Concorso in bancarotta: fondamentale il giudizio controfattuale per evitare responsabilità fondate sulla sola posizione di garanzia

24 Marzo 2021

In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4, e 224 l. fall...
Massima

In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4, e 224 l. fall., per aver omesso di attivarsi per rimediare all'inerzia dell'amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravandone il dissesto, solo quando la situazione di insolvenza sia rilevabile dagli atti posti a loro disposizione, dovendo il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l'aggravamento del dissesto.

Il caso

Il giudice di legittimità è stato sollecitato dai ricorsi presentati dagli imputati avverso una sentenza che aveva confermata la loro condanna, quali sindaci di tre società dichiarate fallite appartenenti ad un medesimo gruppo, per avere concorso nel reato di bancarotta semplice impropria ex artt. 217, comma 1, n. 4) e 224, comma 1, n. 1) l. fall. con gli amministratori, i quali, astenendosi dal richiederne il fallimento, ne avevano aggravato il dissesto.

La responsabilità dei sindaci sarebbe discesa dall'avere omesso di convocare l'assemblea dei soci per denunziare le gravi irregolarità commesse e di presentare al Tribunale denuncia ai sensi dell'art. 2409, comma 7, c.c. chiedendo la revoca dell'organo amministrativo e la nomina di un amministratore giudiziario.

Tra i numerosi punti di doglianza, i ricorrenti avevano evidenziato l'assenza di motivazione circa l'individuazione delle fonti di conoscenza accessibili ai sindaci da cui avrebbero dovuto percepire gli indicatori dell'insolvenza e la ricorrenza dei presupposti per chiedere l'autofallimento – in assenza di elementi circostanziali rappresentativi della insolvenza stessa, tenuto conto che la compagine societaria godeva del sostegno del sistema bancario – oltre all'aver i giudici di merito obliterato ogni riferimento all'incidenza causale delle ipotizzate omissioni sull'aggravamento del dissesto.

La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi evidenziando che la sentenza presenta un radicale vuoto motivazionale quanto al giudizio controfattuale, che, come sopra precisato, costituisce un passaggio necessario per validare la tesi dell'eziologia della contestata condotta omissiva dei sindaci rispetto all'aggravamento del dissesto delle società del gruppo.

La questione

La questione in esame è la seguente: a quali condizioni è configurabile il concorso dei componenti del collegio sindacale, per omesso controllo, nel reato di bancarotta?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità dei sindaci a titolo di concorso omissivo nel reato di bancarotta (Cass.pen., n. 31163/2011; Cass.pen., n. 10186/2009).

Nei reati di bancarotta è ammissibile il concorso dei componenti del collegio sindacale con l'amministratore di una società, che può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo del controllo sindacale, il quale non si esaurisce in una mera verifica formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell'ambito della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione (Cass. pen., n. 14045/2006).

In particolare, in tema di bancarotta è configurabile il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall'amministratore della società anche a titolo di omesso controllo sull'operato di quest'ultimo o di omessa attivazione dei poteri loro riconosciuti dalla legge (in tema di bancarotta semplice documentale, Cass. pen., n. 34690/2005, specifica che la responsabilità del sindaco per l'omesso rilievo della irregolare tenuta delle scritture sociali non può essere esclusa deducendo incompetenza tecnica, posto che coloro che svolgono professionalmente una determinata attività hanno l'obbligo di conoscenza delle norme che la disciplinano e rispondono dell'illecito anche in virtù della colpa lieve).

Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni ex art. 2403 c.c. non è circoscritto all'operato degli amministratori, ma si estende a tutta l'attività sociale, con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e ricomprende, pertanto, anche l'obbligo di segnalare tutte le situazioni che mettano a repentaglio la prosecuzione dell'attività di impresa e l'assicurazione della garanzia dei creditori in relazione alle obbligazioni contratte con l'ente (Cass. civ., n. 2772/1999).

Per l'adempimento di tali compiti, il collegio sindacale è titolare di una serie di poteri che lo pongono senz'altro in condizione di assolvere compiutamente ed efficacemente all'incarico: può, infatti, procedere, in ogni momento, ad “atti di ispezione e controllo”, chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell'attività sociale o su determinati affari (art. 2403-bis c.c.), convocare l'assemblea societaria quando ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità (art. 2406 c.c.) e, all'occorrenza, denunziare al Tribunale le gravi irregolarità commesse dall'amministratore, per consentire all'Autorità giudiziaria di intraprendere le iniziative di sua competenza exart. 2409, comma 7, c.c. (Cass. pen., n. 44107/2018).

Pertanto, secondo l'indiscusso magistero del giudice di legittimità i componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall'amministratore della società anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. e ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Cass. pen., n. 18985/2016; Cass. pen., n. 17393/2007).

L'ampiezza dei doveri di controllo imposti ai sindaci ex art. 2403 c.c. non può limitarsi al mero controllo contabile (Cass. pen., n. 40815/2005), ma deve anche estendersi al contenuto della gestione, ai sensi del nuovo testo dell'art. 2403-bis c.c. e, per il passato, del previgente art. 2403, commi 1, 3 e 4, c.c., cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si risolve neppure in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo ai sindaci conferito il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni e su determinate operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione (Cass.pen., n. 18985/2016).

Solo un più penetrante controllo, fatto di attività informative e valutative, può dare concreto contenuto all'obbligo di tutela dei diversi interessi (soci, creditori) affidati ad un organo di controllo, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell'amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, mentre deve individuarle e segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell'inerzia all'aggravarsi del dissesto

Ad ogni modo la responsabilità appena descritta è ravvisabile a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all'art.40, comma 2, c.p., cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che inerisce alla loro funzione, sub specie dell'equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire ed il cagionarlo.

