I “Criteri orientativi” dell’Osservatorio di Milano per la liquidazione del danno da mancato/ carente consenso informato in ambito sanitario

Daniela Zorzit
15 Aprile 2021

Dopo un approfondito lavoro di ricerca e studio durato circa tre anni, l'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano ha approvato i “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da mancato/carente consenso informato in ambito sanitario”, fissando 4 “livelli” in cui l'ammontare del risarcimento cresce a seconda della intensità del vulnus: lieve entità, media entità, grave entità ed eccezionale entità.
Introduzione

Dopo un approfondito lavoro di ricerca e studio durato circa tre anni, l'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano ha approvato i “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da mancato/carente consenso informato in ambito sanitario”, fissando 4 “livelli” in cui l'ammontare del risarcimento cresce a seconda della intensità del vulnus. Così schematicamente:

  1. Lieve entità (da Euro 1.000,00 ad Euro 4.000,00);
  2. Media entità (da Euro 4.000,00 ad Euro 9.000,00);
  3. Grave entità (da Euro 9.000,00 ad Euro 20.000,00);
  4. Eccezionale entità (oltre Euro 20.000,00).

Come si evince dai lavori preparatori e dalla stessa Relazione illustrativa, i “valori” indicati rappresentano la trasposizione in chiave grafica di un “dato storico”, ossia sono frutto dell'attività di ricognizione di un campione significativo di sentenze (per composizione territoriale, temporale e per tipologia degli uffici di merito), pronunziate dal 2012 al 2019, esaminate una ad una al fine di individuare elementi di omogeneità da porre a base della quantificazione.

Non si tratta, quindi, - e questo deve essere sottolineato – di una “pretesa” di indicazione di parametri “giusti”, ma di una indagine volta a rappresentare lo stato dell'arte – nello spirito e con la serietà dell'approccio propri di una ricerca “scientifica” ed obiettiva, come è tradizione per l'Osservatorio –, tenendo comunque conto dell'evoluzione giurisprudenziale e, in particolare, dei più importanti e recenti arresti della Cassazione.

La “modulazione” del quantum viene quindi affidata alla previa enucleazione e considerazione di una serie di criteri che, nella prassi delle aule, risultano comunemente utilizzati ai fini della graduazione, nella consapevolezza, in ogni caso, che la “traduzione in moneta” del danno viene di norma operata in via equitativa, <<come è corretto che sia, non essendo stati previsti dal legislatore parametri liquidatori>>.

Ad avviso di chi scrive, la “Tabella” merita un vivo plauso perché, in un contesto così incerto come quello in esame (in cui non esistono ancoraggi sicuri), si sentiva il bisogno di un punto fermo, di una guida capace, appunto, di orientare - ed al tempo stesso di arginare – un'operazione estremamente complessa ( la rappresentazione in danaro di una deminutio non oggettivamente misurabile ), troppo spesso affidata al mutevole apprezzamento del Giudice ed esposta all'evidente rischio di sperequazioni ingiustificate.

Lo spazio di queste pagine non permette una analisi dettagliata ed esaustiva, ma consente solo qualche riflessione, che muove in realtà “da lontano”, prende cioè l'abbrivio dalla complessa, talora ambigua ed imprendibile, configurazione dello stesso danno da violazione del consenso informato.

La difficoltà di individuare e sceverare, alla ricerca del “contenuto” del pregiudizio risarcibile

Sembra a chi scrive che, spostando l'analisi dal piano delle enunciazioni astratte a quello delle implicazioni o delle evidenze pratiche, il terreno si faccia un poco scivoloso ed impervio non appena si cerchi di definire, in concreto, il “contenuto del pregiudizio” e, quindi, la dimensione, la caratura, il perimetro del suo risarcimento.

Così, per esempio, non sembra affatto agevole tracciare una chiara linea di confine nel caso in cui l'omessa /non corretta informazione comporti un vulnus sia al diritto di autodeterminazione sia alla salute; qui la vera difficoltà consiste nello stabilire (ai fini di procedere ad un adeguato ristoro) quali siano le “perdite” derivate dall'una e quali quelle provocate dall'altra delle due lesioni.

