La Cassazione torna a pronunciarsi sul c.d. Caso Contrada: ci sarà un ulteriore grado di giudizio della procedura di riparazione

Donato La Muscatella
01 Marzo 2021

I Giudici di legittimità, sollecitati da due articolati ricorsi, si esprimono in relazione ad una vicenda che s'è caratterizzata, oltre che per il lunghissimo percorso processuale, per gli interventi delle Corti regolatrici, nazionale ed europea, ed ha consolidato compositi principi di diritto, che regolano a tutt'oggi il campo dell'ingiusta detenzione.

I Giudici di legittimità, sollecitati da due articolati ricorsi, si esprimono in relazione ad una vicenda che s'è caratterizzata, oltre che per il lunghissimo percorso processuale, per gli interventi delle Corti regolatrici, nazionale ed europea, ed ha consolidato compositi principi di diritto, che regolano a tutt'oggi il campo dell'ingiusta detenzione.

Nella fattispecie, peraltro, lo fanno imponendo una nuova prosecuzione territoriale che, dovendosi concretare in un giudizio indirizzato a risolvere rilevanti temi di merito, non è escluso possa “dare la stura” all'ennesima impugnazione, di chi potrà ancora censurare, avendone interesse e navigando in una materia complessa, il prossimo punto d'arrivo.

Il caso. Il giudizio a quo è di certo noto al lettore e, per ragioni di sintesi, se ne ometterà un analitico riepilogo (doverosamente svolto nelle prime cinque pagine della sentenza).

In quest'ottica, sarà sufficiente collocarsi a valle dell'ordinanza della II Sezione Penale della Corte d'Appello di Palermo che, nel Novembre 2019, aveva liquidato al richiedente la somma di € 667.000 – dei quali € 507.000 per gli otto anni complessivamente trascorsi in custodia, € 50.000 per il danno non patrimoniale diretto (morale, reputazionale e biologico) ed € 110.000 per il pregiudizio subito a causa delle sofferenze patite dai figli e dalla moglie – a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione patita nell'inchiesta svolta nei suoi confronti per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso (con motivazione depositata il 6/4/2020 e già commentata in questa Rivista; cfr. La Corte d'Appello di Palermo torna a pronunciarsi sul “caso Contrada”).

Hanno proposto ricorso per Cassazione sia il Procuratore generale presso la locale Corte d'Appello, sia, per il tramite dell'Avvocatura generale, il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

I due atti, pur connotati da una prospettiva (strutturalmente) diversa, s'accomunano per la natura di alcune doglianze, contestando: violazione di legge processuale e carenze della parte motiva dovute ad un'erronea lettura del dictum europeo, che avrebbe trascurato come l'intervento del giudice in executivis sia possibile solo per rimuovere effetti penali diversi dall'espiazione della pena detentiva, rendendo contraddittorio il richiamo all'istituto ripristinatorio; assenza di motivazione, con riguardo alla valutazione della colpa (grave o lieve) dell'interessato che, con diversi gradi di incidenza su an o quantum debeatur, avrebbe dovuto essere attentamente apprezzata (anche in forza dell'insegnamento sovranazionale); violazione di legge sostanziale e processuale, per aver considerato il danno d'immagine una posta risarcitoria diversa e non ricompresa nella liquidazione per l'ingiusta detenzione, in questo modo sostenendone la natura non onnicomprensiva; error in procedendo, per la mancata pronunzia circa l'eccezione di formazione di precedente giudicato dedotta dalla difesa del Dicastero.

L'Inquirente, poi, denuncia pure l'asserita abnormità del provvedimento, nella parte in cui ha ritenuto di invocare questioni esecutive nel contrasto della previsione tabellare e, altresì, con modalità incoerenti rispetto alla sequenza procedimentale de quo.

La sentenza. Il Collegio, su parere conforme del Procuratore generale (sostenuto anche con requisitoria scritta) accoglie i ricorsi – ritenendo infondato il primo motivo dedotto dalla Procura generale palermitana ed assorbiti quelli inerenti l'entità del ristoro concesso – annullando l'ordinanza e rinviando alla Corte d'Appello di Palermo per una nuova fase, in cui si tenga conto delle indicazioni fornite.

L'Estensore riesce nell'arduo compito di compendiare una storia processuale decisamente strutturata, fornendo le coordinate iniziali indispensabili ad assicurare la tenuta logica dell'iter motivo, che descrive in modo organico le soluzioni cui si è giunti sulle numerose lacune indicate dalle parti, tracciando la via da seguire in sede di rinvio.

Le molteplici criticità dell'ordinanza. Ed infatti, il provvedimento censurato risente, secondo gli Ermellini, di differenti vizi, giuridici e logici.

In primis, sotto il profilo strettamente processualpenalistico, viene impropriamente esteso l'incidente di esecuzione ad una domanda estranea al rapporto già esaurito, illogicamente escluso il ricorso all'istituto della riparazione (che riguarda pure l'espiazione pena ed è dotato di un orizzonte non così riduttivo), superato, con la somma assegnata, il tetto massimo normativamente previsto per l'azione radicata (in proposito, si cita Cass., SS. UU. Pen., 9/5/2001, n. 24287) ed erroneamente applicata la compensazione delle spese, operativa nella sede civile, esclusa dagli stessi decisori con la qualificazione della richiesta come incidente d'esecuzione.

Secondariamente, l'ordinanza non si pronuncia sulla sussistenza di dolo, colpa grave o colpa lieve dell'istante, elementi soggettivi capaci di escludere o ridurre l'entità della riparazione, determinando l'assorbimento degli altri motivi in punto di quantum.

Le mancanze dell'iter motivo. Con riguardo alla determinazione della somma da liquidare, inoltre, il sillogismo giudiziale da conto di una riflessione aggiuntiva, certamente interessante per l'operatore del diritto.

Più in dettaglio, analizzando i relativi motivi – parzialmente sovrapponibili – dei ricorsi, gli Ermellini chiariscono come non ci si trovi in presenza di c.d. motivazione implicita, poiché nel testo non si rinvengono neppure le ragioni che, nel complessivo contesto della spiegazione fornita, rispondono a specifici interrogativi posti ai giudici di merito dai ricorrenti, pur senza illustrarli espressamente (tecnica espositiva che sarebbe invece ammissibile, come statuito, da ultima, da Cass., Sez. I Pen., 12/2/2019, n. 12624, RV. 275057-01).

Conclusioni. La decisione in analisi fornisce nuova linfa ad un caso di cronaca che da tempo impegna la giurisdizione e gli interpreti, per l'ampio contraddittorio, sostanziale e procedurale, che lo ha caratterizzato e lo caratterizza.

Al netto dell'epilogo della singola vicenda, tuttavia, ciò che più conta per il giurista pratico sono le i principi enucleati, di volta in volta, dalle Corti Supreme che lo hanno trattato, la cui applicabilità estesa ha consentito – e consentirà – di pronosticare in modo più affidabile, per coloro che potrebbero ambire all'accertamento dell'ingiustizia della detenzione subita, l'effettiva esperibilità (o convenienza) dei rimedi apprestati dall'ordinamento.

Fonte: Diritto e Giustizia

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