Prescrizione dell’illecito dell’ente e mancata notifica della richiesta di rinvio a giudizio

Ciro Santoriello
17 Marzo 2021

In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio...
Massima

In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Il caso

Tanto in primo grado, dal Tribunale di Patti, che in sede d'appello, innanzi alla Corte di Messina, due società erano condannate in relazione ai reati, commessi dal loro vertici, di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di truffe aggravate ai danni dello Stato e connessi reati di falso e malversazione inerenti alla percezione di erogazioni pubbliche in frode, ordinando anche, ai sensi dell'art. 19 del decreto citato, la confisca, quale profitto del reato, di quanto dalle stesse conseguito in relazione al reato di malversazione in danno dello Stato.

La condanna era impugnata in cassazione, sostenendosi la mancanza di prove sulla sussistenza del vantaggio o interesse dell'Ente, imposto dall'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, posto che le sentenze di merito avrebbero postulato che i sodali dell'organizzazione criminale avevano agito a vantaggio della associazione stessa e non dell'ente, distraendo somme di danaro. In subordine, veniva avanzata anche la richiesta di valutare l'intervenuta prescrizione dell'illecito contestato agli enti.

La questione

Come è noto, la disciplina in tema di prescrizione nel processo contro gli enti prevede che “1. le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato. 2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59. 3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. 4. Se l'interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

Le ragioni per cui il legislatore è pervenuto ad una regolamentazione dell'istituto della prescrizione nell'ambito del procedimento contro le persone giuridiche così divergente rispetto al regime che il medesimo istituto ha in sede di processo penale nei confronti di persone fisiche sono rinvenute nella presente decisione nella circostanza che da un lato l'illecito dell'ente è un illecito amministrativo e quindi pare opportuno il richiamo a quanto in tema di prescrizione dispone l'art. 28 l. n. 689/1981 e dall'altro che la disciplina contenuta nel decreto n. 231 realizza un adeguato bilanciamento fra le esigenze di durata ragionevole del processo - essendo comunque previsto un termine di prescrizione breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell'illecito - e le esigenze di garantire un'adeguata completezza dell'accertamento giurisdizionale riferito ad una fattispecie complessa come quella relativa all'illecito amministrativo dell'ente. In particolare, l'effetto di un tale bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione una volta che, esercitata l'azione penale, si instauri il giudizio, con il contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione, fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente più breve rispetto a quanto previsto dal codice penale (sul punto, in dottrina GALLUCCIO, Ancora in tema di sospensione condizionale e procedimento penale a carico dell'ente, in Cass. Pen., 2012,3516; BENDONI, Il rapporto fra confisca per equivalente e prescrizione, ivi, 2014, 1226; SALVATORE, L'interruzione della prescrizione nel sistema del d.lgs 231/2001, in Riv. Resp. Amm. Enti,2009, n. 2; BELTRANI, La responsabilità dell'ente da reato prescritto (Commento a Cass. pen., n. 21192, 25 gennaio 2013), ivi, 2014, n. 2).

La disciplina suddetta è già stata denunciata per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost., ma la Cassazione (Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 2015, n. 267047) ha ritenuto manifestatamente infondata la questione di legittimità, atteso che la diversa natura dell'illecito che determina la responsabilità dell'ente, e l'impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità ex delicto di cui al d.lgs. n. 231/2001 nell'ambito e nella categoria dell'illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione.

In particolare, si ritiene che non vi sia alcuna violazione del principio della ragionevole durata del processo e del diritto di difesa anche perché il legislatore ha tenuto conto di tali esigenze, da un lato fissando, all'art. 22 d.lgs. n. 231/2001, il termine massimo di cinque anni dalla data di consumazione del reato perché la prescrizione possa essere impedita mediante un atto interruttivo, e dall'altro escludendo, in ogni caso, mediante l'art. 60 d.lgs. n. 231/2001, la possibilità di procedere alla contestazione dell'illecito all'ente se prima del compimento di tale atto si sia estinto per prescrizione il reato presupposto.

Quanto al possibile contrasto con gli artt. 41 e 117 Cost. in riferimento all'art. 6 della Convenzione E.D.U., si ritiene che la previsione nel d.lgs. n. 231/2001 di limiti temporali raccordati alla generale disciplina civilistica in materia di prescrizione esclude l'incompatibilità del regime dettato per la prescrizione dell'illecito amministrativo dipendente da reato con il principio di libertà dell'iniziativa economica, mentre la dedotta violazione dell'art. 117 Cost., in riferimento all'art. 6 della Convenzione E.D.U., sarebbe insussistente, non potendosi qualificare la responsabilità degli enti collettivi come avente natura penale. Inoltre, la pronuncia di sentenza di prescrizione nei confronti degli imputati persone fisiche non produce alcun pregiudizio per l'ente, sia perché non implica per questo alcun vincolo formale in ordine alla ricostruzione del fatto, sia perché non esonera l'accusa dal dimostrare puntualmente l'esistenza del reato presupposto, sia perché non impedisce all'ente di chiedere l'ammissione e produrre prove utili ad escludere o a far ragionevolmente dubitare della sussistenza del fatto di reato quale imprescindibile componente della «fattispecie complessa» da cui discende la responsabilità amministrativa.

