Le notifiche a mezzo posta durante l'emergenza sanitaria

14 Aprile 2021

Nell'ambito della legislazione emergenziale vi sono alcune norme che hanno introdotto vistose deroghe alle consuete modalità di effettuazione delle notifiche a mezzo posta degli atti giudiziari, «a tutela dei lavoratori del servizio postale e dei destinatari degli invii postali». La prima di tali previsioni è l'art. 108, comma 1, del d.l. 18/2020 c.d. Decreto Cura Italia.
La notifica con partecipazione a distanza del destinatario nel decreto «Cura Italia»

Nell'ambito della legislazione emergenziale vi sono alcune norme che hanno introdotto vistose deroghe alle consuete modalità di effettuazione delle notifiche a mezzo posta degli atti giudiziari, «a tutela dei lavoratori del servizio postale e dei destinatari degli invii postali» (questa è stata la ratio dell'intervento normativo, secondo quanto si legge nella prima parte dell'art. 108, comma 1, del d.l. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia).

La prima di tali previsioni è il predetto art. 108, comma 1, che aveva previsto, fino al 30 giugno 2020, una procedura di notifica degli atti giudiziari distinta in quattro momenti tra loro successivi: 1) accertamento, da parte dell'operatore postale, della presenza, nel luogo di notifica, del destinatario del plico ovvero di altri soggetti abilitati alla sua ricezione; 2) immissione del plico nella cassetta postale, al piano o in altro luogo indicato dal consegnatario; 3) firma dell'operatore postale in luogo di quella del consegnatario sui documenti di consegna; 4) attestazione sui medesimi documenti di consegna da parte dell'operatore delle «modalità» di recapito.

E' evidente come tale procedura di notificazione richiedesse una minima partecipazione attiva del consegnatario, dal momento che era stato previsto che l'agente postale si accertasse, necessariamente a distanza, della sua presenza nel luogo della notificazione e della sua identità, ma anche che il luogo del materiale deposito del plico fosse stato specificamente indicato dal medesimo che avrebbe potuto scegliere, a sua discrezione, tra la cassetta della posta, il piano o, addirittura, un qualsiasi altro luogo.

Non poteva, pertanto, ritenersi sufficiente a rispettare tali prescrizioni la precisazione nell'avviso di ricevimento della sola qualità del consegnatario del plico e il richiamo all'art. 108, come spesso è accaduto, (richiamo che invece poteva ritenersi sufficiente ad attestare le modalità di recapito), dovendo invece l'attestazione dell'agente postale indicare le generalità di quello e, quantomeno, precisare il luogo in cui il plico era stato lasciato.

L'omissione dei suddetti particolari infatti, oltre a contrastare con il dettato normativo (si veda anche l'art. 148, comma 2, c.p.c.), avrebbe reso impossibile l'eventuale contestazione di una o più delle predette circostanze da parte del destinatario del plico.

Si noti poi che l'esplicitazione del luogo esatto ove era stato lasciato il piego avrebbe dato conto, sia pure indirettamente, della volontà del destinatario o della persona abilitata di riceverlo.

A giustificare quell'omissione non avrebbe poi potuto valere il mancato adeguamento della modulistica in uso da parte di Poste Italiane poiché l'avviso di ricevimento poteva essere integrato con un'apposita aggiunta a penna, da parte dell'agente postale, che precisasse il luogo esatto ove era stato lasciato il plico.

Vale la pena evidenziare che la mancanza di tali particolari ben può ritenersi idonea a determinare l'inesistenza della notificazione (in tali termini Trib. Verona 22 luglio 2020) se si tiene presente che questa, per orientamento pacifico della giurisprudenza, è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione e, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita» (Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916; Cass. civ., 2 ottobre 2018, n. 23903; Cass. civ., 16 febbraio 2018, n. 3816; Cass. civ., 31 agosto 2017, n. 20659; Cass. civ., 27 gennaio 2017, n. 2174).

Ora, in mancanza della sottoscrizione dell'avviso di ricevimento della raccomandata da parte del destinatario o di persona abilitata, le due attestazioni della loro identità e del luogo di consegna del plico erano indispensabili per conferire un minimo di certezza e attendibilità alla fase della consegna, anch'essa necessaria per il perfezionamento della notificazione.

Ciò comportava anche che andasse esclusa la possibilità di una successiva integrazione della relata mancante dei predetti risultando del tutto inattendibile la ricostruzione di essi a posteriori sulla base del solo ricordo dell'agente postale.

Vale la pena precisare anche che le contestazioni dell'identità del destinatario e del luogo ove era stato lasciato il plico, avrebbero dovuto essere formalizzate dall'interessato necessariamente mediante querela di falso.

Infatti l'attestazione, presente nella relata di notifica, in ordine a quei articolari avrebbe riguardato circostanze frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale, cosicchè viene in rilievo il consolidato indirizzo della suprema Corte secondo cui «anche nel caso di notificazione eseguita dall'agente postale, la relata di notifica fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l'attività svolta dal medesimo» (Cass. civ., n. 2421/2014).

Le novità della legge di conversione del d.l. 18/2020

Nell'arco di un breve lasso di tempo il legislatore è intervenuto nuovamente su questa materia, modificando la disciplina esaminata nel paragrafo precedente con tutta probabilità perché si è reso conto che essa non offriva sufficienti garanzie di conoscibilità dell'atto giudiziario da parte del destinatario di esso.

Infatti l'art.1, allegato 2, della l. 27/2020, che aveva convertito il d.l. 18/2020, aveva introdotto nell'art. 108 il comma 1-bis che aveva stabilito che, ai fini della notifica di multe e atti giudiziari, l'operatore postale dovesse consegnare il plico ricevendo la firma del destinatario o, in alternativa, a totale sua discrezione, immettere nella cassetta postale l'avviso di arrivo della raccomandata.

Erano state così generalizzate le modalità fissate dall'art. 8 della l. 890/1982 per le ipotesi di impossibilità di recapito del piego per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a riceverlo.

Con la stessa norma era stata disposta la sospensione del termine necessario al perfezionamento della compiuta giacenza sino al 30 aprile 2020, che, quindi, avrebbe ripreso a decorrere dopo quella data, in linea con i divieti di spostamento imposti dal governo che ha voluto evitare ogni pregiudizio al destinatario nel ricevimento di atti giudiziari e multe.

Il riferimento alla data del 30 aprile 2020 risulta peraltro incongruo se si tiene conto che la disciplina in commento è entrata in vigore proprio quel giorno e ha stabilito una modalità di effettuazione delle notifiche a mezzo posta diversa da quella previgente, cosicchè essa non può che riferirsi, in realtà, alle notificazioni per le quali il termine di compiuta giacenza era pendente alla data del 18 marzo 2020, anche se effettuate prima della entrata in vigore del d.l. 18/2020 (così Trib. Verona 22 luglio 2020).

A conforto di tale lettura va anche evidenziato che essa sarebbe stata in parte inapplicabile anche sotto il profilo pratico perché avrebbe comportato un'inattuabile restituzione agli uffici postali di provenienza, da parte dei mittenti, dei plichi già loro restituiti al termine della compiuta giacenza, verificatasi prima della sua entrata in vigore, per consentirne il ritiro da parte dei rispettivi destinatari.

Con la norma in esame il legislatore aveva anche previsto la sospensione dei «termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo di emergenza sino alla cessazione dello stato di emergenza».

Questa previsione era davvero singolare, per non dire errata, perché ricollegava l'effetto sospensivo all'invio della raccomandata e non, come avrebbe dovuto essere, alla sua ricezione e menzionava l'istituto della sospensione quando in realtà si riferiva all'interruzione.

La disciplina del d.l. 34/2020: un ripensamento ed alcune novità

Con l'art. 46 del d.l. 34/2020, convertito con modificazioni dalla l. 77/2020, il legislatore, ha operato un'inattesa e ingiustificata retromarcia, essendo tornato alla disciplina meno garantista di cui all'art. 108 del d.l. 18/2020.

