Emanuele Bruno
09 Aprile 2021

La prima sezione civile della Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla questione della revocabilità dell'incasso derivante dalla vendita di un bene costituito in pegno consolidato, cui risulta strettamente collegata l'ulteriore questione se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l'ammissione del credito al passivo ai sensi dell'art. 70, comma 2 L.F., in via chirografaria, possa o meno ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, che implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum.

Il caso. Veniva chiesta la revoca del pagamento incassato da una banca e riveniente da pegno regolare.

Il titolare di pegno regolare deve insinuarsi al passivo fallimentare. In materia si registrano per alcuni aspetti soluzioni ormai certe e, per altri, soluzioni ancora controverse.

Tra le prime va annoverata quella secondo cui, qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall'ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare in base al quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l'obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento, con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito, «dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione» (Cass., Sez.Un., 4507/ 2004; Cass. 2818/2018).

Creditore pignoratizio insinuato al passivo come creditore chirogrario. Inoltre,qualora, a seguito del positivo esperimento di un'azione revocatoria fallimentare, il creditore pignoratizio che abbia escusso la garanzia, incamerando il ricavato della vendita di titoli ottenuti in pegno, sia condannato a restituirne l'importo, lo stesso ha diritto ad insinuarsi al passivo solo in via chirografaria nella misura del pagamento revocato, senza che possa rivivere l'originaria garanzia, dal momento che il credito che può essere insinuato ai sensi dell'art. 70, comma 2, l. fall. non è quello originario, ma un credito nuovo che nasce dall'effettiva restituzione e trova fonte direttamente nella legge» (Cass. Sez. VI-1, 5/10/ 2018, n. 24627).

Due orientamenti contrapposti. I Supremi Giudici, in materia di pegno regolare, hanno dato atto anche della esistenza di due orientamenti contrapposti.

Il primo negava che, una volta consolidatasi la garanzia, fosse revocabile l'incasso rinveniente dalla vendita del bene dato in pegno, «atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l'azione revocatoria, e la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di un'indiretta revoca della garanzia» (Cass. n. 18439/2004, Cass. n. 26898/ 2008).

Il secondo e contrario orientamento afferma che la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile, ai sensi dell'art. 67 l. fall., non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l"'eventus damni" deve considerarsi "in re ipsa ", consistendo nella lesione della "par condicio creditorum" ricollegabile all'uscita del bene dalla massa in forza dell'atto dispositivo, e non potendosi escludere "a priori" il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo» (v. Cass. Sez. I, ord. n. 16565 del 22/06/ 2018; cfr. Cass. n. 17358/2016, in motivazione; Cass. n. 25571/2010; Cass. n. 7563/2011).

Sul tema è intervenuta quindi la I sez. Civile che, con l'ordinanza interlocutoria n. 8923/21, ha rimesso la questione al Primo Presidente perché ne valuti l'assegnazione alle Sezioni Unite.

Rimessione alle Sezioni Unite. I Giudici di legittimità, all'esito delle argomentazioni riportate, hanno osservato che a fronte di una garanzia consolidata e dunque pienamente efficace nei confronti della massa, una volta ricostituito l'attivo distribuibile attraverso la revoca del "pagamento" realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita, la degradazione al chirografo del credito originariamente garantito integrerebbe essa stessa - in difetto di una azione di revoca dell'atto costitutivo della garanzia - una lesione della par condicio creditorum, per giunta in chiave sanzionatoria, quando invece la ratio della revocatoria fallimentare è semplicemente attrarre la soddisfazione del credito garantito in sede concorsuale.

Proprio la rilevata contrapposizione di orientamenti e diritti ha quindi determinato la rimessione della questione al Primo Presidente per l'eventuale trasmissione alle Sezioni Unite.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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