L'impugnazione della delibera condominiale tra giurisdizione privata e pubblica

26 Marzo 2021

Non esiste una riserva di competenza esclusiva a favore del giudice civile concernente l'impugnativa delle delibere condominiali, che, non rientrando in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c., possono quindi essere anche devolute alla giurisdizione privata arbitrale - irrituale o rituale -.
Massima

L'art. 1137, comma 2, c.c., nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell'assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali, d'altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c.

Il caso

Il caso trae spunto dall'impugnazione di una deliberazione dell'assemblea condominiale nella parte in cui la stessa dispone la rimozione dell'insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello posti su parti comuni, stante la cessazione dell'attività commerciale esercitata dalla stessa parte ricorrente.

In particolare, viene impugnata la decisione con la quale, il giudice di prime cure e successivamente, la corte di merito, dichiarano improcedibile l'azione intentata nei confronti del condominio, in forza della clausola arbitrale di cui al Regolamento condominiale, sussistendo la competenza arbitrale per tutte le controversie che dovessero insorgere tanto nell'adempimento del presente Regolamento quanto nell'uso della comproprietà, qualora non potessero essere sistemate dall'amministratore, oppure si originassero tra amministratore e proprietario, dovendosi all'uopo nominare un arbitro amichevole difensore, ovvero un collegio di arbitri, che giudicheranno inappellabilmente secondo equità, prosciolti da formalità di giudicato.

La questione

La quaestio juris riguarda il perimetro di operatività della clausola compromissoria arbitrale inserita nel Regolamento condominiale, con la quale, si devolvono alla competenza degli arbitri tutte le controversie che dovessero insorgere tanto nell'adempimento dello stesso Regolamento quanto nell'uso della comproprietà riguardante le parti comuni dell'edificio.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione rigetta il ricorso, sostanzialmente condividendo quanto statuito dalla Corte d'appello che - in presenza di una clausola compromissoria di natura irrituale, come desumibile dalla qualificazione degli arbitri quali «amichevoli compositori», che prevede il deferimento agli stessi di qualsiasi controversia tra amministratore e singoli condomini comunque riguardante l'uso della comproprietà - ha ricompreso nelle attribuzioni del collegio arbitrale l'impugnazione di una deliberazione assembleare concernente la rimozione di manufatti esistenti su parti comuni.

A tale fine, i giudici di legittimità precisano che la dedotta nullità della delibera impugnata, perchè asseritamente in contrasto con un precedente accordo transattivo costitutivo di un assetto convenzionale dei diritti dei contendenti sui beni comuni per cui è causa, nonchè l'erroneità dei presupposti di fatto su cui essa poggia, non investono diritti o situazioni sottratte alla disponibilità delle parti, rientrando nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle ragioni di invalidità di tale delibera.

Osservazioni

I giudici di legittimità, con la pronuncia che si annota, dopo avere ribadito il principio che in tema di condominio, il generale potere di cui all'art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali contrarie alla legge od al Regolamento compete esclusivamente al proprietario della singola unità immobiliare, ragion per cui, la correlata legittimazione ad agire per impugnare le suddette deliberazioni difetta in nuce quando l'attore non è un condomino (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2018, n.27162), si sofferma sull'esame del primo motivo del ricorso, riguardante il perimetro di applicabilità di una clausola compromissoria di natura irrituale inserita nel regolamento condominiale, nella fattispecie concreta, riguardante una controversia riferita all'impugnazione della delibera condominiale con la quale si disponeva la rimozione dell'insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello posti su parti comuni.

Mentre in dottrina (Celeste) si è osservato che «da un lato, l'art. 1137, comma 2, c.c. concepisce il diritto soggettivo del condomino quale facultas agendi a tutela di interessi direttamente protetti dall'ordinamento giuridico, e, dall'altro, non esclude affatto la compromettibilità in arbitri delle controversie relative alle impugnative di delibere assembleari, conseguendone la legittimità della norma del Regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria in tale senso e l'obbligo vincolante di chiedere la tutela all'organo arbitrale designato come competente», nella sentenza in epigrafe si fa diretto rinvio al noto e risalente orientamento formatosi in tema di impugnabilità delle delibere assembleari condominiali devoluta esclusivamente all'autorità giudiziaria, ribadendo il principio che l'art. 1137 comma 2 c.c. laddove concepisce il diritto soggettivo del condomino quale facultas agendi non esclude affatto la compromettibilità ad arbitri delle relative controversie, non rientrando in alcuno dei divieti previsti dagli artt. 806 e 808 c.p.c., con l'effetto di considerare legittima la norma del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria, e, conseguentemente, vincolante l'obbligo di adire l'organo arbitrale designato come competente (Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 1986, n.73; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1984, n. 3406; Cass. civ., sez. II, 20 giugno 1983, n. 4218.

