L'estradizione di cittadini dell'UE verso Paesi terzi

Marina Ingoglia
09 Aprile 2021

È stata diffusa da EUROJUST una Relazione congiunta del predetto organo europeo e della Rete Giudiziaria europea (RGE) sull'estradizione di cittadini dell'UE verso Paesi terzi per fare il punto della situazione sulle tutele che il cittadino dell'Unione ha quando tale soggetto, trovandosi in uno degli Stati dell'Unione, è destinatario di una richiesta di estradizione da parte di un Paese terzo...
I principali risultati dell'analisi

La premessa da cui partire è l'assenza di norme dell'Unione disciplinanti l'estradizione tra gli Stati membri e uno Stato terzo, ma è tuttavia necessario attuare tutti i meccanismi di cooperazione e di assistenza reciproca esistenti in materia penale in forza del diritto dell'Unione al fine di scongiurare il rischio di impunità tutelando nel contempo i cittadini dell'Unione contro misure che possano privarli del diritto di libera circolazione, ai sensi dell'art. 21 T.F.U.E.

È sorta, di conseguenza, da parte dell'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione giudiziaria (EUROJUST) e della Rete Giudiziaria europea (RGE) la necessità di analizzare le modalità di trattamento a livello pratico delle domande di estradizione di cittadini dell'UE presentate da Paesi terzi.

La Relazione congiunta di Eurojust e della RGE si basa su un'analisi dei casi Eurojust registrati dopo la pronuncia della sentenza Petruhhin nel Settembre 2016 e sull'esperienza della RGE.

Eurojust e la Rete Giudiziaria Europea hanno usato differenti metodologie nell'elaborazione del Report.

Eurojust ha analizzato 72 casi, riferentisi, in buona parte, al supporto richiesto ad Eurojust al fine di acquisire informazioni rilevanti dallo Stato di nazionalità sul cittadino estradando.

In alcuni casi, la persona richiesta è ritornata nello Stato Membro di nazionalità prima che il meccanismo di consultazione avesse luogo o fosse portato a compimento, non prospettandosi in tal caso alcuna questione applicativa.

In almeno un caso trattato da Eurojust, il soggetto richiesto ha espresso il consenso ad essere estradato appena possibile, ma, poi, all'udienza per l'estradizione, avendo cambiato volontà, si è opposto all'estradizione. Lo Stato Membro richiesto, allora, ha deciso di procedere con il meccanismo di consultazione.

Anche la Rete Giudiziaria europea ha analizzato un simile scenario, ponendosi l'interrogativo se vi fosse o no l'obbligo di informare lo Stato Membro di nazionalità.

La Rete Giudiziaria Europea ha trattato i casi elaborando un questionario al fine di raccogliere ogni informazione dallo Stato terzo, dallo Stato richiesto e dallo Stato Membro di nazionalità sulle esperienze avute in materia di estradizione.

Una delle possibilità esaminate e discusse ha avuto ad oggetto il raggiungimento di un accordo tra lo Stato terzo e lo Stato di nazionalità sulla presa in carico da parte di quest'ultimo dell'esecuzione di pena detentiva del soggetto estradando, nativo nel proprio territorio.

Il Report dà conferma del fatto che l'applicazione di casi trattati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea solleva “several practical and legal issues”.

Primo fra tutti la necessità dello Stato Membro richiesto di mettere a confronto la normativa europea con gli impegni concordati, su base convenzionale, con il Paese terzo richiedente, a mezzo trattati di estradizione bilaterali o multilaterali.

Le questioni applicative, in ambito interno europeo, riguardano principalmente la identificazione dell'Autorità competente nello Stato Membro di nazionalità, l'attribuzione dei compiti di traduzione delle informazioni richieste, i termini entro i quali lo Stato di Nazionalità deve pronunciarsi sulla decisione se perseguire sul proprio territorio la persona richiesta.

Nella maggior parte dei casi la procedura di consultazione preventiva dello Stato di nazionalità non ha condotto al trasferimento del caso nello Stato di origine del cittadino dell'Unione, soprattutto considerandosi lo Stato terzo come il luogo migliore per proseguire l'esercizio dell'azione penale, siccome commesso nel suo territorio, e, dunque, ci si è mossi in tale direzione nella prospettiva di condurre l'attività investigativa verso risultati migliori sotto il profilo dell'evidenza probatoria.

Lo studio mette in luce molto chiaramente che lo Stato Membro di nazionalità spesso decide di non procedere contro il proprio cittadino e di non emettere un MAE contro il predetto per non avere interesse a farlo, in assenza di pendenze giudiziarie sul soggetto estradando.

Il trasferimento è stato verificato soltanto quando il cittadino dell'Unione è simultaneamente perseguito per lo stesso fatto nel proprio Stato, oltre che nello Stato terzo.

Eurojust ha individuato soltanto due casi nei quali la procedura di consultazione ha avuto un risultato positivo.

