Ricorso per Cassazione c.d. assemblato e principio di autosufficienza

Sergio Matteini Chiari
18 Marzo 2021

È inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza (art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.), il ricorso per Cassazione confezionato mediante l'inserimento (in qualsiasi forma) di documenti eterogenei, senza che gli stessi siano stati correttamente giustapposti alle affermazioni di principio mediante proposizioni di collegamento o con indicazioni orientative.
Massima

È inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza (art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.), il ricorso per Cassazione confezionato mediante l'inserimento (in qualsiasi forma) di documenti eterogenei, senza che gli stessi siano stati correttamente giustapposti alle affermazioni di principio mediante proposizioni di collegamento o con indicazioni orientative, così da rendere incomprensibile il mezzo processuale, perché privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali e dei relativi presupposti sostanziali, nonché dell'illustrazione dell'errore asseritamente commesso dal giudice di merito e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo alla S.C. un'attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di spettanza del ricorrente.

Il caso

L'avvocato AAA, dichiarato distrattario delle spese processuali in vari provvedimenti giudiziali emessi nei confronti dell'I.N.P.S. nei primi anni 2000, dopo aver originariamente azionato esecutivamente il relativo credito con gli accessori fiscali e previdenziali, aveva successivamente agito con ulteriori atti di precetto per la quota di spese generali non liquidate nei predetti titoli.

Il G.E. respingeva l'istanza di assegnazione delle somme pignorate nella seconda delle suddette fasi, per indebita parcellizzazione del credito.

Il provvedimento veniva confermato dal Tribunale in sede di opposizione agli atti esecutivi proposta dal distrattario, sul rilievo che, in ragione di un ormai risalente orientamento giurisprudenziale, le spese generali dovevano ritenersi rientrare nel titolo a prescindere dal fatto che ivi fossero menzionate, così che l'aver proceduto esecutivamente solo per esse, a distanza di tempo rispetto alle azioni originarie, doveva ritenersi costituire un indebito frazionamento di un credito unitario.

L'avvocato distrattario proponeva ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, chiedendone l'annullamento.

L'I.N.P.S. resisteva con controricorso.

La questione

La questione che interessa in questa sede è consistita nello stabilire se fosse da ritenere ammissibile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3., c.p.c., un ricorso ove le doglianze di principio non apparivano sorrette sul piano argomentativo dalle specificazioni occorrenti, essendosi il ricorrente limitato ad assemblarvi dei documenti senza provvedere a ricostruire una connessione logica tra gli stessi né a dare indicazioni orientative per la giustapposizione degli stessi.

Le soluzioni giuridiche

A parere del ricorrente, la decisione gravata era meritevole di cassazione, non avendo tenuto in considerazione che al momento della notificazione del primo precetto la quota per spese generali, non menzionata nei provvedimenti di liquidazione, non avrebbe potuto essere richiesta, giacché il relativo diritto era stato riconosciuto come facente parte del titolo solo dalla giurisprudenza successiva. Legittima doveva, pertanto, ritenersi l'azione promossa in separata e successiva sede.

Per gli aspetti di principio, la Suprema Corte ha condiviso la tesi del ricorrente, osservando che, qualora i momenti di notificazione degli originari precetti fossero stati anteriori al maturarsi dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui le spese generali dovevano ritenersi rientrare nel provvedimento giudiziale-titolo esecutivo a prescindere dal fatto che di esse fosse stata ivi fatta menzione, si sarebbe potuto escludere che potesse ravvisarsi un indebito frazionamento delle pretese, considerato che l'esercizio della pretesa per le spese generali, per quell'epoca, non avrebbe potuto essere ragionevolmente ipotizzato.

La Suprema Corte ha, tuttavia, ritenuto il ricorso inammissibile, osservando che il relativo argomentare non risultava essere stato sorretto «dalla specifica affermazione e precisazione delle date di notificazione dei precetti».

Più specificamente, la S.C. ha rilevato che i contenuti argomentativi del ricorso, i quali, ai fini dell'osservanza dei principi di autosufficienza e di specificità, devono indispensabilmente emergere dall'atto a pena di inammissibilità, non recavano l'indicazione puntuale ed esatta delle suddette date - circostanza essenziale ai fini del decidere -, essendosi il ricorrente limitato ad interpolare nell'atto alcuni documenti (se ben si è compreso: atti di precetto e relate di notificazione - n.d.r.), senza provvedere ad una connessione logica tra gli stessi né ad affermarla.

La S.C. ha, inoltre, precisato che, anche se il principio di libertà delle forme di cui all'art. 121 c.p.c. consente di ammettere che nel contesto dell'atto-ricorso per Cassazione vengano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, tuttavia tale possibilità ed il principio di autosufficienza «nulla hanno a che vedere con i requisiti di contenuto del ricorso stesso, il quale deve consistere di motivi ed argomentazioni espressi mediante la concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi e non attraverso documenti o altre forme che impongono all'interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico e magari anche di individuazione delle connessioni logiche tra i documenti stessi»; altrimenti, si viene a rimettere totalmente «al giudice, quale destinatario dello scritto così formato, la declinazione di esso in forma argomentativa, se non anche l'attribuzione di significato e di rilevanza a fini impugnatori ai segni [….] in tal modo variamente riprodotti; il che non è consentito dall'art. 366 c.p.c. e dall'esigenza di specificità ad esso sottesa, la quale è da intendere, in una logica di chiarezza e auto-responsabilità, anche come necessaria espressione completa del senso del ricorso mediante un discorso linguistico organizzato ed interamente percepibile e comprensibile come tale».