Infatti, a quest'ultima norma, con l'intervento in esame, sono state apportate le seguenti modifiche:

- il riferimento, presente al comma 1, alla data del 30 giugno 2020 è stato sostituito con il riferimento al 31 luglio 2020, con conseguente proroga fino a tale data della disciplina in punto di notificazione contenuta nello stesso comma;

- al termine del comma è stato aggiunto il seguente periodo: «Sono fatti salvi i comportamenti tenuti dagli operatori postali per garantire la continuità del servizio e la tutela della salute pubblica in occasione dello stato di emergenza»;

- il comma 1-bis è abrogato.

Questo ritorno al regime previgente risulta del tutto ingiustificato, e quindi irragionevole, se solo si considera che, proprio a partire dal maggio del 2020, furono allentate le misure di distanziamento sociale grazie al miglioramento della situazione sanitaria a livello nazionale.

Vi erano, pertanto, ragioni oggettive che avrebbero giustificato addirittura il ripristino delle ordinarie modalità di notificazione.

Va peraltro evidenziata la particolarità e l'assoluta novità della norma che ha inteso «far salvi» i comportamenti degli operatori postali.

Ad essa non pare infatti potersi attribuire altro significato che quello di uno scudo alla responsabilità sia civile che penale degli agenti postali, che peraltro è stato esteso a tutta la durata del periodo di emergenza sanitaria e quindi fino a quando questo perdurerà (il d.l. 44/2021 ha prorogato le misure emergenziali al 31 luglio 2021).

La scelta sottende con tutta probabilità l'idea che la situazione emergenziale e, insieme ad essa, il rapido succedersi di novità normative possa aver agevolato la commissione di errori negli adempimenti di notifica.

A ben vedere però l'esonero da responsabilità che il legislatore ha previsto è piuttosto ampio perché riguarda tutte le conseguenze dei vizi di notifica che dovessero essere accertati, anche se fossero state seguite modalità di notifica diverse da quelle specificamente previste dalla disciplina emergenziale.

L'unica condizione per l'operatività dello scudo è che la condotta dell'agente postale sia stata funzionale alla tutela della salute pubblica.

Ed allora, per poter giustificare l'errore commesso dall'agente postale si dovrà innanzitutto stabilire la situazione epidemiologica del contesto in cui egli ha operato (regione, provincia o comune) e un dato che potrebbe essere valorizzato a tal fine è quello della classificazione di tale zona, al momento della notifica, secondo i livelli di diffusione del contagio adottati a livello nazionale.

In secondo luogo si dovrà valutare se la modalità di notificazione prescelta fosse stata idonea ad assicurare condizioni di sicurezza e, in tale prospettiva, l'esimente non potrà pertanto essere invocata nel caso di errori nella notifica di atti con sottoscrizione dell'avviso di consegna da parte del destinatario.

Sul punto occorre peraltro precisare che l'esonero da responsabilità, conseguente a notificazioni invalide, varrà nei confronti dell'ufficiale giudiziario che agisse in rivalsa nei confronti delle Poste poiché, secondo la Suprema Corte di cassazione «in tema di notificazioni a mezzo posta, il relativo servizio si basa su di un mandato ex lege tra colui che richiede la notificazione e l'ufficiale giudiziario che la esegue, eventualmente avvalendosi, quale ausiliario, dell'agente postale, nell'ambito di un distinto rapporto obbligatorio, al quale il notificante rimane estraneo. Ne consegue che, in caso di ritardo nella spedizione o nel recapito dell'atto notificato, nei confronti del richiedente la notifica risponde, ai sensi dell'art. 1228 c.c. esclusivamente l'ufficiale giudiziario, non anche l'agente postale del quale costui si avvalga» (Cass. civ.,18 febbraio 2015, n. 3261; Cass. civ., 12 febbraio 2018, n. 3292).

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