Sistemi europei di protezione dei minori: la Corte verso una maggiore tutela del fanciullo

09 Gennaio 2020

Nella sentenza del 10 settembre 2019, nel caso Strand Lobben and Others v. Norway, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha statuito che viola l'art. 8 CEDU la decisione delle autorità nazionali di rimuovere la responsabilità genitoriale di una madre, permettendo l'adozione del figlio, laddove la stessa decisione non realizzi un concreto bilanciamento tra gli interessi del minore e quelli della sua famiglia biologica.
Massima

Nella sentenza del 10 settembre 2019, nel caso Strand Lobben and Others v. Norway, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha statuito che viola l'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) la decisione delle autorità nazionali di rimuovere la responsabilità genitoriale di una madre, permettendo l'adozione del figlio, laddove la stessa decisione non realizzi un concreto bilanciamento tra gli interessi del minore e quelli della sua famiglia biologica.

Il caso

I ricorrenti sono T. Strand Lobben, madre, e suo figlio X, di nazionalità norvegese. A causa delle difficoltà riscontrate durante la gravidanza, la signora Strand Lobben si era rivolta ai servizi sociali per ricevere assistenza, accogliendo un'offerta di soggiorno presso un centro familiare al fine di monitorare i primi mesi di vita del bambino. La donna aveva mostrato una mancanza di comprensione dei bisogni del minore così, ad esempio, le si doveva costantemente ricordare di nutrire il bambino. Nel momento in cui la signora Strand Lobben ha ritirato il consenso alla permanenza presso il centro, è stato disposto l'affidamento del bambino. Il Consiglio di previdenza sociale della Contea ha emesso un provvedimento di affido, nel marzo 2009. La madre ha presentato ricorso al tribunale e la decisione è stata annullata. L'autorità per la protezione dei minori ha proposto appello all'Alta Corte; la decisione è stata nuovamente annullata, confermandosi la misura dell'affidamento.

Nel 2011, il Consiglio di previdenza sociale della Contea, composto da un giurista, uno psicologo e un esperto, ha deciso, alla luce del miglior interesse del minore, di rimuovere la responsabilità genitoriale della madre e di autorizzare l'adozione. La donna ha presentato ricorso al tribunale competente che, pur avendo valutato un'evoluzione della situazione – la donna si era sposata e aveva avuto un altro figlio –, non aveva ravvisato miglioramenti con riguardo ai rapporti col figlio, psicologicamente vulnerabile e bisognoso di tranquillità, sicurezza e supporto. La decisione è stata confermata dall'Alta Corte e dalla Corte Suprema. I tribunali, in particolare, hanno valutato i tre anni di visite, durante i quali il minore, frustrato dagli incontri, non si era legato psicologicamente alla madre biologica, valorizzando conseguentemente la sicurezza che i genitori adottivi avrebbero potuto offrirgli negli anni futuri.

La questione

La madre ha presentato ricorso dinanzi alla Corte EDU anche negli interessi del minore, sostenendo che non vi era alcun motivo per autorizzare l'adozione di suo figlio. L'adozione è una misura estrema e irreversibile e può essere applicata solo in circostanze realmente eccezionali. Il Governo norvegese, viceversa, ha sostenuto che anche misure di vasta portata come l'adozione possono essere giustificate se motivate dal principio generale del superiore interesse del minore. L'accento è stato posto sulla vulnerabilità del bambino e sulla circostanza che le autorità avevano assunto tutte le misure necessarie per garantire il ricongiungimento. Inoltre, la decisione è stata meditata più volte in relazione al miglior interesse del minore e soppesata rispetto agli interessi della madre biologica. Il minore, d'altro canto, viveva con i suoi genitori adottivi da quando aveva tre settimane, palesandosi l'interesse a non stravolgere la sua situazione familiare. Il ricorso è stato depositato presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, il 12 aprile 2013.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza della Camera del 30 novembre 2017, la Corte europea aveva statuito, con quattro voti contro tre, che non vi era stata violazione dell'articolo 8 CEDU nei confronti della signora Strand Lobben e del minore X. Circostanze eccezionali avevano giustificato l'autorizzazione all'adozione del minore; in particolare, le autorità nazionali avevano affrontato il difficile e il delicato compito di bilanciare gli interessi contrastanti nel caso all'esame, reso complesso dal requisito imperativo di operare nel miglior interesse del minore, alla luce delle esigenze di assistenza speciali.

Il 9 aprile 2018, il panel della Grande Camera ha accolto la richiesta dei ricorrenti di rinviare il caso alla Grande Camera. Tra l'altro, i genitori adottivi di X sono stati autorizzati ad intervenire nel procedimento scritto come terzi. La sentenza è stata pronunciata dalla Grande Camera composta, com'è noto, da 17 giudici. La Corte ha stabilito che le decisioni assunte nel procedimento di rimozione della responsabilità genitoriale e di autorizzazione all'adozione di X, iniziato nell'aprile 2011 e terminato nell'ottobre 2012, ha interferito inequivocabilmente con il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita familiare.

Tale interferenza è stata conforme alla legge, vale a dire alla normativa relativa al superiore interesse dei minori, ed è stata giustificata dalla “protezione della salute o della morale” e dai “diritti e libertà” del minore. Tuttavia, nel procedimento che conduce alla rimozione della responsabilità genitoriale e al consenso all'adozione, le autorità nazionali non hanno tentato di effettuare un vero esercizio di bilanciamento tra gli interessi del minore e la sua famiglia biologica e non hanno mai preso in seria considerazione il ricongiungimento.

Il motivo principale alla base dei provvedimenti nazionali è stato l'incapacità della donna di prendersi cura del figlio in modo adeguato, soprattutto alla luce dei suoi bisogni speciali, trattandosi di minore vulnerabile. Secondo la Corte europea, questo ragionamento si è basato su prove limitate, ad esempio i pochi incontri tra madre e figlio dopo il collocamento in affidamento. Anche il quadro relativo alla vulnerabilità del minore, nonostante questi fosse in cura dalla nascita, non ha fornito alcuna spiegazione scientifica.

In particolare, sono state evidenziate carenze nel processo decisionale. In primo luogo, le visite, spesso avvenute in un ufficio di servizi di assistenza all'infanzia alla presenza della madre adottiva e di un supervisore, non hanno favorito il legame tra i ricorrenti. Inoltre, va sottolineato che non sono mai state percorse vie alternative, atteso che i tribunali erano partiti dal paradigma che le visite avrebbero dovuto garantire il mantenimento dei legami dimodoché il minore potesse avere familiarità con le sue origini, ma non s'era mai posta la questione di stabilire una relazione in vista di un possibile ritorno presso la dimora della madre biologica. Le autorità nazionali, dunque, hanno rinunciato sin dall'inizio a perseguire l'obiettivo di riunire il bambino con sua madre, ma piuttosto hanno immediatamente immaginato che sarebbe cresciuto nella casa adottiva. Questo paradigma corre come un filo attraverso tutte le fasi del procedimento, a partire dalla misura di affido.

Va, altresì, evidenziato che nella procedura che ha condotto alle decisioni di rimozione della responsabilità genitoriale, non è stato disposto alcun nuovo rapporto al fine di esaminare la capacità della madre biologica di fornire assistenza al minore, nonostante nel frattempo la donna si fosse sposata ed avesse avuto un altro figlio. Nell'assumere le decisioni, i tribunali hanno tenuto conto delle prove fornite da due psicologi incaricati come esperti durante i precedenti procedimenti di affidamento del 2010, ma solo uno di questi rapporti si basava sull'osservazione effettiva delle sessioni di visita. Infine, sebbene i tribunali abbiano prestato particolare attenzione ai bisogni speciali di X nel valutare la capacità della signora Strand Lobben di prendersene cura, invero non hanno esaminato la sua vulnerabilità in ogni dettaglio né hanno chiarito le cause della patologia. Hanno appena fornito un'analisi generica sul tipo di disturbo, descrivendo brevemente il bisogno di tranquillità, sicurezza e supporto. Così, secondo la Corte, il processo decisionale non è stato condotto in modo da bilanciare gli interessi dei ricorrenti, essendo privo delle garanzie commisurate alla gravità dell'interferenza e degli interessi in giuoco, statuendo con 13 voti favorevoli e 4 contrari, la violazione dell'articolo 8 CEDU nei confronti di entrambi i ricorrenti.

Osservazioni

Come s'è detto, nella precedente pronuncia del 2017, la Corte europea dei diritti dell'uomo non aveva riscontrato una violazione dell'articolo 8 CEDU, definendo il caso in modo sorprendente, dal momento che negli ultimi anni si è assistito a un grande clamore e all'attenzione negativa dei media sugli interventi di protezione dei minori a livello internazionale, con la Norvegia che occupa un posto di rilievo in questo panorama. Nel 2015, il sistema norvegese di protezione dell'infanzia ha ricevuto dure critiche essendo associato a interventi draconiani nella sfera familiare, a causa del ruolo svolto dal Barnevernet, agenzia norvegese per la tutela dei minori. Inoltre, il 28 giugno 2018, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha concluso una relazione critica sui sistemi europei di protezione dei minori (risoluzione 2232 (2018), sottolineando la necessità di predisporre garanzie imparziali nei servizi europei di questo tipo, al fine di prevenire pratiche abusive.

Il paradosso è che l'ordinamento norvegese, rispetto ad altri sistemi europei, è dotato di un buon sistema di protezione dell'infanzia. Va, tuttavia, segnalato il ruolo, profondamente mutato, dei minori nelle società. L'idea tradizionale che i minori siano “di proprietà” della famiglia è evidentemente in crisi venendo oramai considerati individui con una propria identità. Così la centralità del minore e la tutela dei suoi diritti pongono in discussione le relazioni tra famiglia e Stato. Quando gli obblighi statali si incentrano sui diritti dei fanciulli, viene stabilita una relazione diretta tra minori e Stato che richiede uno spostamento nel bilanciamento dei diritti dei genitori rispetto a quelli dei minori. Uno Stato incentrato sull'infanzia rafforza la sua protezione dei diritti dei minori e “minaccia” i diritti dei genitori e delle famiglie. Questa chiave di lettura chiarisce i problemi di legittimità dei sistemi di protezione dei minori in Norvegia e in altri paesi sollevati dalle dure critiche cui sono attualmente sottoposti (v. Fasano, Pizzolante, Il Parlamento europeo interviene sul ruolo “esorbitante” assunto dall'ente tedesco per la tutela dei minori, 5 marzo 2019, in questa Rivista, nonché ivi risoluzione Parlamento europeo del 29 novembre 2018).

In Strand Lobben and Others v. Norway, la Corte tocca esattamente questo punto, tentando di bilanciare i diritti dei genitori rispetto ai diritti dei minori; i diritti dei genitori biologici rispetto a quelli dei genitori adottivi; le relazioni de jure rispetto a quelle de facto; le misure temporanee rispetto a quelle permanenti.

Negli ultimi anni, la politica ha sempre più favorito l'adozione come misura di protezione dei minori, risultando l'opzione migliore per i bambini in affido a lungo termine (v. R. and H. v. the United Kingdom, punto 79). Ciò è in diretto contrasto con il principio secondo cui le misure di affido dovrebbero essere temporanee, gravando sullo Stato l'obbligo positivo di assicurare il ricongiungimento non appena le circostanze lo consentano.

La sentenza fornisce una vasta descrizione dei diritti dei minori, del minore nel caso di specie e della sua situazione, dei suoi genitori adottivi, della mancanza di legami con la madre biologica. Laddove sia trascorso un tempo considerevole da quando il minore sia stato posto in affido, l'interesse superiore del minore dovrebbe essere meglio protetto cristallizzando la sua situazione familiare. Questo obiettivo, in linea di massima, ha la precedenza rispetto ai diritti dei genitori biologici e al ricongiungimento. Tuttavia, nel caso all'esame, la decisione di autorizzare l'adozione, pur rientrando nel margine di apprezzamento dello Stato, poteva essere sostituita da un affido a lungo termine. Al centro della questione vi è l'irreversibilità dell'adozione e il valore dei legami biologici. In particolare, il requisito delle “circostanze eccezionali” non è soddisfatto in quanto è necessario limitare la rottura dei legami di fatto e di diritto a circostanze eccezionali e applicare un controllo più rigoroso quando si verifichino queste ultime. Nel caso di specie sono scarse e contestate le prove fattuali relative alla valutazione della vulnerabilità del minore; le capacità della madre come genitore; l'impatto degli atteggiamenti negativi della madre.

La Corte europea deve considerare, ai sensi dell'articolo 8 CEDU, in che modo i diritti del minore e il suo migliore interesse vengano influenzati dalla recisione di tutti i legami di fatto e di diritto – con la madre biologica. La stessa Corte ha ripetutamente affermato che recidere tali legami impedisce ad un bambino di conoscere le proprie radici, trattasi dunque di una misura che può essere giustificata solo in circostanze particolarissime. A tale ultimo riguardo è utile ricordare che, in alcuni casi, si è ritenuto che le autorità nazionali potessero legittimamente privare un minore, anche contro la sua volontà, della filiazione con la persona che considerava suo padre e con la quale aveva un forte legame emotivo, per riconoscere la filiazione del minore con il padre biologico, poiché i suoi interessi coincidevano essenzialmente con il conoscere la verità sulle sue origini.

La Corte europea, riprendendo le considerazioni formulate nel caso Y.C. v. the United Kingdom, in cui ha statuito che «nei casi riguardanti la messa in adozione di un figlio, che comporta la separazione permanente dei legami familiari, l'interesse superiore del minore è fondamentale» (punto 134), afferma la centralità del minore (Strand Lobben and Others v. Norway, punto 108). Si tratta poi di capire se e come i diritti dei minori possano collidere con altri principi giurisprudenziali, pure affermati dalla Corte. In particolare, la maggioranza e la minoranza dei giudici nella causa Strand Lobben and Others v. Norway hanno interpretato in modo diverso “il principio biologico”, ponderandosi conseguentemente in maniera diversa i diritti dei bambini rispetto a quelli dei genitori. Evidentemente, mancando nella materia un consenso uniforme, con le società a un bivio rispetto al modo in cui proteggere e tutelare i minori, la Corte dirigerà sempre più i suoi standard giurisprudenziali per irrobustire i diritti dei fanciulli, sviluppando e chiarendo ulteriormente il principio dell'interesse superiore del minore.

Guida all'approfondimento

M. Skivenes, K. Søvig, Judicial Discretion and the Child's Best Interest. The European Court of Human Rights on Child Protection Adoptions, in E. Sutherland, L. Macfarlane (eds), Implementing Article 3 of the United Nations Convention on the Rights of the Child: Best Interests, Welfare and Well-being, Cambridge, 2016.

K. Burns, T. Pösö, M. Skivenes (eds), Child Welfare Removals by the State. A Cross-Country Analysis of Decision-Making Systems, New York, 2017.

G.O. Cesaro, The best interest of the child nel caso Strand Lobben/Norvegia avanti alla Cedu, in Minorigiustizia, 2018, p. 195 ss.

B. Frigerio, La Norvegia che ruba i figli ai genitori al vaglio dell'Europa, 28 ottobre 2018, reperibile online al sito www.lanuovabq.it/it/la-norvegia-che-ruba-i-figli-ai-genitori-al-vaglio-delleuropa.

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