01 Aprile 2021

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 01, ord. pen. limitatamente alle parole «né sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale».

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 01, ord. pen. limitatamente alle parole «né sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale».

Nell'espungere dal sistema penitenziario la preclusione di accesso alla detenzione domiciliare per il condannato ultrasettantenne che abbiano riportato condanne con l'aggravante della recidiva – in accoglimento della quaestio di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 1, ord. pen. sollevata dall'Ufficio di sorveglianza di Milano – la Corte Costituzionale (sentenza n. 56/21, depositata il 31 marzo) compie preziose indicazioni sulla recidiva e dell'impropria estensione dei suoi confini nella fase esecutiva, ridimensionando ampiamente la sua eventuale incidenza negativa sui presupposti applicativi delle misure alternative alla detenzione.

La prospettiva del giudice a quo. Chiamato a decidere su un'istanza di detenzione domiciliare proposta da un condannato di 78 anni, di un condannato con un residuo di pena da scontare di altri 14 anni per una serie di reati fallimentari e tributari, come statuito da sentenze di condanna, alcune delle quali avevano applicato la “recidiva”, il Magistrato di sorveglianza di Milano, dovendo rigettare l'istanza visto il divieto previsto dalla disposizione censurata, decideva di percorrere la strada dell'incidente di costituzionalità. Ciò in quanto la recidiva non esprimerebbe un giudizio di maggiore pericolosità del condannato, incidendo “a monte” sulla commisurazione della pena; mentre “a valle” (ossia in sede esecutiva) violerebbe la censurata preclusione assoluta sia il principio di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. che la funzione rieducativa ai sensi dell'art. 27, comma 3, Cost. che rimane congelata, rendendo vani gli sforzi risocializzanti del detenuto.

Il favor domiciliari per gli ultrasettantenni. I Giudici delle leggi ritengono fondate le questioni, ricordando la regola generale per i condannati ultrasettantenni: la possibilità di scontare la pena dentro le mura domestiche e non quelle carcerarie.

Trattasi di una disciplina favorevole rispetto a quella prevista nel successivo comma 1, lett. d), dello stesso art. 47-ter ord. pen. che consente di espiare la pena in detenzione domiciliare al condannato che abbia compiuto 60 anni, alla duplice condizione che 1) il residuo da scontare non sia superiore a quattro anni; 2) che il condannato sia inabile, anche parzialmente.

Presunzione relativa: pena umana per l'ultrasettantenne-detenzione domiciliare. Il favor della disposizione portata all'attenzione della Consulta si spiega, da un lato, in ragione della presunzione di diminuita pericolosità sociale per il condannato che abbia raggiunto i 70 anni; dall'altro, e soprattutto, il legislatore presume dall'ulteriore presunzione che il carico di sofferenza associato alla permanenza in carcere cresca con l'avanzare dell'età, con conseguente bisogno di cure e assistenza che difficilmente gli possono essere garantite in contesto intramurario.

Il tratto di umanità della pena, che trova voce e spazio all'interno dello stesso perimetro costituzionale del comma 3 dell'art. 27, suggerisce di far scontare a casa (e non in carcere) la pena. Trovandosi conferma, sul versante cautelare, dell'impossibilità di applicare la custodia carceraria nei confronti di chi abbia compiuto i 70 anni (salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza) applicandosi pertanto gli arresti domiciliari pure in presenza di esigenze cautelari che, qualora l'imputato fosse stato più giovane, avrebbero consentito il ricorso alla misura carceraria.

Contro-presunzione assoluta... Così come avviene in materia cautelare, il favor per l'esecuzione domiciliare per gli ultrasettantenni non è tuttavia incondizionato. Infatti, lo stesso art. 47, comma 01, prevede delle ipotesi in cui considera venga meno una delle due presunzioni: quella di attenuata pericolosità del condannato. Si tratti di condanne riportate per alcune tipologie di reati (attinenti alla sfera sessuale, o compresi nell'ombrello dell'art. 4-bis, ord. pen. o in quelli dell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p.); di chi si stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; e infine chi sia stato condannato in passato con l'aggravante della recidiva. Trattasi però di una presunzione “assoluta” che rende in questi casi senza alternative l'esecuzione intramuraria.