Se la presunta incostituzionalità della normativa in tema di prescrizione della responsabilità da reato degli enti collettivi è sostenuta soprattutto in dottrina, la giurisprudenza – assolutamente conforme, come si è visto, nel respingere tali censure – è invece divisa su un'altra questione inerente l'identificazione dell'atto interruttivo della prescrizione discutendosi in particolare se la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione solo se, oltre che “emessa”, sia stata anche “notificata” entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto ovvero se sia sufficiente che il predetto atto venga per l'appunto emesso, essendo irrilevante la sua notifica alla persona giuridica.

Nelle decisioni che si pronunciano nel primo senso (Cass. pen., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 263171), si fa richiamo alla previsione di cui all'art. 11, primo comma, lett. r), l. n. 300/2000, che alla lett. r) espressamente dispone di "prevedere che le sanzioni amministrative [che verranno poi introdotte con il d.lgs. n. 231/2001] si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati … che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile". L'orientamento contrario invece (Cass. pen., sez. II, 20 giugno 2018, n. 41012) reputa sufficiente, per l'interruzione della prescrizione la sola emissione della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto che l'art. 59 del d.lgs n. 231/2001 rinvia all'art. 405 comma 1 c.p.p. che individua come atto di contestazione dell'illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge (Cass. pen., sez. II, 20 giugno 2018, n. 41012), mentre il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consentirebbe di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato, in quanto secondo la Cassazione i ricorsi contestano solo genericamente la mancanza di un interesse dell'ente e di un vantaggio proveniente dalla condotta dei loro legali rappresentanti, mentre dal complesso della motivazione delle due sentenze di merito, conformi sul punto, emerge come la stessa creazione degli enti e le modalità con le quali a loro vantaggio erano state effettuate le operazioni fraudolente costituenti i reati di truffa aggravata e gli storni di somme individuate dai reati di malversazione ai danni dello Stato, rientravano nel più vasto programma criminoso descritto a proposito del reato associativo, che non avrebbe potuto realizzarsi se non attraverso le condotte illecite commesse dalle ricorrenti, che ridondavano, in primo luogo, a favore delle stesse società e, poi, per loro tramite, anche (ma non solo come si vorrebbe nei ricorsi) a favore dei partecipi ed organizzatori.

Sulla scorta di questa argomentazione, la Corte esclude che gli enti abbiano solo occasionalmente tratto vantaggio dalle condotte illecite contestate anche considerando che la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma 1 lett. a) e b) d.lgs. n. 231/2001 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio, ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica (Cass. pen., sez. I, 26 giugno 2015, n. 265378).

La parte più interessante della sentenza è però quella dedicata al tema della prescrizione dell'illecito contestato all'ente collettivo, alla luce di quanto detto in precedenza. Sul punto, la sentenza in commento aderisce all'orientamento più largheggiante sostenendo che in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 231/2001.

Osservazioni

La tesi avanzata dalla Cassazione con la decisione in epigrafe presenta alcuni profili problematici.

In primo luogo, va ricordato che secondo il legislatore delegante la disciplina in tema di interruzione della prescrizione nell'ambito del sistema della responsabilità da reato degli enti collettivi deve seguire le cadenze previste per l'analogo istituto dal codice civile; orbene, la circostanza che il decreto legislativo adottato in esecuzione della predetta legge delega si sia discostato dalle indicazioni di questa ed abbia individuato nell'atto interruttivo della prescrizione l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio senza attribuire rilievo alla circostanza che la stessa sia stata o meno notificata all'indagato, piuttosto che indurre all'adozione di soluzioni come quella assunta nella sentenza in esame avrebbe dovuto presumibilmente condurre a una denunzia di costituzionalità della disciplina in oggetto per violazione della legge delega.

In secondo luogo, la regolamentazione dell'istituto della prescrizione nell'ambito del procedimento contro le persone giuridiche diverge profondamente rispetto al regime che il medesimo istituto ha in sede di processo penale nei confronti di persone fisiche. Come detto in precedenza, tale diversità trova fondamento (e di conseguenza legittimazione, non potendosi qualificare come irragionevole) nella circostanza che la responsabilità dell'ente nasce da un illecito amministrativo, sicché pare opportuno applicare, in tema di prescrizione, la normativa dettata con riferimento agli illeciti amministrativi dalla l. n. 689/1981. Tuttavia, proprio l'art. 28 di tale legge prevede, al comma due, che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile: in sostanza, sembrerebbe potersi dire che se si vuol giustificare la differenza corrente fra la disciplina in tema di prescrizione dettata dal d.lgs. n. 231/2001 e quella contenuta, in relazione ad analogo istituto, nell'ambito del codice di procedura penale sostenendo che la prima non presenta profili di ragionevolezza e di incostituzionalità perché analoga a quanto dispone in materia di prescrizione disciplina in tema di sanzioni amministrative, allora tale analogia deve essere completa per cui l'interruzione della prescrizione richiede - come previsto dalle norme del codice civile a loro volta richiamate dalla l. n. 689/1981 - che l'atto con efficacia interruttivo non sia stato solo emesso dall'autorità ma anche notificato al soggetto interessato.

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