Invero, la responsabilità, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, del presidente e dei componenti del collegio sindacale, non può fondarsi sulla sola posizione di garanzia, siccome ricavabile dall'insieme delle norme civilistiche richiamate, e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula, secondo l'insegnamento impartito da questa cattedra nomofilattica, l'esistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, dimostrativi di un'omissione dei poteri di controllo e di vigilanza esorbitante dalla dimensione meramente colposa ed espressiva, piuttosto, di una volontaria partecipazione alle condotte distrattive degli amministratori, pur nella forma del dolo eventuale, vale a dire per la consapevole accettazione del rischio che l'omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori (Cass.pen., n. 12186/2019; Cass. pen., n. 15360/2010).

In proposito non è fuor di luogo rilevare che, secondo la linea ermeneutica unanimemente seguita dalla giurisprudenza civile di legittimità, per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407, comma 2, c.c. per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica, non è richiesta l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. (Cass. civ., n. 16314/2017; Cass. civ., n. 13517/2014), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.

Donde, si è condivisibilmente affermato che la responsabilità penale del sindaco può riconoscersi ove egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante - sotto l'aspetto causale - alla verificazione dell'evento ed abbia avuto la coscienza e la volontà di quel contributo, anche solo a livello di dolo eventuale; con il che intendendosi significare che non basta imputare al sindaco - e provare - comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, come può essere il disinteresse verso le vicende societarie (fonte indiscutibile di responsabilità civile), ma occorre la prova - che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria - del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell'amministratore. Tanto non implica la dimostrazione di un preventivo accordo del sindaco con chi amministra la società in relazione alle operazioni distrattive, potendo l'inerzia tenuta essere espressione di omissione collusiva.

Pertanto, una volta valutata positivamente la ricorrenza dei presupposti per avanzare la richiesta di fallimento che si assume omessa, l'esistenza di un nesso causale tra l'omissione e l'aggravamento del dissesto ed ancora la sussistenza di profili colposi nella condotta inerte degli amministratori nella estensione della sua massima gravità, la valutazione circa la configurabilità del concorso omissivo dei sindaci - quali titolari dell'obbligo di garanzia di cui all'art. 40 c.p. nella specifica forma dell'obbligo di impedimento della commissione del reato altrui - impone la valutazione di ulteriori questioni da parte del giudice di merito: a) la verifica se i sindaci, nel periodo di manifestazione degli indici di insolvenza, fossero in condizione di conoscere la reale situazione della società o comunque se fossero emersi segnali di allarme loro percepibili che avrebbero dovuto indurli a comprendere la ricorrenza dello stato di insolvenza; b) la verifica di natura controffattuale se, qualora le azioni omesse fossero state poste in essere, l'aggravamento del dissesto quale evento del reato si sarebbe egualmente verificato.

Osservazioni

La pronuncia in commento delinea gli elementi costitutivi della complessa fattispecie del concorso omissivo del collegio sindacale, titolare di un obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell' art. 40 c.p., nei delitti di bancarotta.

In tema, la struttura obiettiva del concorso omissivo improprio postula una inerzia legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si ha obbligo di impedire; in proposito il riferimento è alla causalità c.d. “ipotetica”, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio di certezza o comunque di probabilità logica, per cui si comprende come la risposta positiva alla verifica controfattuale (id est accertare se, qualora le azioni omesse fossero state poste in essere, l'aggravamento del dissesto quale evento del reato si sarebbe egualmente verificato), che condurrebbe alla inutilità del comportamento alternativo corretto, escluderebbe il reato.

È nota in argomento la difficoltà di valutare quali iniziative possano essere concretamente assunte dall'organo di controllo al fine di evitare la verificazione dell'evento, ed esse si identificano nel complesso dei poteri, certamente significativi, previsti dagli artt. 2403, 2403-bis, 2405, 2406 e 2409 c.c., ancorché la valutazione circa la loro effettiva capacità impeditiva non può che assumere rilievo casistico.

La tipicità della condotta omissiva del sindaco presuppone poi la conoscenza da parte di questi dei tratti essenziali e significativi del reato che si ha obbligo di impedire, i quali debbono essere sufficientemente determinati e che nel caso di specie sono costituiti, per l'appunto quali presupposti dell'agire che si assume omesso anche a seguito della emersione di segnali di allarme, dall'esistenza di indicatori dello stato di insolvenza e dei presupposti per avanzare domanda di autofallimento.

Il riferimento effettuato dalla Suprema Corte ai “segnali di allarme” (o anchec.d. red flags) rinvia all'omonima teoria secondo cui essi sono costituiti da segnali d'allerta cui, ove conosciuti e nel loro complesso, possa attribuirsi, con accertamento casistico, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto, ed è chiaro che le sottese valutazioni mutano in relazione all'elemento soggettivo richiesto per la punibilità del fatto.

L'appena citata teoria assume infatti particolare rilievo ove il concorso per omissione concerna un reato punibile soltanto a titolo di dolo, sicché la conoscenza, da qualsiasi fonte tratta, di una pluralità di elementi indicativi la sussistenza di un reato può giungere a significare, a carico del sindaco inerte, l'accettazione del rischio dell'evento, ovvero della effettiva verificazione di quel reato, nei termini del dolo eventuale.

Guida all'approfondimento

Corucci, Il concorso omissivo dei sindaci nei reati di bancarotta semplice impropria, in www.ilsocietario.it;

Pedrazzi, Tramonto del dolo?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, p. 1265 s.;

Stella- Pulitanò, La responsabilità penale dei sindaci di società per azioni, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, p. 553 s.

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