06 Aprile 2021

In una vicenda che ha visto protagonista un alunno, ancora minorenne, nel commettere atti di ingiuria, minaccia e violenza privata ai danni di un'insegnante, il Tribunale di Sondrio ha condannato lo stesso (medio tempore divenuto maggiorenne) in solido coi genitori, a risarcire il danno morale soggettivo patito dal docente.

La vicenda. Un docente ha convenuto in giudizio un alunno, ed i suoi genitori, chiedendo il risarcimento dal danno subito a seguito di quattro episodi di violenza privata e minaccia (artt. 610 e 612 c.p.), posti in essere in suo danno dal ragazzo. Per quanto concerne le condotte ingiuriose, nonostante la depenalizzazione, il giudice civile le ha ritenute comunque fonte di responsabilità non patrimoniale, in quanto astrattamente configurabili quali illeciti penali.

La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.. Il Tribunale, unitamente alla responsabilità del ragazzo, autore materiale delle condotte, ha ravvisato una responsabilità ex art. 2048 c.c. dei genitori che, rispetto al minore, si ponevano in posizione di garanzia ed in funzione educativa.
Citando alcune pronunce di legittimità (Cas.Civ. nn. 4395/12 e n. 3964/14), il giudice di merito ha osservato che la disposizione contenuta all'art. 2048 c.c. si riferisce al figlio comunque minore di età, postulando la necessità di una costante opera educativa, al fine di realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza, come anche della protezione della propria e altrui persona, da ogni accadimento consapevolmente illecito.

La prova liberatoria. L'ultimo comma dell'articolo in parola («Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto») contempla un peculiare regime probatorio che, anche nella specie, trattandosi di responsabilità per fatto altrui, consente a colui che si trova nella posizione di garanzia di liberarsi degli effetti risarcitori sullo stesso gravanti, ma solamente nell'ipotesi in cui dimostri di aver integralmente adempiuto al dovere di educare la prole attraverso uno sviluppo, nella stessa, «di una adeguata capacità critica e di discernimento».
Secondo il Giudice di legittimità (Cas.Civ. n. 26200/11) l'inadeguatezza dell'educazione impartita al minore può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità in cui si è esplicato il fatto illecito, le quali possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore di età.
Nella specie, i genitori del ragazzo non hanno fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 2048 c.c.. Ancor più in particolare, i genitori, per superare la presunzione di colpa prevista dall'art. 2048 c.c., hanno l'onere di fornire non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), bensì quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata, ed il tutto in conformità alle condizioni sociali e familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore. Per l'effetto, l'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 c.c. («…obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'art. 315-bis»).

La quantificazione dei danni subiti. Al fine della liquidazione del danno morale soggettivo derivante da reato, è necessario tenere in considerazione ogni circostanza del caso concreto (Cass. n. 14752/00):

- gravità del reato

- entità delle sofferenze patite dalla vittima

- età

- sesso

- grado di sensibilità del danneggiato

- dolo o grado di colpa dell'autore dell'illecito

- realtà sociale ed economica in cui vive il danneggiato.

Il danno morale. Ulteriormente, nel 2008 le Sezioni Unite chiarirono che il danno morale deve essere inteso quale patema d'animo o sofferenza interiore, perturbamento fisico, di natura emotiva e interiore (cd. danno morale soggettivo).
Con il termine “danno morale” si indica uno dei molteplici e possibili pregiudizi di natura non patrimoniale, ovvero la sofferenza soggettiva e interiore causata dal reato, in sé considerata, bensì pure il pregiudizio derivante dalla lesione della dignità e integrità morale della persona, come massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'articolo 1 della carta di Nizza contenuta nel trattato di Lisbona, dovendosi valutare, per le finalità risarcitorie, sia l'aspetto interiore del danno sofferto sia le conseguenze che incidono sul profilo dinamico e relazionale della persona (si veda anche Corte di Cassazione, Ordinanza numero 5820 del 2019).
Ove il fatto generatore sia rappresentato da una condotta penalmente rilevante, l'onere probatorio che grava sul danneggiato viene agevolato dalla possibilità di ricorrere ad elementi presuntivi che, secondo il Tribunale, risultano nella specie configurabili, ovvero un danno morale patito dall'insegnante come conseguenza dei fatti di reato commessi dal convenuto. Il danno risulta configurabile in capo all'attore, come immediato destinatario dell'altrui condotta delittuosa, atteso che, peraltro, le aggressioni fisiche e morali determinano, nella generalità dei casi, un turbamento dell'animo.

I parametri liquidatori di indole “equitativa”. Ai fini della liquidazione del pregiudizio, di natura non patrimoniale, e quindi derivante dalla lesione di diritti della persona differenti dalla salute, bisogna far riferimento a criteri equitativi, dovendosi quindi valutare l'effettiva entità ed intensità:

- della violazione della libertà morale e fisica,

- della dignità della persona offesa,

- del turbamento psichico cagionato,

- delle conseguenze sul piano psicologico,

- della proiezione di tali effetti nel tempo,

- dell'incidenza del fatto dannoso sulla personalità della vittima.

Inoltre, nella quantificazione del danno, è necessario finanche tener conto della particolare intensità del dolo. Detta valutazione non fa assumere al risarcimento del danno non patrimoniale valenza sanzionatoria, tuttavia non si può trascurare che il dolore del danneggiato risulta maggiore quando la condotta del soggetto danneggiante sia sostenuta da una precisa volontà di far del male ed offendere.

La liquidazione in concreto. Nella specie, il Tribunale ha considerato le concrete modalità delle condotte poste in essere dal ragazzo in danno dell'insegnante, da cui si evince:

- l'intensità del dolo,

- la reiterazione delle stesse,

- la reazione della vittima la quale ha denunciato il fatto agli inquirenti,

- l'idoneità delle condotte ad accrescere la sofferenza della vittima, in quanto poste in essere di fronte alla platea degli studenti del docente, come pure a riverberarsi nell'ambito lavorativo dello stesso insegnante.

Per l'effetto, il Tribunale ha riconosciuto come equo, nei confronti del docente, il risarcimento del danno quantificato nella complessiva somma di euro 14.500, già attualizzata e comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, al cui pagamento sono stati condannati, in solido tra di loro, tutti i soggetti convenuti (autore delle condotte, medio tempore divenuto maggiorenne, unitamente ai propri genitori).

(Fonte:

DirittoeGiustizia.it

)

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