Le fondate preoccupazioni del padre per la figlia possono escludere il reato di “stalking” nei confronti della madre

09 Marzo 2021

Il comportamento apprensivo del padre nei confronti della figlia, tale da non recare offesa all'ex convivente, madre della bambina, non integra il delitto di “atti persecutori”, ai sensi dell'art. 612 bis c.p.
Massima

Appare del tutto verosimile che l'imputato, padre della piccola, abbia posto in essere delle condotte sì in talune circostanze pedanti, ma evidentemente mosse dalla preoccupazione nei confronti della figlia che non è riuscita a vivere serenamente la separazione dei genitori. Le condotte di quest'ultimo non appaiono aver ingenerato uno stato di ansia e di preoccupazione nella persona offesa, né aver indotto la stessa a mutare le proprie abitudini di vita, non rappresentandosi, quindi, in alcun modo la circostanza di recare offesa all'ex convivente.

Il caso

Tizio, padre di una bambina di 4 anni, veniva denunciato dalla ex convivente, madre della bimba, per il reato di “atti persecutori” ai sensi dell'art. 612-bis c.p.

Infatti, Tizio, successivamente alla separazione dalla compagna, aveva posto in essere, nell'arco temporale di 1 anno e mezzo (Giugno 2017 – Dicembre 2018), una serie di atti nei confronti dell'ex convivente consistiti in continue telefonate, appostamenti sotto casa e nei pressi del luogo di lavoro di quest'ultima, nonché pedinare la medesima, dopo essersi incappucciato per non essere riconosciuto, ingenerando così alla stessa un asserito forte stato di ansia e di paura.

In particolare, Tizio aveva in alcune occasioni violato le disposizioni prescritte dal Tribunale Civile di Milano che, con ordinanza, aveva previsto l'allontanamento dello stesso dalla casa familiare mantenendo, però, la possibilità di vedere e di chiamare la figlia nei giorni e negli orari ivi stabiliti.

L'imputato motivava i comportamenti sopra descritti con il volersi sincerare per le sorti della di lui figlia, preoccupandosi infatti, in ciascuna delle sopracitate occasioni, circa lo stato di salute della bambina e chiedendo alla madre informazioni e/o notizie riguardanti il suo conto.

Le indagini svolte dalla Procura di Milano si sono concentrate principalmente nell'audizione a sommarie informazioni testimoniali delle amiche della vittima, che hanno confermato in sostanza le dichiarazioni rese da quest'ultima, e nelle intercettazioni telefoniche dalle quali è emerso che, nel citato periodo, l'imputato aveva chiamato l'ex convivente più di diecimila volte.

Dalle indagini svolte emergeva, tuttavia, un quadro più complesso di quello testé descritto.

Infatti, veniva riscontrato che l'ex compagna dell'imputato aveva in un'occasione falsificato la firma di quest'ultimo al fine di ottenere la cittadinanza rumena della figlia e portarla con sé nella propria città natale, fatto per il quale Tizio aveva sporto denuncia per sottrazione di minore.

A seguito delle intercettazioni telefoniche svolte dagli operanti di P.G., inoltre, venivano indagate anche le amiche della madre, in quanto emergeva la loro complicità nel supportare tale suddetto suo proposito.

Inoltre, anche se avveniva successivamente alla citata denuncia per stalking, Tizio, ipotizzando che la figlia potesse essere abusata sessualmente da parte del legale della madre, atteso che tra di loro nel frattempo era nata una relazione sentimentale, aveva presentato denuncia-querela per violenza sessuale perpetrata nei confronti della figlia minore.

Da ultimo emergeva che, anche in seguito alla querela da cui originava il processo in commento, la madre si rivolgeva spesse volte all'ex compagno per chiedergli favori, con toni amichevoli e concilianti così da non aver mai fatto invero risultare evidente l'asserito stato di paura e di ansia ingenerato dallo stesso. Risultava, altresì, che Tizio era in possesso di un mazzo di chiavi della casa dell'ex compagna, con il consenso di quest'ultima, per potervi accedere in caso di necessità.

Nondimeno, sentita a sommarie informazioni testimoniali la vicina di casa degli ex conviventi, la stessa dichiarava che Tizio non risultava avere mai tenuto comportamenti inadeguati.

Il Giudice ha quindi definitivamente ritenuto assai criticabile l'asserito stato di paura o di ansia ingenerato nella vittima e che soprattutto mancasse, nel caso di specie, il requisito soggettivo del dolo generico, proprio del reato di atti persecutori, assolvendo -nell'ambito del giudizio abbreviato- l'imputato perché il fatto non costituisce reato.