… illegittima in parte qua (per i recidivi). Proprio tale assolutezza viene colpita dalle scure di incostituzionalità. La Consulta ricorda che la disposizione censurata è l'unica in ambito penitenziario dalla quale si fanno discendere conseguenze radicalmente preclusive di una misura alternativa a carico di chi sia stato condannato con qualunque forma di recidiva tra quelle previste nell'art. 99 c.p.

L'irragionevolezza del meccanismo preclusivo col sistema si coglie se si confronta la disposizione censurata con l'art. 58 ord. pen.: mentre solo una recidiva reiterata osta ad una seconda concessione di una misura alternativa (e dunque alla concessione di tutte le ipotesi di detenzione domiciliare diversa da quella in esame), qui la recidiva semplice osta in radice alla detenzione domiciliare, nonostante abbia ad oggetto una categoria di detenuti – gli ultrasettantenni – rispetto ai quali la vita carceraria risulta particolarmente gravosa.

La recidiva non è sinonimo di pericolosità “attuale”. L'avvocatura generale sosteneva la bontà costituzionale della norma posto che la recidiva è condizione di una maggiore pericolosità del condannato che il legislatore non avrebbe irragionevolmente valorizzato per negare a tale categoria di condannati l'accesso alla misura alternativa de qua.

La Corte Costituzionale per è persuasa da tale argomento in quanto la recidiva guarda al fatto di reato commesso (quindi al passato), e non può costituire una “macchia indelebile” per il futuro. In armonia con volto costituzionale di una pena flessibile, individualizzata, umana, ove si esaltano i progressi rieducativi nel corso del trattamento intra o extra murario, la recidiva si pone come un incongruo ostacolo, di immane staticità, in antitesi con la fluidità e l'osservazione del condannato.

La recidiva fotografa il passato ed è notevolmente distante (nel tempo e nell'oggetto) dalla meritevolezza della misura alternativa. La Consulta ricorda che la disposizione censurata fa discendere in modo automatico un effetto preclusivo della detenzione domiciliare da un giudizio svolto tempo prima dal giudice della cognizione, avente un oggetto diverso da quello relativo alla concreta meritevolezza del condannato ad essere ammesso a siffatta misura alternativa, sulla base delle circostanze presenti al momento dell'esecuzione della pena.

La recidiva, insomma, fotografa una condanna pregressa, una sorta di quid pluris di pericolosità che cristallizza il momento dell'inflizione della pena. Tale fotografia assume già contorni sfocati ed è già superata sul nastro di partenza dell'esecuzione penale. Infatti – ad eccezione dei condannati per i delitti 4-bis – occorre tenere presenti i comportamenti compiti verso il rientro nei binari della legalità penale dalla commissione del reato al momento in cui il Tribunale di sorveglianza decide sull'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione.

Occorre una valutazione della magistratura della sorveglianza. A fortiori, proiettare gli effetti della recidiva addirittura quale paletto insuperabile di una norma penitenziaria “favorevole” (negando l'accesso alla detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni) significa raffigurare il condannato recidivo come “pericoloso per sempre”, in contrasto con il corso risocializzante cui deve tendere la pena.

Ne discende l'intrinseca irragionevolezza dell'art. 47 comma 01 ord. pen., limitatamente all'inciso «né sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale», anche in rapporto ai principi di rieducazione e umanità della pena.

Scenari futuri: sentenza apripista? Difficile prevedere se la sentenza n. 56 del 2021 rimanga isolata o costituisca una prima tappa di abbattimento delle altre contro-presunzioni assolute di persistente pericolosità del condannato previste all'interno dell'art. 47 comma 01 ord. pen.

Si auspica che dopo la rivoluzione copernicana attuata dalla storica sentenza n. 253/19 – con la caduta del muro delle presunzioni assolute nel doppio binario e l'abbattimento dell'endiadi tra collaborazione con la giustizia (quale condicio sine qua non per accedere ai permessi premio, che a breve potrebbe essere esteso dalla Corte costituzionale alla liberazione condizionale, dopo il breve rinvio previsto all'udienza del 23 marzo scorso) e rieducazione, dopo le preziose aperture della Corte EDU nella sentenza Viola n. 2 contro Italia – si espungano dall'ordinamento penitenziario tutte le preclusioni assolute di accesso alle misure alternative alla detenzione.

Fonte: Diritto e Giustizia

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.