L'abuso della qualità dell'agente e il dissenso del soggetto passivo nei reati di violenza sessuale ed induzione indebita

Lorenzo Cattelan
09 Aprile 2021

In tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità presuppone una posizione di preminenza che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali. Nell'induzione indebita a dare o promettere utilità, invece, l'abuso esercitato dal pubblico agente può alternativamente riguardare i suoi poteri, nel caso di prospettazione dell'esercizio delle potestà per scopi diversi da quelli leciti, ovvero la sua qualità, nel caso della strumentalizzazione della posizione rivestita all'interno della pubblica amministrazione...
Massima

In tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità, che costituisce - unitamente alla violenza o minaccia - una delle modalità di consumazione del reato presuppone una posizione di preminenza (di fatto e di natura privata) che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali. Nell'induzione indebita a dare o promettere utilità, invece, l'abuso esercitato dal pubblico agente può alternativamente riguardare i suoi poteri, nel caso di prospettazione dell'esercizio delle potestà per scopi diversi da quelli leciti, ovvero la sua qualità, nel caso della strumentalizzazione della posizione rivestita all'interno della pubblica amministrazione.

Il caso

Il caso prende origine dalla condanna di un assistente di polizia penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di Rimini, per il delitto di violenza sessuale perpetrato nei confronti di un detenuto (assegnato alla sezione dedicata alle persone che manifestano una disforia di genere). I Giudici di primo e secondo grado, inoltre, hanno ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'interessato anche in relazione ai delitti di concussione ai danni di un secondo soggetto per averlo costretto ad indebiti favori sessuali abusando della sua qualità di assistente di polizia penitenziaria, nonché di induzione indebita continuata per aver indotto, sempre abusando della predetta qualità, un terzo detenuto a dare indebitamente sia allo stesso che ad altro soggetto ristretto, utilità consistite nel praticare prestazioni sessuali, regalandogli o promettendo di regalargli sigarette, tabacco, tinte per capelli e bagnoschiuma.

Il ricorso per cassazione presentato dall'interessato si articola in tre motivi principali:

- violazione ed erronea violazione dell'art. 609-bis c.p.,oltre che carenza di motivazione in ordine alla mancata applicazione della scriminante putativa (art. 59, comma 4, c.p.) del consenso dell'avente diritto (art. 50 c.p.). La tesi difensiva, infatti, sostiene che le reazioni della persona offesa, a fronte dei comportamenti dell'imputato inequivocabilmente tesi ad ottenere prestazioni sessuali, abbiano ingenerato in quest'ultimo l'erronea convinzione di agire in presenza di un valido consenso all'atto sessuale;

- erronea applicazione dell'art. 317 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di concussione, riconosciuta esclusivamente sulla base della formale disparità di posizione tra l'imputato e il detenuto. Invero, il paventato timore di quest'ultimo di subire ritorsioni da parte dell'imputato sarebbe sganciato da qualsivoglia dato fattuale. Secondo i difensori dell'assistente di polizia penitenziaria, l'esercizio della funzione si è posto, nel caso concreto, come occasione di commissione del reato di violenza sessuale e non in rapporto di causalità efficiente con la prevaricazione della vittima. In questo senso, viene censurata l'affermazione dei Giudici di merito secondo cui l'ipotesi concussiva sarebbe intrinseca alla stessa qualità di pubblico ufficiale;

- erronea applicazione dell'art. 319-quater c.p. e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità. La sentenza gravata avrebbe ritenuto autosufficiente, ai fini della sussistenza del delitto in esame, l'individuazione di una condotta non iure dell'imputato - i rapporti sessuali con il detenuto - e l'accertata elargizione, ad opera dello stesso imputato, di regalie al soggetto ristretto. In definitiva, anche in relazione a quest'ultimo motivo d'impugnazione, il ricorrente ritiene che i giudizi di merito abbiano illegittimamente ritenuto la condotta induttiva intrinseca alla qualità stessa di pubblico ufficiale, nonostante l'asserita relazione sentimentale paritaria tra l'imputato ed il detenuto.

La questione

La prima questione che si pone all'attenzione dei giudici di Piazza Cavour attiene alla portata e alle modalità di espressione del dissenso da parte della vittima del reato di violenza sessuale.

In via consequenziale, l'interprete è chiamato a verificare se sia ammissibile il concorso del reato di violenza sessuale commesso mediante costrizione della vittima, previsto dal comma 1 dell'art. 609-bis c.p., con quello di induzione indebita, previsto dall'art. 319-quater c.p.

Nello stesso ordine di indagine, un'ulteriore questione attiene alla possibilità che il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale concorra formalmente con il delitto di concussione ex art. 317 c.p.

Le soluzioni giuridiche

In ordine al ruolo del consenso nei reati posti a tutela della libertà sessuale, la Corte di Cassazione aderisce al consolidato indirizzo secondo cui l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (ex multis, la sentenza in commento fa esplicito riferimento a Cass. pen., sez. III, 5 ottobre 2017, n. 2400). Conseguentemente, “il dubbio sulla sussistenza del dissenso della vittima investe la configurabilità del fatto-reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione” (Cass. pen., sez. III, 19 giugno 2018, n. 52835). Com'è stato osservato, tale conclusione si impone in quanto nell'ordinamento non è ravvisabile alcun indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato, un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla violazione – da parte di soggetti terzi – della propria sfera sessuale. Al contrario, deve ritenersi che tale dissenso sia da presumersi laddove non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare l'esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso.

Nella fattispecie in esame, risulta innegabile che la parte offesa si sia trovata in una “incondizionata posizione di soggezione”, essendo ristretta in un carcere ed anche in una cella di isolamento (pertanto senza alcuna possibilità di allontanarsi o fuggire) e che l'imputato, per il suo ruolo di assistente della polizia penitenziaria abbia esplicato – di fatto – una oggettiva efficacia intimidatoria, tale da provocare nella vittima una innegabile coartazione psicologica. Tra i due soggetti, in altri termini, si è manifestata una disparità (non solo formale ma) sostanziale che ha impedito qualsiasi autodeterminazione da parte del detenuto, collocato peraltro in isolamento per motivi sanitari.

A tal proposito, nella pronuncia in commento si pone, seppure implicitamente, la questione della distinzione tra la nozione di concussione e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità, già affrontata dalle Sezioni Unite nel 2013 (Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228).

Nel delitto di cui all'art. 317 c.p. si verifica un abuso costrittivo da parte del pubblico ufficiale, che si attua alternativamente con una violenza fisica ovvero, nella maggior parte dei casi, con una minaccia, implicita o esplicita. La persona offesa rimane esposta ad una limitazione della propria libertà di autodeterminazione che la pone dinanzi a un'alternativa secca: subire certamente un danno contra ius oppure evitarlo cedendo alla costrizione altrui. Diversamente, nell'ipotesi di induzione indebita (art. 319-quater c.p.) il pubblico funzionario pone in essere un atteggiamento persuasivo, allusorio o comunque espressivo di una minor carica costrittiva rispetto alla concussione, che lascia un margine decisionale in capo al privato, il quale agisce per ottenere un tornaconto personale. Come unanimemente si osserva, la regola generale sancita dalle Sezioni Unite associa la minaccia e il danno ingiusto al reato descritto dall'art. 317 c.p., mentre il comportamento allusivo el'indebito vantaggio del privato si riferiscono all'art. 319-quater c.p. (Cass. pen., sez. VI, 15 luglio2014, n. 47014; Cass. pen., sez. III, 7 luglio 2014, n. 37839].

Sulla base di queste premesse, la Suprema Corte osserva come la Corte d'Appello non abbia errato nel valorizzare a supporto del dissenso la posizione di autorità dell'imputato. È infatti principio espresso dalle Sezioni Unite penali quello secondo cui l'abuso di autorità, che costituisce - unitamente alla violenza o minaccia - una delle modalità di consumazione del reato ex art. 609-bis c.p., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali (Cass. pen., Sez. Un., 16 luglio2020,n. 27326).

L'abuso della qualità di assistente di polizia penitenziaria è riconosciuto in capo al ricorrente anche con riguardo al delitto di induzione indebita ad ottenere prestazioni sessuali, ancorché consenzienti, da parte di un altro detenuto.

È, infatti, condiviso che l'induzione indebita a dare o promettere utilità può essere alternativamente esercitata dal pubblico agente mediante l'abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell'esercizio delle proprie potestà per scopi diversi da quelli leciti, ovvero con l'abuso della qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all'interno della pubblica amministrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 7971).

In definitiva, la Cassazione giunge a ritenere che gli illeciti di induzione indebita e di violenza sessuale possono concorrere poiché posti a tutela di beni giuridici diversi: l'art. 609-bisc.p. salvaguarda la libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale, a differenza dell'art. 319-quaterc.p. che garantisce il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Inoltre, dal punto di vista strutturale, mentre in relazione all'induzione indebita è il soggetto agente ad abusare delle proprie qualità o dei propri poteri, nell'ipotesi di violenza sessuale la nozione di abuso viene riferita alle condizioni della persona offesa. Quest'ultima, trovandosi in una posizione di inferiorità o debolezza, viene difatti convinta ad aderire ad atti sessuali che non avrebbe altrimenti compiuto (cfr., sulla nozione di abuso delle condizioni di inferiorità, Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2010, n. 20766; Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2007, n. 35878).

Osservazioni

La sentenza in commento è di particolare interesse perché afferma la possibilità di concorso formale tra il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.) e quello di violenza sessuale, nella forma di induzione mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa.

Infatti, la giurisprudenza ha già avuto modo di occuparsi del rapporto tra il delitto di concussione e quello di cui all'art 609-bis c.p., giungendo alla medesima conclusione offerta dalla pronuncia in commento (il riferimento corre, ex multis, a Cass. pen., sez. VI, 9 gennaio 2009, n. 9528, secondo cui il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale può concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, rappresentati dal buon andamento della pubblica amministrazione e dalla libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale). Ulteriormente condivisa rispetto agli approdi giurisprudenziali meno recenti è la portata della nozione di abuso. Infatti, il concetto viene riferito, per ciò che concerne l'induzione indebita, al soggetto agente, il quale abusa delle proprie qualità o dei propri poteri, mentre nel caso della violenza sessuale alle condizioni della persona offesa. Quest'ultima, infatti, trovandosi in una posizione di inferiorità o debolezza per le ragioni più disparate, viene convinta ad aderire ad atti sessuali che non avrebbe altrimenti compiuto (cfr. Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2010, n. 20766; Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2007, n. 35878).

La problematica sottesa al caso in esame fonda le proprie radici nella l. n. 190/2012 che, tra le altre cose, ha “spacchettato” il delitto di concussione introducendo l'art. 319-quater c.p. (induzione a dare o promettere utilità). Pare, in questo senso, opportuno affrescare qualche osservazione inerente alle due fattispecie di reato.

Fondamentale in questa prospettiva è la sentenza Maldera delle Sezioni unite, (Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228), in cui si è chiarito che «il delitto di concussione si caratterizza, sul piano oggettivo, in un abuso costrittivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, attuato mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra jus da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita; e che la concussione si distingue dal delitto di induzione indebita ex art. 319-quater c.p. in quanto la condotta che integra quest'ultima fattispecie consiste in persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di maggiormente ampi margini decisionali, giunge a prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta perché motivato dalla prospettiva di conseguire un vantaggio personale, il che giustifica logicamente la previsione, nel comma 2 dell'articolo, di una sanzione anche per il destinatario della condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio».

Il ragionamento offerto dalla Suprema Corte consente quindi di ritenere che la mancanza di una coartazione della volontà della persona offesa,nelle ipotesi riconducibili all'induzione di cui all'art. 319-quater c.p., impedisce di ritenere contemporaneamente integrato il delitto di violenza sessuale. Questo, infatti, presuppone una condotta di costrizione della vittima, che non appare compatibile con il residuare della conforme volontà della stessa che caratterizza la fattispecie di induzione (cfr. Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2017, n.6741].

Così ricostruito il rapporto tra artt. 617 e 319-quater c.p., occorre rilevare che non sempre la qualificazione della condotta concreta è di agevole lettura.

Di seguito, verranno offerte al lettore alcune chiavi di lettura della risoluzione delle problematiche applicative più frequenti.

1. In primo luogo, rilevano le ipotesi in cui le l'abuso di qualità dipenda dalla percezione del privato. Caso paradigmatico è quello del finanziere che fa presente la sua qualità per non pagare il conto al ristorante. Qui, occorre indagare quanto sia stato esplicito il p.u. (ossia se egli abbia adottato delle modalità comportamentali integranti la minaccia oppure abbia solamente prospettato un vantaggio).

2. Non meno complessa è l'ipotesi di prospettazione di un danno generico, legato cioè all'eventualità che, in futuro, le qualità proprie del p.u. possano determinare condotte negative sulla sfera del privato. La giurisprudenza, in questi casi, ritiene che, se non sono ravvisabili modalità comportamentali espressive di un intento intimidatorio, si sia dinnanzi ad una induzione indebita. Nel concreto, ad esempio, questo è il caso in cui un pubblico ministero prospetti ad un privato la possibilità di avviare, in futuro, delle indagini a suo carico.

3. Analoghe problematiche sono suscitate dalla coesistenza dell'elemento della minaccia con quello del vantaggio indebito. In questi casi, si afferma, occorre valutare la spinta motivazionale prevalente. Esemplificativamente, si faccia riferimento all'appaltante che prospetta al concorrente, in possesso dei soli requisiti di partecipazione, l'ammissione alla gara e, infine, la sua vincita.

4. Qualora si discuta di un potere discrezionale, poi, le difficoltà interpretative sono evidenti. Sul punto, la Cassazione afferma che vi è costrizione quando il riferimento all'esercizio sfavorevole del potere viene effettuato in maniera pretestuosa ed estemporanea, ossia quando non ci sono elementi per ritenere che il potere possa essere esercitato. Se, invece, il potere è già iniziato, il pubblico funzionario che prospetta una determinata posizione favorevole procura un vantaggio ingiusto.

5. Infine, occorre far menzione della circostanza in cui si manifesta una sproporzione dei beni in gioco. Il riferimento corre, cioè, alle ipotesi in cui il privato paga per ottenere un vantaggio indebito, ma il raffronto tra il prezzo corrisposto e la controprestazione auspicata palesa l'obsoleta determinazione negoziale del privato. Si pensi al caso della prostituta che paga per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno oppure a quello del paziente che paga per ottenere con precedenza una trasfusione di sangue.

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