Detenuti al 41-bis e COVID-19: sono ammessi i colloqui a distanza con i figli minorenni?

01 Aprile 2021

Il Tribunale per i minorenni è palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti; competenza che non può essere in alcun modo fatta discendere da quella per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità dei genitori. Ne consegue l'inammissibilità della questione di legittimità...

Il Tribunale per i minorenni è palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti; competenza che non può essere in alcun modo fatta discendere da quella per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità dei genitori. Ne consegue l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni con riferimento alla disciplina dei colloqui a distanza dei detenuti prevista dalla normativa emergenziale.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 57/2021, depositata il 31 marzo.

Emegenza COVID-19: colloqui a distanza con i figli minorenni negati ai detenuti al 41-bis. Disciplina incostituzionale? La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, d.l. n. 29/2020, a norma del quale, al fine di prevenire il rischio di diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, dal 19 maggio 2020 e sino al 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i detenuti possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l'amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica, che può essere autorizzata oltre i limiti stabiliti dalla normativa vigente.

Sul presupposto che la disposizione in questione sia applicabile esclusivamente ai colloqui dei detenuti in regime ordinario, il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria la censura nella parte in cui non consente che si svolgano tramite collegamento audiovisivo a distanza anche i colloqui con i figli minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale di cui all'art. 41-bis, comma 2, l. n. 354/1975 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).

Le censure del giudice a quo. Secondo il rimettente, la norma emergenziale denunciata violerebbe l'art. 3 Cost., introducendo una disparità di trattamento fra i figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale e i figli minorenni dei detenuti in regime ordinario, non giustificabile con le finalità proprie del cosiddetto “carcere duro”, le quali non possono legittimare, comunque sia, misure che, per il loro contenuto, non siano riconducibili a concrete esigenze di ordine e sicurezza: profilo sotto il quale il divieto indiscriminato dei colloqui audiovisivi a distanza, a prescindere da una verifica in concreto dell'esistenza delle esigenze di sicurezza e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi, rappresenterebbe una misura sproporzionata.

Per il giudice a quo, sarebbero violati, altresì, gli artt. 2 e 30 Cost., per la compressione del diritto inviolabile del minore a mantenere rapporti affettivi con il genitore detenuto e del reciproco diritto fondamentale di quest'ultimo al mantenimento delle relazioni familiari; l'art. 31, comma 2, Cost., che impone alla Repubblica di proteggere l'infanzia; l'art. 32 Cost., posto che l'impossibilità di fruire per un lungo lasso di tempo di contatti audiovisivi con il genitore detenuto – stanti gli ostacoli ai colloqui in presenza connessi all'emergenza epidemiologica da COVID-19 – sarebbe fonte di pregiudizio per l'integrità psico-fisica del minore; e, ancora, l'art. 27, comma 3 Cost. per cui la pena non può contrastare con il senso di umanità e deve mirare al recupero sociale del reo, al qual fine assume centrale rilievo il mantenimento dei rapporti familiari ed, in particolare, genitoriali.

Viene denunciata, infine, la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, i quali, rispettivamente, vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il diritto al rispetto alla vita familiare.

Il Tribunale per i minorenni non ha competenza sui colloqui dei detenuti: questione inammissibile. In via preliminare ed assorbente, la Consulta ritiene che l'esame nel merito della questione di legittimità costituzionale sia precluso dall'inammissibilità della medesima per difetto di competenza del giudice a quo.

Ed infatti, per costante giurisprudenza, stante l'autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto a quello dal quale la questione proviene, il difetto di competenza del Giudice rimettente – al pari del difetto di giurisdizione – determina l'inammissibilità della questione, per irrilevanza, solo quando sia palese, ossia riscontrabile ictu oculi (cfr., ex plurimis, Corte Cost., n. 136/2008, n. 144/2011 e n. 318/2010): secondo il Giudice delle leggi, tale ipotesi ricorre nella fattispecie.

Il rimettente è, infatti, un Tribunale per i minorenni investito di procedimenti civili de potestate, che lo hanno portato a dichiarare decaduti dalla responsabilità dei genitori due detenuti in regime speciale, condannati a lunghe pene per reati di stampo mafioso, e ad impartire una serie di disposizioni a tutela del benessere psico-fisico e del corretto sviluppo della personalità dei loro figli minorenni. In questo ambito, il rimettente si trova investito di istanze con le quali i due detenuti chiedono di essere autorizzati ad effettuare colloqui audiovisivi a distanza con i figli, tramite strumenti informatici: istanze in rapporto alla cui decisione il giudice a quo ha reputato rilevante la questione sollevata.

Il rimettente, tuttavia, risulta palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti: competenza che non può essere in alcun modo fatta discendere da quella per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità dei genitori, riconosciuta al tribunale per i minorenni dall'art. 38 r.d. n. 318/1942 (Disposizioni per l'attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie).

Ed infatti, per espressa indicazione della legge penitenziaria (art. 18, comma 10, ord. pen., art. 37, commi 1 e 2, d.P.R. n. 230/2000), i colloqui – ma anche la corrispondenza telefonica e gli “altri tipi di comunicazione” – dei detenuti sono autorizzati, per gli imputati fino alla sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria che procede; dopo tale sentenza e per i condannati in via definitiva (quali i detenuti istanti nei giudizi a quibus), dal direttore dell'istituto, i cui provvedimenti sono suscettibili di reclamo davanti al magistrato di sorveglianza.

La Corte dichiara, quindi, inammissibile la questione di legittimità costituzionale.

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