corte, dopo aver affermato che nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014 il condannato non aveva svolto un vero e proprio programma di recupero, ma aveva soltanto frequentato il Ser.D. di riferimento “perché affetto da problemi correlati all'abuso ed alla dipendenza da sostanze tossiche psicotrope”, ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza affermando il principio in forza del quale la causa di inammissibilità prevista dall'art. 90, comma 2, D.P.R. n. 309/1990, incentrata sulla “commissione” da parte dell'interessato di altro delitto non colposo punibile con la reclusione postula che l'accertamento del reato abbia formato oggetto di una sentenza irrevocabile, non essendo sufficiente, come affermato dal Tribunale, un semplice carico pendente.

La ratio di tale decisione deve essere ravvisata nella necessità di rispettare la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 1, Cost., come già affermato dalla stessa Corte in ordine all'operatività dell'effetto estintivo previsto dall'art. 167 c.p. in materia di sospensione condizionale della pena, effetto che viene escluso se nel termine previsto dall'art 163 c.p. (cinque anni per i delitti, due per le contravvenzioni) il condannato commetteun reato della stessa indole. Sul punto, la Corte di Cassazione (Cass. pen.,sez. V,22novembre2019, n.11759), ha infatti affermato che “in tema di sospensione condizionale della pena, il concetto di commissione del reato, dal quale la legge fa dipendere l'ostacolo all'effetto estintivo del reato, è ancorato alla data di consumazione dello stesso con riferimento al quinquennio, ma l'effetto ostativo di tale evenienza è subordinato all'accertamento definitivo del reato medesimo”.

La sussistenza di pendenze non è tuttavia un dato del tutto irrilevante ai fini della decisione che il Tribunale di Sorveglianza deve adottare sulla domanda di sospensione di esecuzione della pena. Con la sentenza in commento la Corte ha infatti affermato che il reato oggetto di un procedimento non ancora definito costituisce un elemento che “unitamente a tutte le evidenze ulteriormente disponibili, consente di apprezzare se ed in qual misura il programma terapeutico-riabilitativo ha sortito l'effetto sperato”.

Il giudice di Sorveglianza è quindi tenuto avalutare non solo l'esito del programma terapeutico-riabilitativo, ma anche i comportamenti delittuosi eventualmente tenuti prima che intervenga la decisione”. Deve pertanto ritenersi legittima l'ordinanza di rigetto della domanda di sospensione allorquando, pur in presenza di un programma terapeutico conclusosi positivamente con relazione attestante la remissione completa dalla tossicodipendenza, risultano a carico del reo elementi dimostrativi della persistenza di rapporti con l'ambiente degli spacciatori e dei tossicodipendenti, circostanza a sua volta sintomatica del fatto che il recupero attestato dall'organo all'uopo abilitato in concreto non è effettivamente avvenuto (Cass. pen., sez. I, 15giugno2010, n.27227; nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittima la decisione di rigetto della domanda di sospensione che il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato in ragione del fatto che il condannato nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia era stato denunciato per il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti).

La concessione del beneficio di cui all'art. 90 del D.P.R n. 309/1990 e s.m.i., anche dopo la riforma attuata con dl. n. 272/2005, non costituisce dunque espressione di una attività vincolata del Tribunale di sorveglianza che dispone, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, di un margine per valutazioni discrezionali, sebbene si tratti di una discrezionalità più ridotta rispetto a quella esercitabile nel caso in cui il Tribunale è chiamato a decidere se concedere o meno l'affidamento in prova in casi particolari. Costituisce infatti ius receptum il principio secondo cui “il Tribunale di sorveglianza può accogliere l'istanza di affidamento terapeutico, soltanto se, all'esito dell'esame della personalità del tossicodipendente ancorata ad elementi oggettivamente sintomatici, sia in grado di formulare un giudizio prognostico favorevole in ordine all'idoneità del programma di recupero non solo a realizzare un suo effettivo reinserimento sociale, ma anche ad escludere o a rendere improbabile la ricaduta in condotte criminose, dovendo anche questa misura alternativa assicurare la prevenzione dei reati; sicché l'affidamento in prova per fini terapeutici non può essere concesso al condannato tossicodipendente ritenuto attualmente pericoloso, atteso che il programma postula la collaborazione del soggetto interessato, negata in radice dalla sua stessa condizione di persona pericolosa” (Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2020, n.20107).

Ne consegue che l'attestazione della idoneità ai fini del recupero sociale del tossicodipendente risultante dalla certificazione rilasciata dal Ser.D. o dalla struttura sanitaria accreditata non esplica alcuna efficacia vincolante nei confronti del Tribunale che ai fini della concessione della misura alternativa “è chiamato ad effettuare una complessa valutazione circa il probabile conseguimento delle finalità del programma terapeutico, tenendo conto della pericolosità sociale del condannato e dell'attitudine del trattamento a realizzare un suo effettivo reinserimento sociale” (Cass. pen., sez. I, 22febbraio2019, n. 30975).

In conclusione

Per concludere, deve essere sinteticamente ricordato che il Tribunale di Sorveglianza può, qualora l'interessato versi in disagiate condizioni, sospendere anche l'esecuzione della pena pecuniaria che non sia stata ancora riscossa.

La sospensione dell'esecuzione della pena pecuniaria soggiace alle medesime condizioni alle quali è subordinata la congiunta pena pecuniaria, da cui non può essere scissa (così Cass. pen., sez. I, 15 giugno 2017, n. 50464, a tenore della quale è stata ritenuta inammissibile un'istanza di sospensione della sola pena pecuniaria, in difetto dell'emissione dell'ordine di esecuzione di quella detentiva e, pertanto, della deduzione della positiva conclusione del programma terapeutico attestata dalla relazione finale di cui all'art. 123 D.P.R. n. 309/1990).

Da ultimo deve anche essere evidenziato che la sospensione dell'esecuzione della pena rende inapplicabili sia le misure di sicurezza sia le pene accessorie nonché gli altri effetti penali della condanna, tranne che si tratti della confisca.

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