Falso ideologico e riciclaggio: nuove “suggestioni” nei rapporti coi delitti presupposto

Ranieri Razzante
22 Marzo 2021

La falsità in provvedimenti giudiziari di attribuzione di somme di denaro a titolo di consulenze e compensi per un amministratore giudiziario costituisce, all'atto del pagamento, la fonte dell'utilità economica percepita dall'amministratore stesso: perciò, laddove quest'ultimo impieghi poi le somme in questione, si concretizza altresì il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter 1 c.p...
Massima

La falsità in provvedimenti giudiziari di attribuzione di somme di denaro a titolo di consulenze e compensi per un amministratore giudiziario costituisce, all'atto del pagamento, la fonte dell'utilità economica percepita dall'amministratore stesso. Per cui, laddove questi impieghi poi le somme in questione, si concretizza altresì il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter 1. c.p. È infatti in forza del decreto di pagamento che il compenso viene erogato e, anche se apparentemente dovuto, esso deriva da un illecito di tipo corruttivo, per cui non ne risulta diminuita la gravità indiziaria.

Il caso

Con ordinanza del Tribunale di Palermo si respingeva la richiesta di riesame, presentata nell'interesse di S.R.N., del decreto del GIP del Tribunale di Marsala di rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari personali nei confronti dell'indagato, in ordine ai reati di cui all'art. 648-ter 1 e art. 110 c.p., nonché art. 12-quinquies (oggi art. 512-bis c.p.).

La questione

Avverso l'ordinanza, si opponeva in Cassazione il PM di Marsala, sia per la violazione delle norme sostanziali relative alle fattispecie delittuose contestate, sia di quelle processuali che prescrivono l'obbligo di motivazione dell'ordinanza, nonché per la manifesta illogicità dei provvedimenti conseguenti al travisamento della prova.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in esame la Suprema Corte riteneva il ricorso fondato.

Qui interessa, per conferire una maggiore utilità al commento che segue, soffermarsi sulle questioni sostanziali, tralasciando – giammai per importanza – quelle processuali, che comunque appaiono più consolidate (ovvero consolidabili) in orientamenti già noti.

In primo luogo, i Supremi Giudici hanno affermato che la falsità (ideologica, ex art. 479 c.p.), verificatasi grazie al concorso di un Giudice che aveva emesso i provvedimenti di pagamento ad insaputa degli altri del Collegio, è dirimente rispetto al successivo riciclaggio; ne costituisce, come piace a chi scrive affermare, la “scaturigine”, altrimenti non staremmo qui a parlare – all'evidenza – nemmeno di delitto presupposto del riciclaggio come “qualsiasi delitto non colposo” previsto dall'originaria formula dell'art. 648-bis c.p. (su tutti, R. Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, Torino, 2020).

La configurabilità di un'ipotesi di reato presupposto, quindi, è pacifica in questa sentenza, e se si conferisce la giusta importanza ad una veloce “ricognizione mentale” della giurisprudenza in materia, il quid predicato risiede in una contestazione di falso ideologico, assai difficile (in via diretta) in subiecta materia.

Il riciclaggio (auto) origina cioè dal fatto che una somma all'imputato sia stata “legittimamente” pagata, attenzione! Ma a fronte di un documento di legittimazione falsato, poiché egli ha effettuato la sua prestazione d'opera, sembrerebbe, ma è stato retribuito attraverso una determinazione illegittima.

Il caso è, invero, un po' contorto, così come – non gioverebbe al lettore non evidenziarlo – la esplicitazione dei fatti nella sentenza che si annota.

Infatti, c'è un elemento singolare che lo caratterizza ulteriormente.

La prestazione gestoria è stata effettuata dall'indagato; qui si discute allora del fatto che essa sia stata “retribuita” e che l'incameramento della somma – come la Cassazione stessa lo definisce – “è avvenuto mediante la commissione di un altro e differente delitto rispetto a quello iniziale da cui la prestazione resa causalmente si discostava”.

La questione ulteriore che viene risolta dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, e che potrebbe apparire più “semplice”, riguarda l'assenza del concorso del ricorrente nel delitto presupposto (di falsità) paventata poiché – come noto – questa avrebbe risolto in nuce il problema dell'autoriciclaggio. Quest'ultimo reato – come tutti quelli suoi “progenitori” – si può, giova ribadirlo, contestare solo se non si ravvisa il concorso de quo.

Qui il falso lo commette il Giudice estensore del decreto suddetto, non rilevando – secondo la S.C. – il contenuto dello stesso, ma la mancanza della “collegialità” che gli è propria, sottaciuta agli altri Giudici e “al cospetto dell'indagato”.

Addirittura, la Corte deve intervenire – francamente, ci pare, in maniera superflua per chi ha sostenuto il contrario – per non ammettere, recisamente, che la presenza, negli incartamenti processuali, degli atti falsi, possa escludere il reato a valle.

La singolarità di questo caso sta proprio qui: la forma prevale sulla sostanza, almeno in prima battuta. Fermo rimanendo che, apparentemente contraddicendoci, ricordiamo che – alla fine – si è verificata una ingiusta (comunque) attribuzione patrimoniale, confluita su un conto corrente, tra l'altro cointestato ad imputato e coniuge, ed in seguito (addirittura) distratta a favore del conto fiscale dell'impresa gestita dalla coniuge de qua.

Osservazioni

Il reato, anzi la fattispecie di riciclaggio, si rivela sempre più un caleidoscopio di situazioni giuridiche, di interpretazioni e analisi giurisprudenziali e dottrinali.

A dispetto di quanto da più parti si afferma circa la scarsa numerosità dei procedimenti per riciclaggio e, soprattutto, delle relative condanne, va notato che questi sono considerevolmente aumentati negli ultimi cinque anni.

La sentenza qui annotata, seppur brevemente, conferma simili, positivi orientamenti.

L'opera nomofilattica della Suprema Corte ha intanto contribuito a rendere più chiari i contorni delle figure di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter 1 c.p., anche nel caso che qui ci ha occupati, con un reato presupposto “insolito”, il falso ideologico.

A dimostrazione che la categoria dei c.d. “delitti non colposi”, che sussume detti reati, è oltremodo vasta ed efficace ai fini della punibilità del riciclaggio.

Guida all'approfondimento

R. Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, Giuffrè, 2020;

R. Razzante, Le misure antiriciclaggio nel periodo covid-19 dagli organismi internazionali e nazionali, in Notariato, n. 4/2020;

R. Razzante, Il rischio di riciclaggio tra profili normativi e gestionali, in Rivista 231, n.4/ 2019;

R. Razzante, L'autoriciclaggio e i rapporti con i reati presupposto, in Rivista 231, n. 4/2014.

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