La sentenza ha messo in rilievo, in particolare, che «le preoccupazioni del padre nei confronti della figlia non fossero del tutto infondate, con ciò giustificando almeno in parte il comportamento apprensivo dello stesso nei riguardi della bambina».

La questione

La questione in esame è la seguente: quali sono i comportamenti ritenuti idonei a procurare un rilevante stato di ansia nella vittima tali da configurare una condotta illecita? Accertate le condotte astrattamente integranti il reato di atti persecutori, quid iuris per l'elemento soggettivo?

Le soluzioni giuridiche

La Giurisprudenza di Legittimità, in tema di atti persecutori, è conforme nel ritenere che il delitto sia punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Tale proposito deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Cass. pen., sez. V, 02 gennaio 2019, n. 61; Cass. pen., sez. V, 26 ottobre 2015, n. 43085; Cass. pen., sez. V, 22 ottobre 2015, n. 42566; Cass. pen., sez. V, 05 maggio 2014, n. 18999; Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2013, n. 20993).

Si afferma, in particolare, che non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca all'interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte dell'agente alla sfera privata della persona offesa (Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2015, n. 29859; Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2013, n. 20993).

In una fattispecie analizzata dalla Suprema Corte, simile al caso di specie ove l'imputato teneva condotte particolarmente apprensive -definite “maniacali”- nei confronti della figlia (tanto che venivano ritenute persone offese dal reato sia la ex convivente sia la figlia minore), si afferma che non è nemmeno necessaria la preordinazione delle condotte, che possono essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2016, n. 50057).

Pertanto, l'autore della condotta dovrà rappresentarsi e volere alternativamente uno dei tre eventi descritti nella norma di cui all'art. 612-bis c.p. ovverossia (i) cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura; (ii) ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da relazione affettiva; (iii) costringere ad alterare le proprie abitudini di vita.

Quanto al primo dei predetti eventi (grave e perdurante stato di ansia o di paura), che pare integrarsi nel caso di specie, in Dottrina si afferma specificatamente che lo stato di ansia deve essere considerato una «condizione emotiva spiacevole e accompagnata da un senso di oppressione e da una notevole diminuzione dei poteri di controllo volontario e razionale, purché grave e non passeggero» (Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte speciale, Bologna, 2011, 223); viceversa, la paura consiste in «uno stato di intenso turbamento misto a preoccupazione e inquietudine per qualcosa di reale o immaginario»(Fiandaca–Musco, cit., 223).

Sempre in Dottrina si sostiene che la norma sembra riferirsi a forme patologiche di stress o di alterazioni dell'equilibrio psicologico del soggetto passivo, tali da essere riscontrabili sul piano oggettivo da parte di un esperto in medicina, in grado di attestare il sopravvenire degli stessi stati patologici (Benedetto, Stampi, Ricci, Messori, Cingolani, Stalking: aspetti giuridici e medicolegali, in Riv.it. Medicina legale, 2008, n. 1, 127. In particolare, la patologia tipica conseguente al delitto di stalking è la sindrome da trauma da stalking (STS) -che comporta effetti analoghi al disturbo post traumatico da stress- nascente a seguito di esposizione ad un forte fattore stressante che deve essere reiterato giornalmente).

La Giurisprudenza (in tema di maltrattamenti in famiglia) ha ricondotto lo stato di ansia o di paura al concetto di malattia di mente, affermando che la sua nozione «è più ampia di quelle concernenti l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato di ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento» (Cass. pen., sez. VI, 07 febbraio 2005, n. 16491).

Le più recenti pronunce della Suprema Corte (Cass. pen., sez. V, 04 febbraio 2020, n. 4728) affermano che gli atti persecutori non devono essere tali da integrare una situazione con risvolti patologici in quanto è sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima.

Ancora, con riferimento allo stato di ansia e di paura, si è stabilito che la prova dell'evento de quo deve essere ancorata ad elementi sintomatici del turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti successivi alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, tenendo in considerazione sia la sua astratta idoneità a causare l'evento, sia il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2019, n. 31981).

Osservazioni

Dalla ricostruzione della vicenda processuale appena descritta, è chiaro come la figlia dei due ex conviventi rappresenti, invero, il “fulcro” del maggiore contendere tra i due genitori.

Le preoccupazioni ed i comportamenti petulanti del padre, da un lato, e le condotte asseritamente illecite della madre, dall'altro lato, sono tutte innegabilmente lesive della sfera giuridica soggettiva della minore che si è ritrovata purtroppo in una situazione di grave conflittualità familiare.

