Sulle modalità di deduzione della tardività dell'intervento dei creditori nell'espropriazione immobiliare

25 Marzo 2021

La doglianza con la quale un creditore eccepisce la tardività dell'intervento di un altro creditore va qualificata come controversia attinente alla distribuzione della somma ricavata - da risolversi ai sensi dell'art. 512 c.p.c. - e non come opposizione agli atti esecutivi; la medesima, pertanto, può essere dispiegata anche nella fase finale della distribuzione.
Massima

La doglianza con la quale un creditore eccepisce la tardività dell'intervento di un altro creditore va qualificata come controversia attinente alla distribuzione della somma ricavata - da risolversi ai sensi dell'art. 512 c.p.c. - e non come opposizione agli atti esecutivi; la medesima, pertanto, può essere dispiegata anche nella fase finale della distribuzione, senza essere soggetta al termine di venti giorni di cui all'art. 617 c.p.c.

In tema di espropriazione immobiliare, la previsione, ex art. 565 c.p.c. secondo cui il limite temporale ultimo dell'intervento tardivo del creditore chirografario è «prima dell'udienza di cui all'art. 596 c.p.c.», deve intendersi nel senso che tale intervento è ormai precluso dopo che l'udienza abbia avuto inizio (nella data e nell'ora fissate) e si sia ivi svolta un'attività di trattazione effettiva, ancorché venga disposto, in esito ad essa, un rinvio in prosieguo, restando, invece, lo stesso ancora possibile se, in tale udienza, siano compiute attività esclusivamente dirette a rimediare ad una nullità impediente il suo normale svolgimento e finalizzate all'adozione del conseguente provvedimento, con fissazione di una nuova udienza ex art. 596 c.p.c., ovvero se l'udienza stessa non venga tenuta per mero rinvio derivante da ragioni di ufficio. In tali casi, l'intervento è ancora possibile prima dell'udienza di rinvio.

Il caso

Nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare, un fallimento e un istituto di credito esplicavano intervento successivamente all'udienza in cui il giudice dell'esecuzione disponeva la vendita delegandone le relative operazioni a un notaio.

Altri due creditori intervenuti deducevano il vizio di tardività dell'intervento verbalmente, dinanzi al giudice dell'esecuzione, e solo successivamente provvedevano a depositare comparsa di costituzione nel giudizio ex art. 512 c.p.c. reiterando l'opposizione al progetto di distribuzione.

La Corte d'appello di Bari, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale barese, innanzi al quale la procedura esecutiva era pendente, dichiarava la tardività di tali due interventi.

Il fallimento e l'istituto di credito proponevano dunque ricorso per Cassazione, denunciando, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione del principio del contraddittorio in relazione all'instaurazione della controversia distributiva ex art. 512 c.p.c., nonché la violazione dell'art. 565 c.p.c. in materia di intervento nella procedura esecutiva. Per riassumere le comuni censure spese dai suddetti creditori, essi lamentavano: a) l'irritualità della contestazione circa la tardività del loro intervento, avvenuta soltanto verbalmente all'udienza dinanzi al giudice dell'esecuzione, e solo successivamente confluita nella comparsa di costituzione nella controversia distributiva ex art. 512 c.p.c., di cui parimenti si lamentava l'irrituale instaurazione; b) l'individuazione del momento determinante al fine di verificare la tempestività dell'intervento, in particolare sulla base della considerazione per cui l'udienza predetta avrebbe dovuto essere considerata nel caso di specie «inutile» non avendo, il giudice dell'esecuzione, assunto alcun provvedimento in seno alla stessa.

La questione

La Suprema Corte è dunque chiamata a risolvere un duplice ordine di questioni: a) anzitutto, se la controversia distributiva ex art. 512 c.p.c. sia la sede corretta dove lamentare la tardività dell'intervento espletato da uno o più creditori e, in caso affermativo, se la denuncia di tale vizio che sia avvenuta verbalmente, dinanzi al giudice dell'esecuzione, possa essere considerata rituale; b) in secondo luogo, se l'udienza di autorizzazione per la vendita, assunta quale limite ultimo per esplicare intervento tempestivo, possa essere egualmente considerata come momento a tal fine determinante anche laddove non sfoci nell'assunzione di un provvedimento idoneo a dar corso alla procedura esecutiva.

Le soluzioni giuridiche

Nella risoluzione delle due questioni appena illustrate, la Cassazione richiama due orientamenti già vigenti nella giurisprudenza di legittimità, ai quali ritiene di dar seguito.