Un'autorevole dottrina (Celeste) ha tenuto a precisare che soltanto una clausola che demandi la controversia della decisione ad arbitri può sottrarre la medesima alla cognizione dell'autorità giudiziaria, ragione per cui «la clausola del regolamento condominiale che preveda, per i casi di contrasto tra condomini, l'obbligo di esperire un tentativo di amichevole composizione presso l'associazione fra i proprietari dei fabbricati, non integra una clausola compromissoria, la quale presuppone la rinuncia all'azione giudiziaria e dà luogo ad una cognizione di carattere arbitrale suscettibile di definire la controversia».

E' bene puntualizzare che sebbene il caso esaminato nella sentenza in commento riguardi una clausola compromissoria in arbitrato «irrituale», tale principio - riguardante la compromettibilità in arbitrato dell'impugnazione di una delibera condominiale ai sensi dell'art. 1137 c.c. - non può non valere anche per l'arbitrato in modalità «rituale».

La Cassazione ha, inoltre, precisato che l'eccezione con la quale si deduce l'esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale non comporta una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria - come invece si verifica nel caso di clausola compromissoria per arbitrato rituale - ma solo l'improcedibilità della domanda, con la conseguenza che la citata eccezione non è vincolata ai limiti temporali dell'eccezione di incompetenza, ma, avendo natura sostanziale, può essere fatta valere in ogni momento del giudizio, potendosi anche proporre per la prima volta anche in appello (Cass. civ., sez. I, 5 settembre 1992, n.10240; Cass. civ., sez. I, 18 febbraio 1985, n. 1367; Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1979, n. 6054; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Monza, 20 luglio 2004; Trib. Milano, 14 novembre 1996).

Al riguardo, si è altresì osservato che il Regolamento convenzionale di condominio, anche quando non sia materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale, fa comunque corpo con esso se espressamente richiamato ed approvato, di guisa che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel tessuto del singolo contratto di acquisto dell'unità immobiliare, in tale ipotesi, trattandosi di richiamo operato da entrambe le parti contraenti, sulla cui scorta, l'intesa negoziale rimane fuori della previsione legislativa dell'art. 1341, comma 2 c.c. (App. Torino 4 maggio 1984).

In dottrina (Celeste), si fa un'importante distinzione tra mero rinvio per relationem e «recepimento» del Regolamento condominiale in occasione del trasferimento della proprietà immobiliare, osservando al riguardo che «il regolamento condominiale, in altre parole, quando è recepito nel contesto dell'atto di trasferimento dell'appartamento, non deve considerarsi come qualcosa di estraneo al consenso manifestato in quella sede e non presuppone una ulteriore manifestazione di volontà».

A diversa conclusione su tale questione giunge però altra dottrina (Triola), laddove ritiene che la clausola compromissoria non vincolerebbe gli aventi causa del condomino, che potrebbero così rivolgersi al giudice civile, perché «l'acquirente di un appartamento in un condominio succede, infatti, nella sola titolarità del bene e non anche nella posizione del venditore in ordine ai contratti da questi stipulati con riferimento a tale bene, ma che non comportino pattuizioni di natura reale opponibili a terzi; tale conclusione varrebbe anche nell'ipotesi in cui, nell'atto di acquisto, il compratore abbia dichiarato espressamente di accettare il Regolamento di condominio nel quale è inserita la predetta clausola, in quanto quest'ultima opera tra gli attuali condomini, per cui è del tutto inefficace una accettazione da parte dell'acquirente nei confronti del venditore, con il quale non possono insorgere controversie di natura condominiale».

