Patrocinio a spese dello Stato e mediazione: una disciplina incostituzionale?

09 Marzo 2021

La Cassazione nella sentenza in commento affronta per la prima volta la questione, oggetto di un acceso contrasto nella giurisprudenza di merito, dell'estensione del patrocinio a spese dello Stato alla fase di mediazione obbligatoria ante causam alla quale non sia seguita la proposizione del giudizio.
Massima

Al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è liquidabile il compenso per la fase della mediazione obbligatoria, cui non sia seguita la proposizione della lite, poichè ciò non è consentito dalla attuale disciplina legislativa in tema e a tale lacuna non può ovviarsi con l'attività d'interpretazione che in effetti sconfinerebbe nella produzione normativa.

Il caso

Un avvocato assiste un cliente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, in una mediazione ante causam, propedeutica ad una controversia locatizia.

Espletata negativamente la procedura di Adr, la lite non viene promossa poiche' le parti la conciliano stragiudizialmente. A quel punto l'avvocato della parte non abbiente chiede al giudice che sarebbe stato competente a trattare la controversia la liquidazione del compenso professionale secondo la disciplina del patrocinio a spese dello Stato.

Il Giudice rigetta l'istanza di liquidazione e l'opposizione, proposta ex art. 170 del d.P.R. 115/2002, avverso tale decisione viene parimenti rigettata.

L'avvocato propone allora ricorso per Cassazione avverso quest'ultima pronuncia ma la Cassazione lo rigetta enunciando il principio di cui alla massima sopra riportata.

La questione

La Cassazione, nella sentenza in commento affronta per la prima volta la questione, oggetto di un acceso contrasto nella giurisprudenza di merito, dell'estensione del patrocinio a spese dello Stato alla fase di mediazione obbligatoria ante causam alla quale non sia seguita la proposizione del giudizio.

Le soluzioni giuridiche

Fino a qualche anno fa tra commentatori ed operatori del diritto era diffusa l'opinione che non fosse possibile ottenere il patrocinio a spese dello Stato per l'attività stragiudiziale, pur nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al beneficio.

L'unico precedente di merito edito (Trib. Torino, 17 febbraio 2006) che aveva esaminato la questione aveva individuato, quali dati normativi, presenti nel d.P.R. 115/2002, che ostavano ad una simile eventualità i seguenti:

- l‘art. 74, comma 2, che fa riferimento esclusivo al «processo civile, amministrativo, contabile, tributario e affari di volontaria giurisdizione», cosicché sembrerebbe escludere tutto ciò che esula dal giudizio civile (e dalla volontaria giurisdizione);

- l'art. 75, comma 2, che indica altre ipotesi alle quali si applica la disciplina del patrocinio a spese dello Stato, tra le quali non è ricompresa l'attività stragiudiziale;

- l'art. 122, che richiede che nell'istanza siano specificate, a pena di inammissibilità, le prove di cui si intende chiedere l'ammissione;

- l'art. 124, che prevede che l'istanza sia presentata al consiglio dell'ordine del luogo in cui ha sede il giudice competente a decidere nel merito o il magistrato ove pende il procedimento.

Anche la Corte di cassazione (Cass. civ., 23 novembre 2011, n. 24723), più recentemente, si era espressa negativamente sulla possibilità di riconoscere il patrocinio a spese dello Stato per l'attività stragiudiziale ma in tale occasione, confermando con ciò un proprio precedente orientamento, aveva anche affermato una nozione lata di attività giudiziale, secondo la quale «devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (e sulla base di tale presupposto è stato riconosciuto dovuto il compenso per l'assistenza e l'attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo)».

Parte della dottrina aveva però criticato la premessa, dalla quale muoveva la ricostruzione suddetta, della qualificazione come giudiziale della prestazione stragiudiziale del difensore, con conseguente suo assoggettamento alla copertura economica pubblica assicurata ai non abbienti, sulla base dall'esistenza di un mandato ad agire, se non addirittura dell'instaurazione di un processo giurisdizionale sulla stessa controversia.