In relazione al primo punto - ossia, quello inerente alla correttezza del rimedio della controversia distributiva al fine di dolersi della tardività dell'intervento di un creditore, nonché alla ritualità della deduzione di tale vizio -, la Corte richiama il precedente di cui a Cass. civ., 1 aprile 2011, n. 7556, dove si è affermato che «la doglianza con la quale un creditore eccepisce la tardività dell'intervento di un altro creditore va qualificata come controversia attinente alla distribuzione della somma ricavata - da risolversi ai sensi dell'art. 512 c.p.c. - e non come opposizione agli atti esecutivi; la medesima, pertanto, può essere dispiegata anche nella fase finale della distribuzione, senza essere soggetta al termine […] di venti giorni […] di cui all'art. 617 c.p.c.».

Ciò chiarito, il provvedimento in commento richiama il principio affermato da Cass. civ., 26 febbraio 2008, n. 5006, secondo cui deve considerarsi del tutto rituale la contestazione relativa al credito anche da parte del creditore che non abbia, di per sé, proceduto all'iscrizione a ruolo della controversia distributiva e si sia limitato a dedurre verbalmente dinanzi al giudice dell'esecuzione.

È quanto esattamente avvenuto nel caso di specie dove, come illustrato in principio del presente commento, la tardività dell'intervento dei due creditori è stata denunciata verbalmente in udienza davanti al giudice dell'esecuzione, e solo successivamente trasfusa nella comparsa di costituzione nella controversia distributiva, instaurata e iscritta a ruolo successivamente a detta udienza.

In conclusione, la Suprema Corte ha identificatoil corretto rimedio per censurare la tardività dell'intervento nella controversia distributiva ex art. 512 c.p.c., e ha rilevato la ritualità, nel caso di specie, della modalità di deduzione di tale vizio: conseguentemente, ha rigettato in parte qua il motivo di ricorso per cassazione proposto dal fallimento e dall'istituto di credito.

Per quanto riguarda la seconda questione affrontata - ossia, quella inerente all'idoneità dell'udienza per l'autorizzazione della vendita che non sfoci in un provvedimento di vendita a essere assunta quale momento dirimente ai fini della valutazione della tempestività dell'intervento dei creditori -, la Cassazione, in prima battuta, rileva come, nel caso di specie, a tale udienza il giudice dell'esecuzione avesse in realtà disposto la vendita, delegandola a un notaio: con ciò, evidentemente, rilevando l'inesatta ricostruzione dei fatti di causa da parte dei ricorrenti. Ad ogni modo, il provvedimento in esame afferma come il momento determinante per la tempestività dell'intervento sia l'udienza per l'autorizzazione della vendita intesa quale modalità di interlocuzione e partecipazione delle parti alla determinazione del successivo svolgersi del procedimento espropriativo, anche se il provvedimento di vendita sia successivamente differito. A tal riguardo il provvedimento richiama il principio espresso da Cass. civ., 31 marzo 2015, n. 6432, secondo cui «In tema di espropriazione immobiliare, la previsione, ex art. 565 c.p.c. […] secondo cui il limite temporale ultimo dell'intervento tardivo del creditore chirografario è la «prima dell'udienza di cui all'art. 596 c.p.c.», doveva e deve intendersi nel senso che tale intervento è ormai precluso dopo che l'udienza abbia avuto inizio (nella data e nell'ora fissate) e si sia ivi svolta un'attività di trattazione effettiva, ancorché venga disposto, in esito ad essa, un rinvio in prosieguo, restando, invece, lo stesso ancora possibile se, in tale udienza, siano compiute attività esclusivamente dirette a rimediare ad una nullità impediente il suo normale svolgimento e finalizzate all'adozione del conseguente provvedimento, con fissazione di una nuova udienza ex art. 596 c.p.c., ovvero se l'udienza stessa non venga tenuta per mero rinvio derivante da ragioni di ufficio. In tali casi, l'intervento è ancora possibile prima dell'udienza di rinvio».

Anche con riguardo a tale profilo, dunque, le censure avanzate dai ricorrenti non sono state ritenute meritevoli di accoglimento: l'udienza svoltasi davanti al giudice dell'esecuzione non poteva qualificarsi come udienza di mero rinvio, nel senso indicato dalla massima appena riportata, sicché è con riguardo ad essa che doveva essere valutata la tempestività dell'intervento svolto dai creditori. Poiché, nel caso di specie, i due creditori ricorrenti sono intervenuti successivamente a tale udienza, il loro intervento non poteva che essere considerato tardivo, con conseguente rigetto del ricorso per Cassazione proposto.