In tale ottica, ad esempio, è stato affermato che la clausola compromissoria per arbitri rituali, contenuta nel Regolamento di condominio a carattere contrattuale, in quanto predisposto dall'unico originario proprietario ed inserito quale parte integrante dell'atto di compravendita di una singola unità immobiliare, è valida ed opera i suoi effetti a favore della competenza arbitrale, anche se la clausola medesima non sia stata specificamente approvata per iscritto dal compratore (App. Milano, 9 giugno 1981).

Fermo restando che l'applicazione della clausola compromissoria contenuta in un Regolamento di condominio non può essere estesa a questioni che nei rapporti condominiali possono avere trovato la loro occasione, ma che in realtà dipendono dall'interpretazione di norme generali che tutelano diritti di carattere assoluto la cui fonte è estranea alla disciplina del condominio (Trib. Milano, 28 dicembre 1989; in dottrina, anche su tale quaestio, si rinvia alla conforme opinione espressa da Celeste).

Del resto, il presupposto per l'applicazione della suddetta norma, è che taluna delle clausole specificamente indicate sia contenuta in un contratto per adesione, cioè concluso in base alla predisposizione di condizioni generali da parte di uno dei contraenti ed approvato dall'altro con un mero atto di adesione, oppure che la clausola stessa sia inserita in un contratto concluso mediante l'impiego di moduli e formulari, il cui contenuto sia stato predisposto per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti negoziali.

Infatti, sempre secondo il citato orientamento di legittimità, il legislatore impone l'approvazione specifica per iscritto delle clausole particolarmente onerose, al fine di assicurare il corretto funzionamento del meccanismo contrattuale e la reciproca uguaglianza delle parti nella formazione del contratto, che può essere pregiudicata in danno del contraente più debole dalla mancata preventiva discussione dei patti, in modo che l'approvazione specifica di tali clausole, la quale offra la certezza che esse siano state conosciute ed accettate, valga ad eliminare il pregiudizio inerente alla difficoltà di avvertire e discutere, nella fase precontrattuale, la natura e la portata delle clausole medesime.

Ebbene, tale situazione non si verifica quando come accaduto nella fattispecie scrutinata nella sentenza in commento, la formazione del contratto è caratterizzata da un'effettiva e sostanziale cooperazione delle parti - acquirente e venditore dell'unità immobiliare - nell'approvazione delle singole clausole, compresa quella che dispone il richiamo del vigente regolamento di condominio, la quale inevitabilmente comporta l'espressione di una manifestazione di volontà da entrambe le parti interessate alla stipula dell'atto di compravendita.

Infine, premesso che, ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c., se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, un orientamento giurisprudenziale di merito ha ritenuto che la decisione sulla sospensione della delibera condominiale non comporti esercizio della giurisdizione cautelare riservato, anche in presenza di clausola compromissoria, sempre all'autorità giudiziaria ordinaria (Trib. Monza 20 luglio 2004, cit.), perché il procedimento di impugnazione delle delibere condominiali è disciplinato dall'art. 1137 c.c., il quale prevede solo la forma dell'opposizione ed il termine ed anche, ma sempre all'interno dello stesso iter procedimentale la possibilità di ottenere la sospensione dell'esecuzione. Tale assunto giurisprudenziale, muove dalla considerazione che esiste una sostanziale diversità tra il procedimento cautelare uniforme disciplinato dagli artt. 669-bis e ss. c.p.c. ed il procedimento di cui all'art. 1137 c.c., premesso che non vi è neppure la possibilità di ottenere la sospensiva della delibera condominiale impugnata ante causam in quanto la sola proposizione del ricorso impugnatorio introduce anche il giudizio sulla stessa validità della delibera assembleare senza necessità di ulteriori iniziative processuali da parte del condomino opponente.

Riferimenti
  • Briguglio, Problemi e particolarità della scelta arbitrale per le liti del condominio, in Riv. arbitrato, 2000, 391;
  • Celeste, La composizione arbitrale del contenzioso condominiale in Riv. giur. edil., 1999, 189;
  • Ditta, L'arbitrato nelle controversie condominiali e locatizie, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 77;
  • Triola, Regolamento di condominio e clausola contrattuale, in Giust. civ., 1986, I, 1372.

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