Donazione di beni futuriFonte: Cod. Civ. Articolo 771
30 Marzo 2021
Inquadramento
La donazione di beni futuri nel nostro ordinamento è espressamente vietata dall'art. 771 c.c.. Il divieto ha origini antiche e deve essere considerato di ordine pubblico. L'art. 771 c.c. recepisce detto divieto e mostra chiaramente i contorni operativi dello stesso. In particolare afferma come sia vietata qualsiasi donazione di beni futuri, ancorché sia ricompresa in una maggior donazione. In tale ultima ipotesi rimane salva la donazione di beni presenti e la nullità colpisce solo quella parte di donazione relativa a beni futuri non preoccupandosi di indagare se il donante volesse donare soltanto l'intero compendio di beni, presenti e futuri, ma affermando sempre la validità per la donazione dei beni esistenti nel patrimonio del donante. Il divieto conosce solo alcune eccezioni, normativamente disciplinate; in particolare, sono ammesse le donazioni di frutti non ancora separati e le donazioni di prestazioni periodiche, seppur con il limite della morte del donante.
Inoltre, è esplicitamente ammessa la donazione di universalità di beni, con la specifica previsione che se all'universalità si aggiungono beni in futuro essi devono considerarsi compresi nella donazione (art. 771 comma 2 c.c.). Il fondamento del divieto
Il divieto di donazioni di beni futuri è un divieto espresso nel nostro ordinamento, manifestazione della politica legislativa di generale disfavore per tutte quelle disposizioni senza corrispettivo che hanno per oggetto beni non presenti nel patrimonio del disponente al momento della manifestazione dell'intento dispositivo. Da tale prima osservazione emerge con chiarezza la correlazione con il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.); infatti, donare un insieme di beni, presenti e futuri, richiama con facilità il concetto di disporre del patrimonio che formerà oggetto della futura successione del donante, ma tale disposizione può essere attuata solo per testamento. Inoltre, sottostante al divieto, vi è il chiaro disfavore per liberalità effettuate senza una cognizione sufficiente del sacrificio patrimoniale che ne derivi. La finalità perciò dell'ordinamento è proteggere ciascuno da se stesso, ponendo un limite al potere di impoverimento e frenando il rischio di prodigalità. Il limite consentito alla prodigalità del donante è, pertanto, quello della appartenenza attuale dei beni donati al donante medesimo. Mancando infatti l'attualità dello spoglio egli potrebbe non rendersi esattamente conto dell'importanza del gesto che compie. Tale valutazione, nel donante, è stimolata in diversi modi, il primo, naturalmente nelle forme della donazione (atto pubblico alla presenza necessaria dei testimoni), il secondo nella necessità ex art. 769 c.c. che lo stesso disponga di «un suo diritto», fatto giuridico che si evince anche dall'art. 771 comma 1 c.c. che richiede che il bene non solo sia «presente» ma anche «del donante».
Ad esempio, il donante Paolo dona all'amica Lucilla la casa che il cugino Giovanni sta costruendo per lui. Poiché la casa non esiste ancora e non è nemmeno di proprietà di Paolo egli non sa se tale casa gli costerà, gli piacerà e gli servirà. Inoltre, se al momento della donazione Paolo ha già una casa di abitazione, così potrebbe non essere al momento della esecuzione della donazione a favore di Lucilla. L'ordinamento, con il divieto di cui all'art. 771 c.c., protegge Paolo da se stesso ed evita che si spogli di un bene di cui non solo non conosce l'esatto valore in assoluto, ma non è nemmeno in grado di conoscere il valore in relazione al suo patrimonio rispetto al momento futuro in cui il bene diventerà suo o verrà ad esistenza. Diversa è invece l'ipotesi in cui Paolo acquisti da Giovanni la suddetta casa in corso di costruzione, stipulando ai sensi dell'art. 1411 c.c. a favore di Lucilla per spirito di liberalità nei suoi confronti, o permuti un suo bene presente con la casa in corso di costruzione, sempre a favore di Lucilla: in entrambi i casi Lucilla è beneficiaria di una donazione indiretta, il cui oggetto è rappresentato dalla casa quale bene futuro (Cass. SS.UU. civ., 5 agosto 1992, n. 9282). Tuttavia, mentre nella donazione diretta del bene futuro vi è corrispondenza immediata tra il bene uscito dal patrimonio del donante e il bene entrato nel patrimonio del beneficiario, nella donazione indiretta manca tale corrispondenza, non facendo parte del patrimonio del disponente l'oggetto della liberalità indiretta. Proprio per questa ragione si ritiene ammissibile la donazione indiretta di un bene futuro in tutti i casi in cui il disponente esaurisca la propria prestazione al momento della conclusione del negozio mezzo (ad esempio con il pagamento di una somma di denaro come prezzo della vendita o con il trasferimento di un proprio bene a titolo di permuta per far conseguire ad un terzo il bene futuro) posto che la futurità riguarda solo l'arricchimento del beneficiario e non invece il depauperamento del disponente. Lo stipulans, infatti, ha contezza immediata del sacrificio economico dell'operazione indipendentemente dal valore effettivo che l'immobile avrà al momento della venuta ad esistenza, escludendosi pertanto ogni rischio di eccesso di prodigalità, alla base del divieto di cui all'art. 771 c.c. Donazione di beni altrui
Nel nostro ordinamento sono possibili negozi su beni futuri come anche su beni altrui, ma solo per i negozi a titolo oneroso (come la vendita di bene futuro ex art. 1472 c.c. o di bene altrui ex art. 1478 c.c.), allo scopo precipuo di alimentare il commercio, avvantaggiare la contrattazione ed assicurare la produzione. Questa esigenza non sussiste nelle donazioni, operando invece la necessità di circoscrivere e limitare la prodigalità. Si è a lungo dibattuto sulla validità della donazione di beni altrui, ossia di beni che - pur esistendo in natura - non appartengono al donante al momento in cui viene compiuto l'atto di liberalità. Prima dell'intervento delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. Civ., 15 marzo 2016, n. 5068), era controverso se un siffatto negozio fosse sussumibile nella donazione di beni futuri, e perciò nullo ai sensi dell'art. 771 c.c., ovvero se costituisse una fattispecie produttiva di effetti immediatamente obbligatori. La dottrina e la giurisprudenza avevano prevalentemente ritenuto che la donazione di cosa altrui fosse nulla (v. Cass. 20 dicembre 1985, n. 6544; Cass. 18 dicembre 1996, n. 11311; Cass. 5 maggio 2009, n. 10356; Cass. 23 maggio 2013, n. 12782; Trib. Vallo della Lucania 13 aprile 1992; Trib. Reggio Calabria 30 aprile 2004 e App. Reggio Calabria 23 novembre 2006) per contrasto con il divieto di donazione di beni “oggettivamente” futuri di cui all'art. 771 c.c. da estendersi anche alla donazione di beni “soggettivamente” futuri, ossia altrui. Anche una lettura storica del codice civile avvalorava la tesi dell'invalidità di tale donazione, ricordando come l'attuale art. 771 c.c. fosse allineato con l'art. 1064 del codice del 1865, ed evidenziando il principio secondo cui oggetto di donazione possono essere solo i beni presenti del donante: ne conseguiva non solo la nullità della donazione avente ad oggetto beni esclusivamente futuri, ma anche che, in caso di donazione che comprendesse beni tanto presenti quanto futuri, questa fosse valida solo relativamente ai primi. L'unica pronuncia, che si discostava da tale orientamento, era la Cass. 5 febbraio 2001, n. 1596, la quale ha affermato l'inefficacia della donazione di beni altrui come valida donazione obbligatoria improduttiva di effetti reali, stante la natura eccezionale del divieto di cui all'art. 771 c.c. (da applicarsi alla sola donazione di beni non presenti in rerum natura) e attesa la previsione della garanzia per evizione disciplinata dall'art. 797 c.c., la cui operatività si riteneva presupporre l'altruità della cosa. A questa tesi si replicava che, producendosi in capo al donante l'effetto obbligatorio di procurare il bene, tale donazione mostrava identità di problematiche con la donazione di beni non ancora venuti ad esistenza; infatti, i rischi di prodigalità e di mancata percezione dell'importanza del gesto sussistevano in egual modo. Nessuno dei due orientamenti dubitava comunque della capacità di detto negozio di costituire titolo idoneo per l'usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. , dovendosi avere riguardo alla idoneità in astratto e non in concreto a determinare il trasferimento del diritto reale: l'acquisto del diritto infatti si sarebbe verificato se il donante fosse stato titolare dello stesso. Anche a ritenere la donazione invalida, pertanto, se la nullità era dipesa dalla sola altruità del diritto, la donazione può e deve giudicarsi al contempo nulla e astrattamente idonea (v. Cass. civ., sez. II, sent., 5 maggio 2009, n. 10356; Cass. 23 maggio 2013, n. 12782; più risalenti ma nello stesso senso: App. Milano 7 dicembre 1954; App. Lecce 11 maggio 1966; Cass. 23 giugno 1967, n. 1532). Il contrasto tra i suddetti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali è stato superato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2016 (a seguito della rimessione operata dalla Cass., sez. II, ord., 23 maggio 2014, n. 11545), relativamente alla donazione da parte di un coerede della quota di un bene indiviso compreso in una più ampia massa ereditaria. Nel ritenere che tale atto dispositivo abbia ad oggetto un bene altrui, non potendosi prima della divisione ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante (non configurandosi quindi la sussistenza, accanto alla “quotona”, di una “quotina”, ossia di una quota sul singolo bene, diversamente da quanto sostenuto dalla risalente Cass. 13 agosto 1964, n. 2308), le Sezioni Unite hanno affermato la nullità della donazione di beni altrui sulla base però di una motivazione diversa. La nullità infatti non discende dall'applicazione in via analogica della nullità prevista dall'art. 771 c.c. per la donazione di beni futuri, ma dalla mancanza della causa del