Contratto preliminare e contratto definitivo. La Cassazione “ripassa” alcune regole per la revocatoria
17 Marzo 2021
In tema di azione revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di un contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo in quanto l'art. 67 L.F. ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio del fallito, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l'obbligazione, di cui l'atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento
Il caso. Il Fallimento di un'impresa di costruzioni agiva per la revoca di un atto di compravendita di un immobile trasferito dall'impresa all'epoca in bonis ad altra s.r.l. acquirente. Il Fallimento lamentava che il trasferimento era avvenuto in frode ai creditori sia perché il prezzo veniva “corrisposto” in gran parte con mero accollo di debiti della venditrice, sia perché il valore dell'immobile era superiore a quello pattuito. La scientia damni in capo alla società acquirente si deduceva dal fatto che il socio di maggioranza (95%) della stessa era fideiussore e socio di fatto della fallita. Il Tribunale accoglieva la domanda di revoca ritenendo provato l'eventus damni poiché l'atto in revoca era successivo all'esistenza dei debiti dell'impresa di costruzioni poi effettivamente ammessi al passivo. I pagamenti inoltre avevano natura simulata e finalità pregiudizievoli poiché volti solo a liberare il socio di maggioranza fideiussore. La decisione era confermata dalla Corte d'Appello e la s.r.l. acquirente ricorreva in Cassazione. La decisione della Cassazione. La Corte di Cassazione respinge tutti i motivi di ricorso sollevati dalla s.r.l.. Con riguardo al primo la parte sottolineava che il contratto definitivo di compravendita era un atto dovuto in quanto effettuato in adempimento di un'obbligazione assunta con il contratto preliminare. Tale aspetto non era stato considerato – secondo la ricorrente – dai giudici di merito ed avrebbe impedito l'accoglimento dell'azione revocatoria. Secondo la Cassazione invece era stato giustamente ritenuto revocabile il contratto definitivo perché il contratto preliminare risultava preordinato a sottrarre (con il definitivo appunto) la garanzia patrimoniale del debitore verso i creditori della massa fallimentare. Nello specifico la Corte territoriale – con motivazione completa e non censurabile in sede di legittimità – aveva dedotto il carattere fraudolento dell'operazione da una serie di indizi tra cui le modalità e l'entità del pagamento, nonché la data di diversi assegni bancari emessi senza causale e addirittura prima della stipula del contratto preliminare. Con il secondo motivo il ricorrente eccepiva la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione per l'esperimento dell'azione revocatoria a far data dalla stipula del contratto preliminare. In realtà simile censura contrasta con i costanti arresti della Suprema Corte in base ai quali il termine quinquennale di prescrizione dell'azione revocatoria fallimentare non decorre dalla data dell'atto – come invece avviene per l'azione revocatoria ordinaria – ma dalla data del fallimento (Cass. 1635/1998) e, in caso di azione revocatoria volta a far dichiarare l'inefficacia della compravendita di un bene dissimulante una donazione, la prescrizione comincia a decorrere dalla declaratoria della simulazione poiché solo da tale momento può essere fatto valere il relativo diritto (Cass. 26460/2014). Peraltro, osserva la Corte, in casi come questi l'elemento del pregiudizio - quale fatto costitutivo dell'actio pauliana - si configura solo al momento del contratto definitivo perché il preliminare non è atto depauperativo della garanzia patrimoniale del debitore (Cass. 17365/2011). In sostanza nell'azione revocatoria ordinaria si verifica, per così dire, una "dissociazione" tra il momento in cui verificare l'eventus damni da quello in cui accertare l'elemento soggettivo dell'azione. Nello specifico il primo va valutato in riferimento alla stipula del contratto definitivo giacché questo è l'atto dispositivo del patrimonio del debitore. Il secondo elemento invece va verificato al momento della stipula del contratto preliminare. Invece nell'azione revocatoria fallimentare di compravendita in adempimento di un contratto preliminare, l'accertamento dei presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo. Infatti l'art. 67 l.fall. ricollega la consapevolezza dell'insolvenza in capo all'acquirente al momento in cui il bene uscendo dal patrimonio del fallito viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo in sé con cui si è assunta l'obbligazione e di cui l'atto finale comporta esecuzione.
Con il terzo motivo di ricorso la parte contestava in radice i presupposti dell'eventus damni e del consilium fraudis. La Suprema Corte rileva però che la censura è sollevata in modo “criptico”, “un po' a volo d'uccello” e quindi confuso. In ogni caso la Corte osserva che nei gradi di merito il curatore aveva assolto all'onere probatorio in ordine all'eventus damni dimostrando l'insufficienza del residuo patrimonio del debitore fallito a garantire la soddisfazione delle ragioni dei creditori concorsuali come risultanti dallo stato passivo fallimentare. L'organo della procedura aveva infatti chiarito che il fallito non aveva ulteriori proprietà immobiliari oltre a quella oggetto della compravendita. Di fronte a tali prove spettava alla società terza acquirente fornire elementi di segno contrario per sostenere la capienza del patrimonio del debitore a garanzia del soddisfacimento dei creditori. Sotto altro profilo il ricorrente contestava la sussistenza del “danno” quale presupposto dell'azione revocatoria affermando che il creditore avrebbe potuto comunque insinuarsi in via privilegiata al passivo. Il tema è importante, tanto che la Corte – pur respingendo la censura in quanto non ammissibile perché non autosufficiente – ribadisce in ogni caso l'orientamento giurisprudenziale in base al quale ai fini della revoca della vendita di beni effettuata dall'imprenditore fallito, l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum legata all'uscita del bene dalla massa attiva. La Corte ribadisce che si tratta di una presunzione assoluta che non può essere vinta, né superata neppure se il prezzo ricavato dalla vendita sia stato poi utilizzato per pagare un creditore privilegiato. In altre parole la lesione delle regole del concorso è comunque sussistente dato che è solo con la ripartizione dell'attivo che si potrà tutt'al più verificare se il pagamento ha compromesso le ragioni dei creditori. Infine in ordine al consilium fraudis la Cassazione ripercorre le motivazioni della sentenza di appello ove si legge che il socio di maggioranza (al 95 %) della società acquirente era anche fideiussore e socio di fatto della fallita e quindi non poteva non essere a conoscenza dell'esposizione debitoria della stessa. Il ricorso viene in conclusione respinto e la sentenza impugnata viene confermata.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |