Divieto di avvicinamento alla persona offesa e necessità di specifica dei luoghi vietati da parte del giudice: la questione alle Sezioni Unite

08 Marzo 2021

È in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l'imposizione della misura, in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile, che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, con l'adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso...
Massima

È, in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l'imposizione della misura, in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile (è d'uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt. 572 e 612-bis c. p.) che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, con l'adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso.

Il caso

Il ricorrente, indagato per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della madre, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Palermo ha confermato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, impostagli dal Gip di quello stesso Tribunale; divieto assistito dalle ulteriori prescrizioni di non comunicare con la parte lesa e di mantenere la distanza di almeno 300 metri da lei.

Nel respingere la doglianza, il Tribunale di Palermo ha stabilito che deve ritenersi legittimo il provvedimento, adottato ex art. 282 – ter c.p.p., che obblighi il destinatario di mantenere una certa distanza dalla persona offesa, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, allorquando la condotta si connoti per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima.

Fra i plurimi motivi di censura offerti al vaglio del Supremo Collegio, il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 275, 292, 282-ter c.p.p. e 572 c.p. con riferimento alla mancata indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali vige il divieto di avvicinamento alla persona offesa.

La Sezione Sesta, rilevato che la decisione imponesse “la soluzione di una questione ermeneutica relativa all'applicazione dell'art. 282-ter, comma 1, su cui si registra un perdurante contrasto nella giurisprudenza” della Corte di Cassazione, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

In motivazione - Il principio adottato dal Tribunale di Palermo affermato soprattutto dalla giurisprudenza formatasi sul reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p., ha trovato espressione in plurime pronunce della Quinta Sezione (Cass. pen., sez. V, n. 18139/2018; Cass. pen., sez. V, n. 28677/2016; Cass. pen., sez. V, n. 48395/2014; Cass. pen., sez. V, n. 36887/2013; Cass. pen., sez. V, n. 19552/2013; Cass. pen., sez. V, n. 19552/2013; Cass. pen., sez. V, n. 13568/2012; Cass. pen., sez. V, n. 13568/2012) e riscontro anche in una decisione di questa Sesta Sezione (Cass. pen., sez. VI, n. 42021/2016) e vede come corollario l'affermazione che la specificazione dei luoghi trova giustificazione solo quando le modalità della condotta non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della vita, dovendo invece il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa e non ai luoghi dalla stessa frequentati ove la condotta di cui si teme la reiterazione si connoti per la persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, ovunque questa si trovi(Cass. pen., sez. V, n. 30926/2016).

Non essendo, però, sempre possibile adottare tale prescrizione, a causa della possibilità che agente del reato e persona offesa vengano occasionalmente in contatto, risulta ragionevole ed anche più garantista per il soggetto gravato dal divieto, imporre a quest'ultimo di non avvicinarsi ai normali recapiti della vittima e ferma restando la sua libertà di recarsi in ogni altro luogo, di allontanarsene nel caso in cui incontri, anche prevedibilmente, la persona da tutelare.

Permane, tuttavia, il contrasto all'interno della stessa Quinta Sezione (Cass. pen., sez. V, n. 2779/2013; Cass. pen., sez. V, n. 28225/2015; Cass. pen., sez. V, n. 5664/2014 ed altre) nonché rispetto ad alcune decisioni di questa Sesta Sezione, centrate queste ultime in prevalenza sulla diversa figura di reato di maltrattamenti (Cass. pen., sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015; Cass. pen., sez. VI, n. 14766/2014; Cass. pen., sez. VI, n. 26819/2011) sul tema della necessità per il giudice della cautela di indicare i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa soggetti a inibitoria.

Secondo tale orientamento ermeneutico, infatti, la specificazione dei luoghi s'impone al fine di consentire al provvedimento di assumere una conformazione completa, che ne favorisca l'esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si intende assicurare.

Completezza e specificità del provvedimento costituiscono, inoltre, garanzia del giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, imperniate sulla tutela della vittima e minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini.

Il Collegio osserva che, a parte i condivisibili argomenti che sostengono il primo orientamento e la necessità che la misura sia calibrata sulla situazione di fatto che si intende tutelare, la lettera della legge non offre indicazioni dirimenti circa la correttezza e l'adeguatezza dell'una o dell'altra opzione interpretativa.

L'impiego della congiunzione ‘o' non appare, infatti, decisivo né per sostenere che quando il divieto di avvicinamento riguardi la persona fisica del soggetto tutelato dalla misura, possa prescindersi dalla indicazione dei luoghi da questi abitualmente frequentati né per affermare che quella indicazione debba indefettibilmente accompagnare la prescrizione del divieto di avvicinamento.

E' pertantoin relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantirecon l'imposizione della misura,in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile(è d'uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt. 572 e 612-bisc.p.) che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, non necessariamente in termini di alternatività delle indicate opzioni, bensì con l'adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso.