Osservazioni

Come chiarito in sede di illustrazione delle soluzioni giuridiche, la Cassazione, con il provvedimento in commento, dà continuità a due principi precedentemente affermati in sede di giurisprudenza di legittimità.

In tema di intervento nell'espropriazione immobiliare, l'art. 565 c.p.c., in linea con quanto disposto dalla disciplina generale di cui all'art. 500 c.p.c., stabilisce che l'intervento dei creditori è considerato tardivo se spiegato oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita o per l'assegnazione, e in particolare se il relativo ricorso sia depositato successivamente all'apertura di tale udienza.

A tal riguardo, occorre tuttavia osservare che la massima richiamata dal provvedimento in commento, di cui a Cass. civ., n. 6432/2015, che distingue tra udienza di effettiva trattazione e udienza di rinvio si riferisce all'udienza di distribuzione - intesa quale limite temporale ultimo di intervento tardivo -, mentre nel caso di specie si trattava di verificare la tempestività dell'intervento, con riguardo all'udienza di autorizzazione alla vendita. Più pertinente, allora, appare Cass. civ., 18 gennaio 2012, n. 689, nel senso che l'intervento debba essere considerato tempestivo anche se avvenuto oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita quando questa sia stata differita, sempreché l'intervento sia avvenuto prima dell'emissione dell'ordinanza di vendita di cui all'art. 569 c.p.c.

Il richiamato art. 565 c.p.c. provvede, come accennato, a fissare anche un termine ultimo per esplicare intervento (tardivo) nell'espropriazione immobiliare, coincidente con l'avvenuta formazione del progetto di distribuzione di cui all'art. 596 c.p.c.

La tempestività (o tardività) dell'intervento, lo si ricorda, rileva per quanto concerne il trattamento riservato ai creditori in sede di distribuzione del ricavato. La tardività dell'intervento, in particolare, si riflette negativamente sui creditori chirografari i quali, a norma dell'art. 565 c.p.c., concorrono alla distribuzione della parte di somma ricavata che residua dopo la soddisfazione del creditore pignorante, di quelli intervenuti tempestivamente, nonché dei creditori iscritti o privilegiati intervenuti tardivamente (i quali, a norma del successivo art. 566 c.p.c., concorrono alla distribuzione della somma ricavata in ragione dei loro diritti di prelazione). Da qui, risulta evidente l'importanza che può assumere, per il singolo creditore, essere qualificato come interveniente tempestivo o tardivo.

Venendo all'istituto di cui all'art. 512 c.p.c., esso comprende tutte le controversie che, nella fase della distribuzione del ricavato, possono insorgere tra il singolo creditore e il debitore o il terzo assoggettato all'esecuzione, ovvero tra più creditori concorrenti. La domanda veicolata in tale controversia è generalmente qualificata come di accertamento negativo della legittimità del progetto di distribuzione, sicché oggetto del relativo giudizio è il diritto, di consistenza processuale, di partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Ne deriva che i motivi spendibili in sede di controversia distributiva siano tutti quelli idonei a produrre una modifica del piano di riparto, nel senso di eliminare un creditore concorrente ovvero ottenerne una diversa collocazione.

In tale quadro, la contestazione circa la tardività dell'intervento, potendo avere quale conseguenza un trattamento deteriore in sede di distribuzione del ricavato - e, dunque, una postergazione del creditore nell'ordine di distribuzione delle somme -, viene appunto a qualificarsi quale controversia distributiva ex art. 512 c.p.c.

Per quanto attiene ai profili processuali delle controversie distributive, come ben rilevato nel provvedimento in commento, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità come le stesse possono essere alternativamente instaurate con ricorso da notificarsi alle altre parti del processo esecutivo ovvero, come avvenuto nel caso di specie, direttamente in udienza, con dichiarazione da inserire nel relativo verbale.

Riferimenti

Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza citata nel testo, a:

  • Barreca, L'intervento dei creditori e il piano di riparto nelle procedure esecutive immobiliari riformate, in REF, 2007, 27;
  • Capponi, L'opposizione distributiva dopo la riforma, in Il processo esecutivo, Bologna, 2008; Carratta, Le controversie in sede di distribuzione fra diritto al “concorso” e “sostanza” delle ragioni creditorie, in Corr. giur., 2009, 569;
  • Crivelli, Appunti in tema di opposizione all'intervento, in www.inexecutivis.it, 2018;
  • Desiato, Intervento tardivo del creditore privilegiato non munito di titolo esecutivo, in Riv. dir. proc., 2016, 1714;
  • Merlin, Le controversie distributive, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, II, Milano, 2006;
  • Travi, Intervento dei creditori nell'esecuzione, in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962;
  • Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2010.

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