Dopo l'introduzione nel nostro ordinamento della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali un autore (Luiso, op. cit., p. 625) ha infatti osservato che le conclusioni alle quali era giunta la Suprema corte andavano coordinate con le fattispecie di mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 del d. lgs. 28/20108.

In tali casi, infatti, la fase stragiudiziale è strumentale, per utilizzare le parole di Cass. civ., n. 24723/2011, alla prestazione giudiziale, e quindi rientra a pieno titolo nella previsione di cui all'art. 74 del d.P.R. 115/2002.

Una parte della giurisprudenza di merito è giunta ad affermare la possibilità di porre a carico dello Stato il patrocinio prestato anche in una mediazione ante causam che abbia prodotto un esito conciliativo, sulla base della duplice considerazione che anch'essa costituisce una fase del processo e che in caso contraria la disciplina del T.U.S.G. sarebbe in contrasto con il parametro dell'art. 24 Cost., (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015; Trib. Ascoli, Piceno 12 settembre 2016, Trib. Bologna, 13 settembre 2017, Trib. Trieste, 29 novembre 2017).

Secondo un contrapposto indirizzo, che trova ora avallo nella sentenza in commento, in mancanza di una espressa previsione legislativa, non può essere liquidato a carico dell'Erario il compenso del difensore per l'attività svolta durante un procedimento di mediazione, se ad esso non segua la fase contenziosa (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015; Trib. Tempo Pausania, 19 luglio 2016 e Trib. Roma, 11 gennaio 2018).

Questa appare la soluzione aderente all'attuale disciplina mentre quella opposta, come osserva la Suprema Corte, finisce per crearne una diversa esorbitando dalla mera attività interpretativa.

Osservazioni

E' indubbio che le fattispecie di mediazione obbligatoria, compresa quindi la mediazione demandata dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d. lgs. 28/2010, costituiscano delle fasi stragiudiziali strumentali, per utilizzare le parole di Cass. civ., n. 24723/2011, alla prestazione giudiziale e quindi in teoria potrebbero beneficiare del patrocinio erariale.

Tale soluzione del resto è ammessa dalla disciplina speciale contenuta nel d. lgs. 116/2005, che ha recepito in Italia la Direttiva UE 2003/8, intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere civili, attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato ed in particolare nell'art. 10 di tale testo normativo.

Non vi è motivo, a giudizio di chi scrive, per limitare tale previsione, che si attaglia perfettamente alla mediazione obbligatoria e a quella demandata dal giudice, alle sole controversie transfrontaliere, atteso che tale soluzione determinerebbe una disparità di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche.

Nel d.lgs. 116/2005 è poi presente un'altra norma, l'art. 6, comma 2, che riconosce la possibilità di ottenere il patrocinio a spese dello Stato anche per la «consulenza legale nella fase conciliativa pre - contenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un'azione legale» e questa ulteriore previsione ricomprende la mediazione volontaria, in quanto anch'essa è finalizzata ad evitare un possibile contenzioso.

Tornando a considerare la disciplina nazionale, allorquando la mediazione sfoci o prosegua con il giudizio, è possibile considerarla a pieno titolo una «fase del processo» o anche una delle «eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» (sott. al processo), alle quali fa riferimento l'art. 75, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002.

A conforto di questa interpretazione va anche evidenziato come il considerando 13 della Direttiva CE 2008/52, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, affermi che la mediazione «(…)dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento» cosicché, stando a tale definizione, potrebbe rientrare a pieno titolo nella categoria degli affari di volontaria giurisdizione di cui all'art. 74, comma 2, del d.P.R. 115/2002.

La conclusione appena vista non pare però attualmente estensibile anche alla mediazione obbligatoria che sfoci in una conciliazione prima del giudizio.

Ad essa continuano infatti ad ostare alcune norme del testo unico, che presuppongono chiaramente l'introduzione o la prosecuzione di un giudizio, condizioni queste che possono verificarsi solo se la mediazione non sortisca esito transattivo.

Si pensi all'art. 122, che prescrive che nell'istanza di ammissione siano indicate, a pena di inammissibilità, le prove di cui si intende chiedere l'ammissione, o all'art. 93, comma 1, che stabilisce che l'istanza di ammissione vada presentata all' «ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo».