Lo Stato Membro di nazionalità ha manifestato interesse a perseguire la persona richiesta poiché per il medesimo fatto di reato – per il quale era stata avanzata richiesta di estradizione da parte dello Stato terzo - vi erano simultaneamente investigazioni nel proprio territorio.

In entrambi i due scenari, non vi è stata l'emissione di MAE in assenza del pericolo di fuga (no flight risk).

Lo Stato Membro di nazionalità ha chiesto allo Stato Membro richiesto di respingere la richiesta di estradizione e di rimettere in libertà il proprio connazionale lo stesso giorno per ricondurlo nel Paese di origine per ivi procedere contro di lui.

Nel secondo dei casi, vi è stata l'emissione di un EIO (European Investigation Order) allo scopo di interrogare l'indagato a mezzo videoconferenza, ottenuto il consenso dello stesso in tal senso.

Lo Stato Membro di nazionalità ha condannato la persona richiesta.

Sulla base di tale condanna, lo Stato Membro richiesto ha rigettato la richiesta di estradizione promossa dal Paese terzo facendo valere il principio del ne bis in idem.

La Relazione congiunta può essere considerata una radiografia aggiornata dell'evolversi dei rapporti tra Stato Membro e Stato di nazionalità in materia di estradizione a partire dalla sentenza Petruhhin.

La sentenza Petruhhin prevede quale priorità per lo Stato richiesto l'obbligo di informare lo Stato di nazionalità per eventualmente coinvolgerlo direttamente con l'emissione di un MAE (C [Grande Sezione] -182/15, Petruhhin, 6 Settembre 2016).

In alcuni casi, lo Stato Membro di nazionalità ha risposto semplicemente che non sarebbe stato emesso un MAE.

In altri casi, ha espresso l'opinione di prendere in considerazione l'opportunità di dare esecuzione alla pena detentiva nello Stato richiesto, se la persona interessata è un long-term resident, come nel caso Raugevicius.

La previsione da parte dello Stato richiesto di attivarsi presso lo Stato di nazionalità interessa in primo luogo gli Stati Membri che non consentono l'estradizione dei propri cittadini (“nationality exception”).

Sul punto si è espressa la Corte di Giustizia europea.

La CGEU ha esaminato le norme nazionali che colgono una distinzione tra cittadini di uno Stato Membro, l'estradizione dei quali è vietata e cittadini di un altro Stato Membro, la cui estradizione può essere consentita.

La Corte di Giustizia ha stabilito che ad uno Stato Membro non è richiesto di estendere il divieto di estradizione dei propri connazionali ad ogni cittadino dell'Unione. Tuttavia, se uno Stato Membro riceve una richiesta di consegna da parte di uno Stato terzo ai fini dell'esercizio dell'azione penale, tale Stato deve informare lo Stato Membro del quale la persona in questione è cittadino e dovrebbe lo Stato Membro richiesto ottenerne la consegna a mezzo un mandato di arresto europeo vertente sui medesimi fatti contestatigli nella richiesta di estradizione, al fine di perseguirlo secondo le norme del proprio diritto penale, sebbene per fatti commessi fuori del territorio nazionale.

Tale obbligo di informazione è stato statuito dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea al fine di evitare una differenza di trattamento nel caso in cui entra in gioco la nazionalità del cittadino, così come contemplato dall'art. 18 T.F.U.E. (divieto di discriminazione tra cittadini nazionali e dell'Unione).

La Corte di Giustizia ha confermato tale scelta interpretativa, ridefinendola nelle due successive decisioni Pisciotti e Ruska Federacija.

Nella sentenza Pisciotti del 10 Aprile 2018, la Corte sovranazionale ha deliberato che ad uno Stato Membro non è richiesto di estendere il divieto di estradizione verso gli Stati Uniti previsto per i propri cittadini a ogni cittadino dell'Unione che si trovi a viaggiare sul proprio territorio. Tuttavia, prima di avviare la procedura di consegna, lo Stato Membro richiesto deve mettere lo Stato Membro di nazionalità nelle condizioni di ottenerne la consegna attraverso l'emissione di un MAE.

Nella sentenza Ruska Federacija del 2 Aprile 2020, è stato affrontato il caso di una richiesta di estradizione nei confronti di un cittadino dell'EFTA (European Free Trade Association States).

L'EFTA comprende la Bosnia Erzegovina, la Norvegia, la Serbia e la Svizzera.

In forza dell'accordo raggiunto, gli Stati EFTA non sono considerati Paesi terzi e nei confronti dei loro cittadini vale il divieto di discriminazione.

In tale ipotesi la Corte sovranazionale, in linea con la decisione Aranyosi and Caldararu, si è espressa nel senso della necessità di una verifica della non esposizione del soggetto alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti punitivi inumani o degradanti.

In ogni caso, come nella sentenza Pisciotti, lo Stato Membro richiesto, prima di avviare la procedura di consegna, deve mettere lo Stato di nazionalità del Gruppo EFTA nelle condizioni di ottenerne la consegna attraverso l'emissione di un MAE.