Questa sembra essere del resto la prospettiva di una decisione di questa Sesta Sezione a suo tempo segnalata dal Massimario nella citata relazione n. 19 del 2016. Definita nella relazione di tipo intermedio la Corte di Cassazione (Cass. pen.,sez. VI, n. 28666/2015) afferma, infatti, che “l'art. 282-ter c.p.p. consente di modulare il divieto di avvicinamento sia guardando ai luoghi frequentatati dalla vittima che prendendo, come parametro di riferimento, direttamente il soggetto che ha patito l'azione delittuosa, potendo l'iniziativa cautelare essere strutturata imponendo all'indagato di tenersi ad una certa distanza dalla vittima”.

La pronuncia prosegue che non si tratterebbe di due misure diverse madi un'unica misura con contenuto flessibile da declinare a seconda delle esigenze di neutralizzazione del rischio di reiterazione imposte dal caso di specie”.

La questione

La questione in esame, rimessa alla Sezioni Unite, riguarda la specificità, o meno, dell'ordinanza applicativa della misura cautelare ex art. 282-ter, comma 1, c.p.p., nel caso in cui venga disposto il divieto di avvicinamento con riferimento alla persona da tutelare e, pertanto, se il giudice, anche in tale eventualità, debba predeterminare i luoghi oggetto di tale divieto.

Le soluzioni giuridiche

La Sezione remittente svolge un'interessante ricognizione dei contrasti interpretativi sorti in merito alla determinatezza della misura in esame, dalla sua introduzione ad oggi, individuando tre filoni, mostrando di prediligere quello “intermedio”, espresso in massima, peraltro affermato dalla stessa Sezione Sesta.

Secondo il Collegio, le opzioni previste nel primo comma dell'art. 282-ter c.p.p. non costituirebbero due diverse misure cautelari, ma un'unica misura di contenuto flessibile, che, come tale, può venire diversamente modulata dal giudice, sia con riferimento alle concrete esigenze di protezione della vittima, sia con riferimento alle modalità, statiche o dinamiche, di esplicazione delle condotte criminose. Pertanto: “quando il provvedimento si limiti a fare riferimento alla persona offesa e non anche ai luoghi da questa frequentati, non è necessario delimitare, attraverso l'indicazione di luoghi ben individuati, il perimetro di operatività del divieto”; viceversa quando il provvedimento faccia anche riferimento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, “il divieto di avvicinamento deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l'accesso all'indagato”.

Osservazioni

Introdotta nel nostro ordinamento con il Dl. n. 11/2009, convertito dalla l. n. 38/2009 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) quale peculiare strumento di repressione del reato di “atti persecutori” (art.612-bis c.p.), il “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima” disciplinato dall'art. 282-ter, comma 1, c.p.p. è una misura cautelare personale, di tipo coercitivo, di generale portata applicativa, con la quale il giudice prescrive all'indiziato di non avvicinarsi a luoghi, determinati, che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

La soluzione prospettata dalla Sezione remittente parrebbe quella maggiormente conforme alla volutas legis che ha introdotto nell'ordinamento lamisura in esame, fra quelle concepite per contrastare, come detto, il reato di atti persecutori; reato a forma libera che può, appunto, manifestarsi mediante le più disparate condotte, purché in grado di ingenerare nella vittima, alternativamente, almeno uno dei tre eventi previsti dall'art. 612-bis c.p. A fronte di condotte delittuose difficilmente predeterminabili, occorreva, infatti, una misura, come quella di cui all'art. 282-ter c.p.p. che potesse garantire flessibilità e modulazione applicativa, a seconda delle esigenze di tutela del caso concreto.

La peculiarità di tale misura, in relazione alla sempre più crescente diffusione dei reati relativamente ai quali trova maggiore applicazione (codice rosso), necessitava, tuttavia, della sollecitata chiarezza interpretativa, soprattutto dopo l'introduzione, ad opera della l. n. 69/2019, del nuovo reato previsto dall'art. 387-bisc.p.(Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).

La Giurisprudenza ha sempre rilevato come l'applicazione di queste misure dovesse contemperare le cogenti esigenze di cautela della vittima con i diritti della persona sottoposta a misura, in ossequio al principio di cui all'art. 13 Cost.).

Con l'introduzione della nuova fattispecie delittuosa, chepunisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi viola gli obblighi delle misure indicate negli artt. 282-bis c.p.p. e 282-ter c.p.p., occorrerà, inoltre, non trascurare il diritto della persona attinta dalla misura di avere ben specificati i limiti della propria libertà di movimento e la portata delle prescrizioni impostegli, al fine di non incorrere nell'ulteriore reato.

La questione sarà decisa dalle Sezioni Unite il prossimo 29 aprile.

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