Ancora, è opportuno richiamare l'art. 83, comma 2, che attribuisce la competenza a liquidare il compenso, e, corrispondentemente quella a revocare il beneficio del patrocinio, all'«autorità giudiziaria che ha proceduto».

A conferma di quanto si sta dicendo va evidenziato, sotto il profilo pratico, che l'istanza di liquidazione del compenso relativa ad una ADR pre-giudiziale conclusasi con esito conciliativo non potrebbe essere decisa dal giudice che ha proceduto, perché non c'è stato un giudizio, ma dovrebbe dar luogo ad un autonomo procedimento di cognizione (la sentenza in commento non consente di comprendere come il difensore istante abbia superato tale aspetto)

Non paiono aver tenuto conto degli aspetti fin qui esposti le pronunce di merito, menzionate nel precedente paragrafo, che, anche a fronte del contesto normativo descritto, hanno ritenuto che anche la mediazione ante causam rientri nell'ambito di applicazione del patrocinio erariale.

Tali decisioni superano la richiamata disciplina del T.U.S.G. non considerando che il disposto dell'art. 296 stabilisce che: «le disposizioni contenute nel presente testo unico non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, attraverso l'indicazione precisa delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare».

In una di queste (Trib. Firenze, 15 gennaio 2015 cit.) si afferma però anche, in parziale difformità da quanto qui sostenuto, che: «(…) la connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, va riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto».

In realtà l'esito della mediazione, come di qualsiasi altra ADR, influisce sulla applicabilità di alcune rilevanti disposizioni del d.P.R. 115/2002.

Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, deve ritenersi, a differenza delle pronunce sopra citate, che la disciplina attuale escluda dal patrocinio a spese dello Stato l'attività prestata in una mediazione obbligatoria ante causam che abbia avuto esito conciliativo.

Essa peraltro è irragionevole, dal momento che, anche in questo caso, il procedimento di mediazione, per le medesime ragioni sopra dette, costituisce pur sempre una fase del processo, cosicchè l'assistenza prestata nel corso di esso dovrebbe ricevere il medesimo trattamento di quella resa in una mediazione obbligatoria seguita dal giudizio.

Ulteriore criticità di questa disciplina si rinviene nel fatto che essa induce la parte che si trova nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio erariale a non coltivare la mediazione e a perseguire nel giudizio poiché solo così potrà beneficiare dell'istituto.

Le norme sopra citate (artt. 75, 83, comma 2, e 93, comma 1, del d.P.R 115/2002) paiono quindi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

Si noti che la questione di incostituzionalità era stata prospettata anche nel giudizio di cassazione deciso con la sentenza in esame ma la Corte l'ha ritenuta irrilevante e comunque infondata sulla base del rilievo che nel caso esaminato la richiesta di compenso era correlata ad attività professionale stragiudiziale dimenticando però che si verteva in una ipotesi di mediazione obbligatoria, che come tale costituisce una fase del giudizio anche quando questo non venga instaurato per effetto della conciliazione tra le parti.

Proprio le superiori considerazioni hanno invece indotto il Tribunale di Oristano a sollevare d'ufficio questione di legittimità costituzionale dei succitati articoli per violazione dei sopra indicati parametri costituzionali (l'ordinanza adottata l'8 luglio 2020 è stata pubblicata sulla GU del 7 gennaio 2021).

Le problematiche sopra esposte non si pongono invece rispetto all'attività di assistenza difensiva prestata in una mediazione volontaria o in una mediazione obbligatoria, che non sfoci nè in una conciliazione né in un giudizio, poiché tali procedure non possono considerarsi fasi di un processo secondo l'accezione che di fase del processo viene data nel T.U.S.G.

La mediazione volontaria invece non è una fase necessaria del processo, perchè è scelta liberamente dalla parte, cosicchè non può beneficiare del patrocinio erariale nemmeno quando ad essa segua il giudizio.

Riferimenti
  • Scarselli Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato, in Nuove leggi civ. comm., 2002, pp. 124-217 ss.;
  • Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, pp. 623 ss.;
  • Vaccari, Il patrocinio a spese dello Stato nei processi civili, Giuffrè, 2020.

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