Indagine, questa, che è assolutamente imprescindibile perché, come di recente confermato anche da Cass. 16.03.2021 n.7385, il danno non può mai essere in re ipsa, non basta cioè la mera violazione del diritto, essendo necessario individuare le specifiche ricadute negative che ne costituiscono l'effetto. (Cass. 7385/2021 sottolinea in modo icastico: <<Quel che deve ribadirsi è che tutte le volte in cui – in base ad un giudizio comparativo tra la situazione verificatasi in seguito all'omessa informazione e quella che si sarebbe avuta se la gestante fosse stata posta nelle condizioni di autodeterminarsi – non sia dato scorgere alcun tipo di pregiudizio al di là della mera privazione del diritto di scegliere fine a se stessa e/o la lesione subita non possa di per sé raggiungere un sufficiente livello di offensività non è possibile dar luogo ad una tutela risarcitoria>>).

Volendo attingere al “decalogo” tratteggiato da Cass. 11.11. 2019 n. 28985 (facente parte delle note sentenze di San Martino 2019 relative al cd. “progetto sanità”) si potrebbero prendere in considerazione i casi indicati alle lettere B) e C), che per mera comodità si trascrivono qui di seguito:

  • B) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente;
  • C) omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito - andrà valutata in relazione alla eventuale situazione "differenziale" tra il maggiore danno biologico conseguente all'intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.

Nelle due ipotesi considerate vi è spazio, secondo la Corte, per il risarcimento del danno alla salute e per quello da lesione del diritto all'autodeterminazione.

Il dubbio che si pone, come si accennava, attiene però, ad avviso di chi scrive, alla esatta demarcazione della linea di confine tra le “perdite” che derivano dall'uno e dall'altro dei due vulnera posto che per esse è appunto prevista una separata liquidazione (per il tramite di due diverse Tabelle). La necessità di sceverare è finalizzata ovviamente ad evitare possibili duplicazioni ed a circoscrivere esattamente l'oggetto, il contenuto della “deminutio” che viene ad essere “riparata”.

La questione appare oggi ancor più complessa in ragione dell'orientamento consolidatosi (Cass. 17.01.2018 n. 901; cass. 27.03.2018 n. 7513; Cass. 10.11.2020 n. 25164 (per una illuminata disamina: D.Spera, “Le novità normative e la recente giurisprudenza suggeriscono un ritocco della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute?” in Ridare.it) che attribuisce autonomo rilievo alla sofferenza morale, intesa come dimensione interiore, meritevole di separata considerazione e valorizzazione accanto al danno biologico dinamico relazionale. (Cass 27.03.2018 n. 7513 cd. “ordinanza decalogo”, punto 8 <<In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione)>>.

I possibili “casi”

Ebbene, la cennata operazione di “distinguo” non sembra particolarmente agevole nelle ipotesi sopra menzionate; così, per esempio, poniamo che nei casi di cui alle lettere B e C di Cass. 28985/2019 l'effetto pregiudizievole consista nella impossibilità di avere figli.

Es. Tizia non si sarebbe sottoposta all'intervento se fosse stata informata del rischio, prevedibile ma non evitabile, di perdere la capacità procreativa (esito poi purtroppo verificatosi nonostante la perfetta esecuzione dell'operazione). Qui sarebbero astrattamente risarcibili sia il danno da lesione della salute (l'evento non si sarebbe verificato, dato che la paziente avrebbe rifiutato l'atto terapeutico), sia quello da violazione della libertà di autodeterminazione. Vi è da chiedersi, peraltro, se la sofferenza, il turbamento (ma lo stesso può dirsi per la componente dinamico – relazionale) derivante da tale privazione (l'aver perso la possibilità di realizzarsi come persona attraverso la genitorialità) non sia, in realtà, unica ed inscindibile, totalizzante ed intrinsecamente non scomponibile. Quale parte è ascrivibile all'uno piuttosto che all'altro dei due vulnera?

Il problema rivela tutta la sua delicatezza ove si sposti l'attenzione sulle “circostanze rilevanti” che il Giudice dovrebbe valutare al fine di “graduare” il risarcimento, ad es. per aumentare o diminuire il quantum del danno morale (nell'ambito della Tabella edizione 2021 per la lesione della integrità psico-fisica, tale voce viene indicata separatamente come “sofferenza soggettiva interiore media presumibile ” e può essere diversamente modulata sulla base delle “evidenze” istruttorie, dovendosi ogni volta verificare se di tale pregiudizio sia stata fornita idonea allegazione e prova, in conformità all'orientamento della Cassazione).