Osservazioni

i) Il ricorrente ha affermato di ave agito nel pieno rispetto delle regole:

È vero che ho agito due volte sul fondamento dello stesso titolo, ma così ho fatto in quanto in origine la mia pretesa in qualità di distrattario delle spese di lite non aveva ad oggetto anche le spese generali, di cui non vi era menzione nel titolo e all'epoca non era ancora maturato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, a prescindere dal fatto che ne fosse fatta menzione, le spese generali dovevano ritenersi ivi automaticamente incluse. Maturato tale orientamento, ho agito nuovamente per l'integrale soddisfazione dei miei diritti. Non mi è, quindi, imputabile alcun indebito frazionamento della pretesa.

Per dare prova della mia correttezza, accludo o trascrivo gli originari atti di precetto e le relative relate di notifica.

ii) A tali assunti, la Suprema Corte ha così «replicato»:

Egregio ricorrente, per avere il seguito auspicato mediante la proposizione del ricorso, il tuo argomentare avrebbe dovuto essere completato mediante la «specifica affermazione e precisazione delle date di notificazione dei precetti»; ti sei, invece, limitato ad assemblare al ricorso dei precetti e delle relate di notifica, senza provvedere a costruire collegamento logico fra gli stessi e ti sei anche astenuto dal compiere indicazioni orientative; non hai, dunque, reso intelligibili i motivi di diritto dedotti ed i loro presupposti di fatto.

Così comportandoti, hai violato il precetto contenuto nell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., secondo cui il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità l'esposizione sommaria dei fatti della causa ed hai, altresì, violato il correlato principio di specificità.

Né potevi esigere dalla S.C. il compimento di un'attività consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, giacché tale incombenza, inerendo al contenuto del ricorso, è di spettanza del ricorrente.

iii) Stando alle indicazioni contenute nell'ordinanza in commento, il ricorso è stato redatto secondo la tecnica dell'«assemblaggio».

L'esposizione della doglianza è stata interpolata da documentazione (atti di precetto e relate di notifica) riprodotta testualmente o allegata in copia-incolla.

La S.C. non ha manifestato contrarietà a che l'atto-ricorso possa essere intercalato da documenti, in qualsiasi forma (riproduzione fotografica, trascrizione etc.), ma, ribadendo principi che debbono ritenersi ormai consolidati, ha affermato che, poiché i documenti erano stati interpolati nel ricorso alla rinfusa, vale a dire senza che si fosse provveduto né a ricostruire una connessione logica tra gli stessi né a dare esaurienti descrizioni orientative in proposito, la doglianza da avvalorare documentalmente doveva ritenersi essere stata meramente enunciata sul piano dei principi, restando incompleta sul piano argomentativo, derivandone violazione sia del principio di autosufficienza che del correlato principio di specificità e dovendo conseguirne, ineludibilmente, la dichiarazione di inammissibilità.

La S.C. ha, ulteriormente, precisato che non è esigibile dal giudice di legittimità la lettura integrale dei documenti, onerandolo della ricerca di quanto utile alla decisione e dei collegamenti.

Si vedano, per tutte le precedenti proposizioni, ex multis, Cass. civ., sez. VI, ord., 27 giugno 2017, n. 16059; Cass. civ., sez. VI, 22 febbraio 2016, n. 3385; Cass. civ., sez. VI, ord., 30 ottobre 2015, n. 22185; Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2014, n. 17698; Cass. civ., sez. VI, ord., 22 novembre 2013, n. 26277; Cass. civ., sez. VI, ord., 9 luglio 2013, n. 17002; Cass. civ., sez. VI, ord., 2 maggio 2013, n. 10244; Cass. civ., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2012, n. 1905.

iv) Il ricorso per Cassazione deve essere «autosufficiente»; deve, cioè, contenere tutto ciò che occorre per rendere possibile al giudice di legittimità una conoscenza, sufficientemente chiara e completa, dei fatti, sia sostanziali che processuali.

Il mancato puntuale rispetto di tale dovere comporta la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione.

Si vedano, in tal senso, nonché le pronunce citate nel punto che immediatamente precede, Cass. civ., sez. V, ord., 21 marzo 2019, n. 8009 e Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21297, ove è stato affermato che il dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, fissato dall'art. 3, comma 2, del c.p.a. (d.lgs. 104/2010), esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile.

Quanto alla «specificità», è stato chiarito che, pur trattandosi di un requisito non espressamente contemplato con riguardo ai motivi di ricorso per Cassazione, a differenza di quanto previsto dall'art. 342 c.p.c. per l'appello, tuttavia, ciò non significa che i motivi di ricorso per Cassazione possano essere aspecifici, quanto, piuttosto, che l'esigenza di prevedere espressamente tale requisito non era necessaria, dal momento che «il motivo di ricorso per Cassazione non può per ragioni intrinseche che essere specifico, giacché diretto a demolire il provvedimento impugnato in ragione della sussistenza di uno dei vizi normativamente previsti, con la conseguente necessità di individuare il vizio e spiegare in qual modo esso si annida nella decisione impugnata», assicurando così la sua chiara intelligibilità, nonché quella degli imprescindibili presupposti di fatto (Cass. civ., sez. I, ord., 24 aprile 2018, n. 10112 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. V, 21 maggio 2019, n. 13625).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.