Più recentemente, l'Avvocato Generale Hogan, con le conclusioni del 24 Settembre 2020, nel caso pendente Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Extradition towards Ukraine), si è espresso nel senso che l'accoglimento della richiesta di consegna ad un Paese terzo del cittadino di uno Stato Membro di altra nazionalità non darebbe luogo alla violazione del divieto di prevedere una differenza di trattamento (pending case - law).

La sentenza Petruhhin rimane un sicuro punto di riferimento nella disciplina dei rapporti tra Stato Membro richiesto e Stato Membro di nazionalità.

Il c.d. “consultation mechanism”, alla base della Petruhhin doctrine, è diventato ormai una prassi consolidata, sebbene nei singoli casi trattati nel Report non vi è mai uniformità sulle modalità di consultazione, poiché l'approccio presenta sempre sfaccettature diverse.

In ogni caso, la necessità di consultazione è ineludibile se la persona richiesta fa valere il diritto dei cittadini dell'Unione di muoversi liberamente nell'area Schengen.

Poiché la Corte di Giustizia ha interpretato “the free moviment” in senso ampio, tale condizione è facilmente ricorrente.

L'accertamento dei diritti fondamentali

In linea con gli artt. 1 e 2 della l. n. 60/2005, come modificati con d.lgs. n. 10/2021, e in linea con l'art. 705 c.p.p., lo Stato Membro deve verificare se l'estradizione espone il soggetto estradando al rischio di subire un trattamento inumano o degradante o se la consegna può comportare la violazione di diritti fondamentali.

La necessità di assicurare protezione al soggetto estradando ha esplicita base legale nell'art. 19 della Carta di Nizza.

La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha rilevato che in molti dei casi trattati nel biennio 2017 – 2017 il Paese terzo ha violato gli articoli 6, 3, 5, 8 e 10 della Carta.

Da qui la previsione di una verifica sul tema dei diritti e del trattamento punitivo previsto, basata su informazioni obiettive, affidabili, specifiche e adeguatamente aggiornate.

In un caso specifico, lo Stato terzo ha espressamente garantito il diritto del soggetto al un giusto processo.

Sulla base di tale circostanza, l'autorità giudiziaria investita della richiesta ha deciso in senso favorevole alla estradizione.

L'esecuzione della pena nello Stato richiesto

Riprendendo il caso Raugevicius, occorre ovviamente distinguere la richiesta di estradizione allo scopo di esercitare l'azione penale e la richiesta di estradizione fondata su un titolo di pena esecutivo.

Con riferimento a questa seconda ipotesi, appare di interesse la decisione della Corte di Giustizia del 13 Novembre 2018, Raugevicius, C- 247/17.

Come è noto, non è previsto per l'estradizione un meccanismo analogo a quello previsto dall'art. 18-bis comma 2,l. n. 69/2005, per il mandato di arresto europeo, nella versione aggiornata, sicché al cittadino europeo sarebbe ingiustamente preclusa la possibilità di chiedere l'esecuzione della pena in Italia, ove risultasse radicato.

In Raugevicius, che riguarda una richiesta di consegna di un cittadino al fine di scontare una condanna ad una pena detentiva, la Corte di Giustizia ha rimarcato il perseguimento dell'obiettivo di dare esecuzione alla sentenza di condanna contro il rischio dell'impunità, prevedendo, in generale, la possibilità per i soggetti richiesti di espiare la condanna nello Stato Membro di cui hanno la nazionalità, in vista dell'incremento delle loro chances di una più facile reintegrazione sociale.

Tuttavia, nel caso in cui il cittadino dell'Unione è un long – term resident nello Stato Membro richiesto, quest'ultimo potrebbe esplorare la possibilità che la persona interessata sconti la pena pronunciata all'estero nel Paese richiesto in cui è radicato nel territorio.

In conclusione

Lo studio effettuato da Eurojust e da EJN non ha l'ambizione di dare una panoramica omnicomprensiva di tutti i casi.

Sicuramente emerge dall'analisi del Report la necessità dello Stato Membro richiesto di interfacciarsi con lo Stato Membro di nazionalità, e, quindi, il meccanismo di consultazione su cui si basa la Petruhinn doctrine rimane un punto fermo.

L'analisi dei casi e delle questioni di tipo applicativo e di tipo giuridico trattati costituisce di certo il passaggio necessario per pervenire all'elaborazione di linee guida comuni.

Sarebbe, infatti, di grande utilità la creazione di una piattaforma tanto condivisa, quanto flessibile, in ragione delle differenze esistenti tra i diversi ordinamenti nazionali anche in materia di estradizione.

Un modello comune su cui operare darebbe verosimilmente una accelerazione ad ogni procedura di estradizione, muovendosi gli Stati Membri su un percorso a ciascuno di essi noto, così evocando e rafforzando l'idea dell'esistenza di uno spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia.

In tal modo la procedura, nella sua obiettiva complessità, coinvolgendo l'intervento di tre Stati, potrebbe essere resa più efficace e tempestiva.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario