Criteri di determinazione dell’assegno divorzile: disparità economica dei divorziandi e autosufficienza economica del coniuge richiedente

Samantha Luongo
15 Marzo 2021

E' riconosciuto il diritto all'assegno divorzile alla coniuge richiedente anche se economicamente indipendente, tenendo conto del sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali e dell' apporto dato alla conduzione della famiglia e alla formazione del patrimonio di entrambi e dell'altro coniuge.
Massima

Accertata la rilevante disparità economica tra i coniugi divorziandi, prerequisito necessario per l'accoglimento della domanda, e la riconducibilità di tale sperequazione al contributo offerto alla vita endofamiliaredal coniuge richiedente, economicamente più debole, va riconosciuto a quest'ultimo, seppure titolare di redditi propri, il diritto all'assegno divorzile, tenendo conto delsacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, della specifica vicenda coniugale, dell' apporto dato alla conduzione della famiglia, alla formazione del patrimonio di entrambi e dell'altro coniuge, con funzione compensativa-perequativa-riequilibratrice.

Il caso

In sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i coniugi chiedevano concordemente la revoca del contributo per il mantenimento dei figli, divenuti maggiorenni ed economicamente autosufficienti a seguito di stipula di contratti lavorativi a tempo indeterminato. La madre, sig.ra H. W., avanzava però con riferimento esclusivo al figlio più piccolo F., assunto di recente con contratto a tempo indeterminato e retribuzione di € 29.975,00 annue, la previsione di un periodo intermedio di ulteriore contribuzione del padre, in attesa del consolidamento dell'impiego e della stabilizzazione dell'autonomia economica.

I coniugi divorziandi concordavano altresì “sull'assegnazione” della casa familiare alla coniuge (comproprietaria per la quota del 10%), finchè vi avesse abitato con il figlio F., come già statuito in sede di separazione.

Le richieste divergevano invece in ordine alla contribuzione alle spese relative all'immobile, per la coniuge W. da porre tutte ad esclusivo carico del coniuge, come già disposto in fase di separazione.

Divergevano poi in ordine all'assegno divorzile.

La sig.ra H. W. Ne avanzava richiesta benchè fosse autosufficiente economicamente, disponendo di propri redditi, in media di circa euro 2000,00 mensili, frutto della propria attività lavorativa ripresa dopo la crescita dei figli, e benchè fosse amministratrice di una società dalla stessa fondata dopo la separazione nonché proprietaria di un immobile sito in Milano, condotto in locazione.

A tal proposito, evidenziava il rilevante contributo endofamiliare offerto in costanza di matrimonio con sacrificio delle proprie aspettative lavorative e reddituali di mantenimento e quantificava l'assegno divorzile in € 1.500,00 mensili, importo onnicomprensivo delle somme già godute in forza del reale assetto economico della separazione, o comunque in euro 500,00 mensili, ovvero nella stessa misura dell'assegno separativo, oltre al pagamento del 100% delle spese ordinarie e straordinarie dell'immobile ammontanti a circa 5.000 euro annui, anche in considerazione dell'eventualità della cessazione il diritto di assegnazione della casa coniugale.

Il coniuge, che aveva rivestito importantissime cariche societarie, aveva goduto sempre di un reddito annuo cospicuo anche superiore a 310.000,00 euro, era titolare di valori mobiliari e di diversi immobili in Italia e all'estero, chiedeva invece che venisse revocato l'assegno di mantenimento in favore della moglie, in ragione della autosufficienza economica dell'altro, del mutamento delle proprie condizioni economiche e del licenziamento, intervenuto nel 2019, dalla società presso la quale rivestiva la carica di Amministratore Delegato.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di rilevante disparità economica tra i coniugi divorziandi, se la coniuge richiedente l'assegno abbia competenze professionali attuali che le abbiano consentito un agevole reinserimento nel mercato del lavoro e redditi tali da renderla economicamente indipendente, quale ruolo riveste il contributo offerto alla vita endofamiliare in relazione all' an e al quantum del preteso emolumento economico, seppur sganciato dal parametro obsoleto del pregresso tenore di vita matrimoniale?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento si pone nel solco tracciato dai noti precedenti della S. C. di Cassazione (a partire dalla pietra miliare posta dalla Cass. civ. sez. un. 18287/2018) ed è coerente con i precedenti di merito dello stesso tribunale milanese (cf ex plurimis Trib. Milano, IX, 10 ottobre 2019), che, ai fini della corresponsione dell'assegno divorzile, richiede innanzitutto l'impreteribile prerequisito della rilevante disparità economica tra i coniugi e l'analisi delle ragioni dello squilibrio economico creatosi tra gli stessi.

Sulla base delle acquisizioni istruttorie, il Tribunale disciplina le questioni economiche, discostandosi, in parte, da quanto provvisoriamente statuito in sede presidenziale divorzile nonché dall'assetto della fase separativa e, per l'effetto:

-revoca integralmente il contributo di mantenimento a carico del padre anche per il figlio più piccolo F., a far data dal mese successivo alla pubblicazione della presente sentenza, ritenendo integrato il requisito dell'autosufficienza economica a prescindere dal pregresso e più alto tenore di vita familiare goduto, in ragione dello svolgimento da parte del figlio di un'attività lavorativa corrispondente alle aspirazioni e al percorso di studi svolto dal figlio e della percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato (Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 407/2007);

-in ordine alla casa coniugale, prende atto dell'accordo dei coniugi e provvede in conformità, premettendo che, raggiunta l'indipendenza economica anche da parte del figlio F., non può adottarsi strictu sensu un provvedimento di assegnazione della casa coniugale di cui all'art. 337-sexies c.c.

-regolamenta le spese relative all'immobile, in assenza di accordo tra i coniugi, in base ai principi di diritto, ponendo le spese straordinarie e quelle relative alla proprietà a carico dei divorziandi in base alle quote di comproprietà (90% in capo al V. e del 10% alla W.) ed attribuendo quelle condominiali ordinarie a carico della coniuge W., che ivi vive unitamente al figlio indipendente e che quindi può contribuire, in conformità a quanto disposto dall'art. 9 della legge n. 392/1978;

-in ordine alla questione di massima, relativa all'attribuzione dell'assegno divorzile, il Tribunale disamina accuratamente la specifica storia coniugale.

Ricostruisce e compara, quindi, le situazioni esistenziali, patrimoniali e reddituali dei coniugi, prescindendo, sotto tale ultimo profilo, da rigorose analisi contabili e finanziarie.

Considera quindi che: i coniugi, all'esordio della propria vita coniugale, rivestivano il medesimo incarico all'interno della stessa società; con la nascita dei figli, di comune accordo, decidevano di rideterminare i propri ruoli all'interno della famiglia, cosicché la W. si faceva carico di tutti gli impegni connessi alla conduzione della vita familiare e in particolar modo alla gestione e cura dei figli minori, lasciando al V. la possibilità di potersi dedicare in toto all'espletamento dell'attività lavorativa e di far carriera; che la coniuge sacrificava le proprie prospettive reddituali future per effetto delle scelte di conduzione familiare assunte durante la vita coniugale, durata sedici anni; tuttavia, diventati più grandi i figli, riusciva a ricollocarsi nel mondo del lavoro e costituiva una società i cui profitti, per sua stessa ammissione, al momento della disgregazione del vincolo matrimoniale erano in crescita; godeva altresì del reddito da locazione dell'immobile di proprietà, sito in Milano, acquistato dopo la separazione grazie agli importi che le erano versati dal marito per il pagamento della rata del mutuo, pari a circa 1.200 euro mensili, in cambio della disponibilità dell'abitazione.

Valuta poi la posizione del coniuge potenzialmente obbligato, rilevando che questi, dal suo canto: godeva di una posizione di indubbio vantaggio economico-patrimoniale; aveva ricoperto importanti cariche sociali, nel 2016 aveva percepito una cospicua somma a titolo di TFR dalla società per la quale ha lavorato per 25 anni, aveva acquistato un immobile in Milano, ove attualmente viveva, era comproprietario per la quota del 90% della casa coniugale, nonchè proprietario di un immobile in Celerina (Svizzera), utilizzato anche dalla moglie e dai figli per trascorrere le vacanze; aveva conseguito infine importanti acquisizioni patrimoniali e reddituali in via successoria, quale erede unico dei suoi genitori, nelle more deceduti, che concorrevano a comporre le effettive ed attuali capacità reddituali del coniuge obbligato, seppure rispetto ad esse non poteva configurarsi un contributo dell'altro coniuge; che, in data 25.02.2019 era stato licenziato dall'azienda nella quale lavorava come dirigente, ma che tale fatto non era suscettibile di sovvertire la disparità registrata.

Il Tribunale ritiene che il significativo squilibrio economico esistente tra i coniugi è consequenziale alle scelte che gli stessi hanno adottato, di comune accordo, in costanza di convivenza matrimoniale, perdurata per circa un ventennio e che detto squilibrio si palesa oramai incolmabile ed irreversibile.

Perviene allora al riconoscimento in capo alla W. del diritto alla percezione dell'assegno divorzile, con carattere perequativo- compensativo- riequilibrativo, quantificandolo in € 800,00 mensili, ovvero in un importo addirittura superiore di quello statuito in sede di separazione ma omnicomprensivo degli ulteriori apporti economici garantiti dal coniuge obbligato anche nella fase della separazione, connessi alla gestione dell'abitazione familiare.

Osservazioni

L'iter logico – giuridico perseguito dal Giusdicente ripercorre i criteri di valutazione introdotti dalla S.U. della Corte di Cassazione e uniformemente applicati dalla giurisprudenza successiva (Cass. civ. n. 182817/2018; Cass. n.1882/2019; Cass. sez I, ord. n. 5603/2020), compiendo una complessa valutazione prognostica delle capacità economiche patrimoniali-reddituali e lavorative dei coniugi divorziandi.

La pronuncia in commento è pregevole per la disamina, completa e complessa di tutti i fattori che connotano l'intera vicenda coniugale e di tutte le variabili che hanno inciso sull'evoluzione delle capacità economiche e reddituali e sulle prospettive di lavoro di ambedue i coniugi.

Il Tribunale parte da una valutazione retrospettiva della storia coniugale, esamina poi la situazione di disgregazione del vincolo sia da un punto di vista statico, in cui il “coniuge economicamente più forte” ha rilevanti capacità economiche e patrimoniali ma ha perso il lavoro, è attualmente disoccupato e non di giovane età, mentre “quello economicamente più debole” ha una propria attività lavorativa ben avviata; sia da un punto di vista dinamico: per il primo, valuta le possibilità concrete di reinserirsi nel mondo del lavoro, utilizzando la lunga esperienza e la spiccata attitudine professionale; per l'altra, pur registrando il positivo sviluppo e l' accrescimento dell'attività professionale, considera la “prevedibile impossibilità che la stessa possa arrivare ad introiti anche solo parzialmente comparabili con quelli del V., anche solo sotto il profilo pensionistico”.

Snodo cruciale della decisione è la constatazione del rilevante divario esistente tra i divorziandi e il rilievo che esso non e'colmabile anche in futuro con la concreta possibilità di guadagno da parte del coniuge richiedente l'assegno, in ragione dei redditi percepiti all'attualità e della sterilizzazione della possibilità di più ampi sviluppi professionali e di maggiori introiti.

Il Tribunale svolge il rigoroso accertamento della sussistenza di una efficacia causale tra la rilevante disparità e le scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio che hanno comportato per la coniuge richiedente il sacrificio di aspettative reddituali e professionali in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare.

Rileva infatti che alla formazione del patrimonio del coniuge obbligato ha contribuito in maniera significativa la coniuge, dedicandosi in via prevalente ed assorbente alla famiglia, consentendo all'altro di fare carriera e di implementare la propria attività e le proprie capacità economiche.

Il Tribunale ritiene allora sussistente il diritto all'assegno divorzile, alla luce dei parametri equi-ordinati indicati dall'art. 5, comma 6 della l. n. 898/1970, evidenziando la pari dignità dei differenti contributi personali ed economici apportati alla conduzione familiare, considerando la durata del matrimonio, l'età dell'istante, le sue effettive potenzialità professionali e reddituali e della conformazione del mercato del lavoro.

Ribadisce l'esclusione degli automatismi del pregresso tenore di vita e dell'autosufficienza economica.

La pregressa storia coniugale, il modello di relazione coniugale liberamente e consapevolmente attuato in esplicazione del principio di autoresponsabilità e autodeterminazione, dal momento della contrazione del vincolo e per tutta la durata dello stesso, marcano inevitabilmente la decisione sull'an e quantum della provvidenza economica che legherà i due individui anche dopo la fine del vincolo e la perdita dello status di coniugi.

In presenza di una disparità economico patrimoniale, causalmente riconducibile a scelte di conduzione della vita familiare, adottate e condivise in costanza di matrimonio, la funzione anche compensativa- perequativa dell'assegno, tenderà quindi a far conseguire all'ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, quale fattore riequilibratore, ovvero ripristinatore di quelle perdite di possibilità reddituali e capacità patrimoniali dipese dell'apporto dato dal coniuge richiedente al ménage familiare.

In tale ottica, la quantificazione dell'assegno divorzile, non senza qualche piccola contraddizione, viene implementata rispetto all'importo statuito in sede di separazione (cfr. contra Cass. civ., sez. I, ord. 28 febbraio 2020, n. 5605), per ricomprendere in via forfettaria voci di spesa relative alla gestione dell'abitazione familiare, attribuita alla coniuge, che lo stesso Tribunale ritiene debbano essere poste a carico delle parti, secondo i principi di diritto comune.

In sintesi, l'attenta analisi della vita matrimoniale, durante il suo intero arco, con inevitabile riferimento alla durata del vincolo e a quanto svolto da ciascun coniuge nell'interesse della famiglia, assolve a parametro imprescindibile sia ai fini dell'attribuzione dell'emolumento, sia ai fini della quantificazione.

Riferimenti

B. De Filippis - Mariagrazia Pisapia, Mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, 2017, 157 e ss;

G. Contiero, Il trattamento economico nella separazione e divorzio. Assegno di mantenimento e divorzile, GFL, 2019

Lobasso F., Il Mantenimento del tenore di vita matrimoniale: un controsenso rispetto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, in Giur it., 2000, pag 465.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.