negozio di donazione. Ai sensi infatti dell'art. 769 c.c., l'appartenenza del bene oggetto della donazione in capo al donante costituisce elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale la causa tipica del contratto stesso non può realizzarsi. Laddove quindi le parti non siano consapevoli dell'altruità del bene donato, o il donante ritenga per errore che il bene sia proprio o ancora il donante sia in mala fede perché - pur consapevole dell'altruità del bene - non l'ha comunicata al donatario al quale ha fatto intendere di essere pieno proprietario, la donazione è da ritenersi nulla per difetto di causa ex artt. 769, 1418, comma 2, e 1325 c.c., non potendo il donante disporre con effetti traslativi immediati di un bene non suo. Le Sezioni Unite, tuttavia, distinguono il citato caso patologico dall'ipotesi in cui la donazione sia effettuata “mediante assunzione di una obbligazione, nella quale oggetto dell'obbligazione del donante sia il trasferimento al donatario di un bene della cui appartenenza ad un terzo le parti siano consapevoli” e ciò “risulti da un'apposita espressa affermazione dell'atto pubblico”. Secondo le Sezioni Unite, quindi, la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, salvo che la stessa sia configurata quale donazione obbligatoria con cui il donante assume l'obbligo di acquistare la proprietà del bene dall'effettivo proprietario: al riguardo si potrebbe ritenere che la suddetta obbligazione di dare implichi un doppio trasferimento quale modalità di adempimento oppure si potrebbe ritenere non necessario tale doppio passaggio, applicando analogicamente quanto previsto dall'art. 1478, comma 2, c.c.
I frutti pendenti
La donazione può avere validamente ad oggetto frutti naturali e civili non ancora separati, per espressa previsione normativa (art. 771 comma 1 c.c.). Il legislatore ha correttamente esplicitato tale possibilità, perché la qualificazione giuridica dei frutti pendenti e non ancora separati è quella di cosa mobile futura ai sensi dell'art. 820 c.c.. La espressa previsione normativa costituisce una deroga al divieto di donazione di beni futuri e proprio per il suo carattere di eccezionalità si deve ritenere che essa sia applicabile alla sola ipotesi prevista, ovvero quella di frutti già esistenti e ancora pendenti, con esclusione perciò di quelli non ancora venuti a maturazione. L'art. 771 comma 2 c.c. prevede l'ipotesi in cui oggetto della donazione sia un'universalità di cose e a tal fine detta una disciplina specifica. La prima osservazione evidente è che non esiste alcun divieto per la donazione di universalità di beni; anzi, la disciplina dettata costituisce una deroga al divieto di donazione di beni futuri. Infatti, qualora il donante si riservi il godimento dell'universalità di beni, è ben possibile che la consistenza dell'insieme muti e gli incrementi successivi, quindi futuri rispetto alla donazione, devono considerarsi ricompresi. Sotto il profilo tecnico, si deve richiamare una annosa questione: è un'unica donazione con più oggetti ovvero sono più donazioni e precisamente tante quanti sono i beni donati? La questione non è soltanto prettamente teorica, poiché in relazione alla risposta il donatario potrebbe scegliere se accettare solo alcuni beni, accettando le singole donazioni, o invece essere costretto ad accettare tutti i beni ovvero a rinunciarci integralmente. Un'antica giurisprudenza ha statuito di considerare l'atto composto da una pluralità di donazioni, salvo l'accertamento di una diversa ed inequivocabile volontà espressa o implicita delle parti (v. Cass., sent., 9 novembre 1974, n. 3490). In base a tale giurisprudenza, perciò, la deroga al divieto di donazione di beni futuri si manifesta evidente. È, d'altronde, altrettanto palese come tale deroga sia dettata non tanto in relazione alla futurità dei beni, quanto all'unitarietà di destinazione dei beni che compongono un'universalità. Le prestazioni periodiche
Le donazioni di prestazioni periodiche, evidentemente anche per periodi futuri rispetto al momento della donazione, sono espressamente consentite dall'art. 772 c.c. con il solo limite della morte del donante. La donazione di prestazioni periodiche rientra nella categoria delle donazioni obbligatorie, con la particolarità che la liberalità è unica al momento della donazione e l'esecuzione della stessa è periodica. La lettera della norma non esplicita se essa costituisca un'eccezione al divieto di donazione di beni futuri o meno. Chi ne afferma la natura derogatoria, ne desume una lettura restrittiva, in base alla quale le uniche prestazioni periodiche che con certezza possono essere oggetto di donazione sono solamente quelle che abbiano finalità alimentare o comunque di soccorso e supporto, ovvero di beneficenza. In effetti, sussiste il rischio che l'autonomia delle parti, personalizzando in maniera esagerata le prestazioni periodiche possa, attraverso questo negozio, eludere il divieto di cui all'art. 771 c.c.. Casistica
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