Rapporti tra azione di regresso Inail e azione diretta del danneggiato nei confronti del civilmente responsabile

14 Aprile 2021

Il giudicato che respinge l'azione di regresso esperita dall'INAIL nei confronti del datore di lavoro è ostativo rispetto all'azione che lo stesso danneggiato intende promuovere nei confronti del medesimo datore di lavoro, per conseguire il c.d. danno differenziale?

Vi si chiede se il giudicato che respinge l'azione di regresso, esperita dall'INAIL, nei confronti del committente (il quale aveva incaricato un artigiano, infortunato durante l'espletamento di lavori edili, presso uno stabile di proprietà del committente medesimo) è ostativo rispetto all'azione che lo stesso danneggiato intende promuovere nei confronti del medesimo committente, per conseguire il c.d. danno differenziale. Più in generale vi si chiede se tra le due azioni vi sia un rapporto di dipendenza.

Il quesito, posto in modo generico, sottende alcune precisazioni.

Infatti, dal caso in esame, sembra che si versi in una classica ipotesi di infortunio sul lavoro e che, in conseguenza, il danneggiato, lavoratore, abbia ricevuto il riconoscimento del danno da parte dell'istituto INAIL.

A questo punto, come previsto dalla legge (art. 11 del d.P.R. 1124/1965), l'istituto assicurativo può esperire azione di regresso nei confronti del datore di lavoro per recuperare quanto abbia corrisposto al lavoratore a titolo di danno in adempimento alla propria funzione assicurativa.

Dal quesito si evince che, purtroppo, l'azione di regresso da parte dell'INAIL viene respinta, impedendo all'ente assicurativo di poter «rientrare» delle somme corrisposte al lavoratore.

Per quanto riguarda, invece, la posizione del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, si deve convenire sul fatto che il primo sia civilmente responsabile nei confronti del lavoratore al risarcimento dell'intero danno; pertanto, qualora il danno rimborsato dall'ente assicuratore sia inferiore al danno sofferto dal lavoratore, in tutte le sue componenti, residui il diritto del lavoratore a vedersi liquidato l'ulteriore danno (cosiddetto danno differenziale).

Il lavoratore, quindi, potrà certamente agire direttamente nei confronti del datore di lavoro per vedersi riconoscere la residua parte di danno sofferto e non risarcito da parte dell'INAIL.

Come si esprime la giurisprudenza, infatti: «In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'indennizzo INAIL non copre l'intero danno biologico - diversamente dal risarcimento, che presuppone la commissione di un illecito contrattuale od aquiliano - e, quindi, non può essere liquidato, ai fini di tale assicurazione, con gli stessi criteri valevoli in ambito civilistico, in considerazione della sua natura assistenziale e nonostante la menomazione dell'integrità psico-fisica, alla quale fa riferimento l'art. 13 del d.lgs. 38/2000, sia la medesima, dovendo siffatta menomazione, per assumere rilievo in ambito previdenziale, essere valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Pertanto, va escluso a carico dell'INAIL l'indennizzo per il danno da «perdita del diritto alla vita», atteso che, venendo in questione un bene, quale la vita, diverso dalla salute, non ricorre la nozione di danno biologico recepita dal citato art. 13. Tuttavia, per il ristoro del danno biologico c.d. differenziale, vale a dire di quella parte del danno biologico non coperta dall'assicurazione obbligatoria, si può proporre azione risarcitoria autonoma e distinta nei confronti del datore di lavoro, ove ne ricorrano le condizioni di legge.» (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24474).

Quanto al fatto che fra le due azioni, il regresso da parte dell'INAIL e l'azione diretta del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, vi sia rapporto di dipendenza, bisogna fare alcune precisazioni.

Siamo nel campo del valore sostanziale e processuale del giudicato, oggetto di una nutrita elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Per poter rispondere adeguatamente al quesito bisognerebbe sapere per quale motivo l'azione di regresso da parte dell'INAIL sia stata rigettata.

Infatti, qualora nell'ambito del giudicato relativo all'azione di regresso, siano intervenuti accertamenti sulla natura del danno, sulla sua conseguenza e sui suoi effetti, ben potrà questo giudicato fare stato anche nel diverso procedimento di risarcimento del danno differenziale che il lavoratore andrà ad instaurare nei confronti del datore di lavoro.

Inoltre, bisognerà valutare quale sia la natura del giudicato, se, cioè, abbia natura di mero accertamento o costitutiva ed ancora bisognerà valutare se, dalle risultanze del giudicato, possa già ritenersi accertato il danno nel suo esatto e completo ammontare.

Ancora, bisognerà chiedersi se vi sia rapporto di pregiudizialità nel caso in cui sia introdotto anche un giudizio penale a carico del datore di lavoro ove il fatto produttivo del danno integri anche gli estremi di reato.

Sul punto la giurisprudenza, anche se datata ma pur sempre concettualmente valida, ha avuto modo di affermare che: «In base all'art. 295 c.p.c. il giudizio instaurato dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, ex art. 11 del d.P.R. 1124/1965, per ottenere il rimborso di quanto corrisposto agli eredi di un lavoratore deceduto per effetto di un infortunio sul lavoro non è soggetto a sospensione necessaria in attesa dell'esito del procedimento penale a carico del datore di lavoro per i medesimi fatti, giacché, in applicazione dell'art. 654 c.p.p., l'efficacia della emananda sentenza penale di condanna o di assoluzione non potrà mai fare stato nei confronti dell'Inail, che non è parte nel giudizio penale e che non era legittimato a costituirsi, trattandosi non della proposizione di un'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, ma dell'azione di regresso, diversa da quelle considerate dall'art. 74 c.p.p. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato l'ordinanza con la quale era stata disposta la sospensione del giudizio civile, ravvisando dipendenza tra la causa di regresso e il processo penale a carico del datore di lavoro per il fatto di cui all'infortunio)» (Cass. civ., sez. lav., 25 agosto 2004, n. 16874).

Ulteriore riflessione, poi, va fatta anche sulla base della sentenza citata sopra (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24474) ove si evidenzia, correttamente, come il criterio di determinazione del danno nella copertura assicurativa INAIL, sia diverso da quello utilizzabile in ambito civile. Di conseguenza, anche un eventuale rapporto di dipendenza fra giudicati potrebbe venire a cadere essendo differenti i presupposti per la determinazione del danno, presupposti che si potrebbero riferire anche all'accertamento del fatto che ha dato luogo all'evento lesivo.

Mancando tali riferimenti è, nella sostanza, estremamente difficile poter rispondere sul vincolo di dipendenza fra giudicati, che vi potrebbe essere, tra la pronuncia in seno all'azione di regresso dell'INAIL nei confronti di una successiva azione diretta del lavoratore nei confronti del datore di lavoro per vedersi liquidato il cosiddetto danno differenziale, azione, come detto sopra, in astratto compatibile con quella di regresso. Solo la valutazione del caso concreto potrebbe permettere una più puntuale risposta al quesito.

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