In tale “disagiato” contesto, alla luce del quadro probatorio così come sinteticamente ricostruito, Tizio, con la sentenza in commento, è stato dichiarato assolto dal reato di atti persecutori per mancanza dell'elemento soggettivo del reato.

E infatti, è pacifico che il Giudice, per addivenire alla propria decisione, abbia dovuto valutare e valorizzare la complessità e la totalità degli elementi emersi nel corso delle indagini preliminari che hanno notevolmente esteso lo “scenario” nel quale si sono mossi i protagonisti della vicenda processuale.

In primo luogo, è risultato che Tizio avesse posto in essere quella serie di atti descritti spinto dall'unico fine di conoscere lo stato di salute della propria figlia e, talvolta, preoccupato per il medesimo.

Non pare infatti che lo stesso abbia, invero, agito rappresentandosi, come specificato dalle richiamate Giurisprudenza e Dottrina sul punto, o addirittura volendo cagionare all'ex convivente un perdurante e grave stato di ansia o di paura. In particolare, non pare potersi affermare che Tizio abbia voluto porre in essere le sue condotte nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma.

In secondo luogo, il quadro probatorio è risultato particolarmente contraddittorio circa il reale stato di ansia e di preoccupazione mostrato dalla persona offesa, la quale non aveva invero mai mutato le proprie abitudini di vita.

Tale ultima circostanza, infatti, è risultata evidente grazie ad una serie di elementi emersi durante le indagini, come il fatto che la stessa persona offesa si rivolgesse diverse volte all'imputato, in toni amichevoli e conciliativi, per chiedergli favori; che egli stesso possedesse un mazzo di chiavi della casa in cui la medesima vive; nonché che la vicina di casa avesse riferito di non aver ravvisato in Tizio dei comportamenti inadeguati.

Sotto questo profilo, conformemente a quanto affermato dalla Giurisprudenza e Dottrina sul punto, non sono mai risultati elementi sintomatici del turbamento psicologico patito dalla vittima, anche tenuto conto del lungo tempo in cui le condotte sono state reiterate.

Non solo. Le preoccupazioni del padre sembrano essere state, almeno in parte, forse “giustificate”, per utilizzare un termine del Giudice, altresì da alcuni atteggiamenti riferibili alla madre della bambina la quale, come detto con la complicità delle sue amiche, aveva falsificato la sua firma al fine di poter espatriare con la piccola, così potendo far ingenerare nel padre la fondata preoccupazione per le sorti della loro figlia.

Tale allarmante e purtroppo negativo contesto in cui si è ritrovata la bambina è, inoltre, stato aggravato dalla asserita circostanza, sebbene emersa successivamente ai fatti oggetto di imputazione, che potesse essere abusata da parte del (nuovo) compagno della madre; così violando, quest'ultima, il dovere di garanzia proprio di un genitore che ha l'obbligo giuridico di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni, anche endofamiliari.

Il Giudice, ai fini della propria decisione, deve avere tenuto conto anche dell'interesse preminente della minorenne che, come detto, si è ritrovata in un grave e difficile contesto di conflittualità familiare, assolutamente negativo per poterle garantire una crescita serena ed equilibrata (a tal riguardo, infatti, tra gli atti contenuti nel fascicolo del Giudice vi era anche la relazione redatta dalla psicologa minorile che appurava uno stato di rabbia e di disorientamento nella bambina).

In conclusione, le preoccupazioni di un padre per le condizioni di vita e di salute della propria figlia minore possono essere tali da escludere l'intenzione di realizzare atti persecutori nei confronti della madre della bambina, sua ex compagna.

In casi del genere potrebbero esservi margini di riflessione circa la possibilità di configurare la scriminante di cui all'art. 51 c.p., in ordine ai diritti ed ai doveri dei genitori nei confronti dei figli.

Il comportamento apprensivo, finanche petulante, tale però da non recare una lesione alla libertà di autodeterminazione della vittima ed alterare le sue abitudini di vita ovvero condurre la propria esistenza con il fondato timore ingenerato dallo stalker che vuole imporgli la propria presenza, non costituisce un fatto illecito inquadrabile nel delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p..

Riferimenti

Gianluca D'Aiuto, Stalking Aspetti sostanziali, processuali e profili psicologici, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021;

Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte speciale, Bologna, 2011;

Benedetto-Stampi-Ricci Messori-Cingolani, Stalking: aspetti giuridico e medicolegali, in Riv.it. Medicina legale, 2008, n. 1.

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