Sempre restando nell'ambito dell'esempio di cui sopra, potrebbero venire in rilievo (come “indici” per misurare l'intensità di quella frustrazione, di quel rammarico, di quello stravolgimento del proprio modo di vivere provocato dalla insorta sterilità) la giovane età della donna, la spiccata propensione alla cura e all'accudimento dei piccoli, attitudine percepita e vissuta come strumento per la miglior realizzazione della propria persona (ad es. l'aver rinunciato ad una possibile carriera lavorativa o l'aver intenzionalmente scelto una certa occupazione perché maggiormente conciliabile con gli impegni di una programmata ed ambita maternità), l'essere cresciuta in una famiglia numerosa e, in ragione delle esperienze positive derivatene, l'aver maturato un forte desiderio di avere figli.. ecc.

Ebbene, tali “elementi” potrebbero essere considerati per meglio “calibrare” ed adeguare il risarcimento della sofferenza morale: ma di quale? Di quella che costituisce “danno conseguenza” della lesione dell'autodeterminazione o di quella che deriva dal vulnus alla salute? Dove (o detto altrimenti: in che tabella) dovrà operarsi l'aumento? E queste circostanze non potrebbero altresì assumere rilievo per la “personalizzazione” (con riferimento alla compromissione della integrità psico - fisica)?

La domanda non è casuale perché tra i criteri orientativi che l'Osservatorio ha evidenziato, ai fini della modulazione del quantum del pregiudizio al diritto di autodeterminarsi in ambito sanitario, vi sono anche, precipuamente: “entità (rilevante o modesta) dei postumi”, “tenuità/gravità della sofferenza interiore conseguente agli esiti del trattamento (<<ad es. per la frustrazione di aspettative procreative>>)”, “vulnerabilità del paziente per età, stato di salute, condizioni personali” ecc..

Segue. La “dimensione e i confini” del danno da lesione del consenso informato

Quanto sin qui osservato non vuole affatto essere una “critica” (che questa penna nemmeno si arrogherebbe) alle modalità con cui è stata pensata e costruita la Tabella: il problema sta a monte; si tratta cioè di una riflessione che ha a che fare con la complessità del danno da lesione dell'autodeterminazione, sulla cui cifra ontologica dottrina e giurisprudenza da tempo discutono, senza avere, forse, completamente dissolto le ombre (ex plurimis : M. Gorgoni, nota a commento di Cass. 09.02.2010 n. 2847 “Ancora dubbi sul danno risarcibile a seguito di violazione dell'obbligo di informazione gravante sul sanitario” Resp.civ.prev., 2010, fasc. 5, 1014 ss.; più di recente P. Ziviz, “Autodeterminazione terapeutica e risarcimento del danno”, in Resp. medica 2019, n. 4; nota a commento di Cass. 11.11.2019 n. 2895 di G. Facci “San Martino, il consenso informato ed il risarcimento dei danni”, in Corr. Giur. 3/2020, 353) .

Prendendo spunto dai casi, si pensi per esempio alla errata diagnosi di malattia tumorale, cui consegua l'asportazione di un organo sano. Qui ben potrebbe dirsi che vi è stata una informazione del tutto sbagliata e quindi un consenso viziato ab origine (perché prestato su una falsa rappresentazione): il paziente non si sarebbe certo sottoposto a quel trattamento (del tutto inutile ed anzi dannoso); la sua scelta è stata deviata e vi è dunque lesione del diritto all'autodeterminazione cui si accompagna anche un vulnus alla salute correlato ad una prestazione del tutto imperita. (Si veda in tal senso Cass. 19.02.2013 n. 4030 secondo cui <<non è dunque avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione ad un contenuto di informazione medica assolutamente carente e fuorviante>>).

Ma quali sono le perdite derivate dalla lesione del diritto all'autodeterminazione? La sofferenza può essere correlata alla gravità della menomazione in sé (ed a tutte le “rinunce” imposte da quella disabilità sopravvenuta); poi potrebbe configurarsi (ed essere suscettibile di ulteriore valutazione “monetaria”, come un quid che rende più penoso il vulnus) il sentimento di rammarico per essere stati sottoposti ad un intervento del tutto insensato: ma questa “sofferenza” non sembra conseguenza della lesione del diritto all'autodeterminazione (o almeno non solo), essendo comunque intrinsecamente connessa (anche) alla acquisita consapevolezza del fatto di essere stati vittima di grave imperizia medica.

Una siffatta frustrazione sembrerebbe cioè legata, come momento di sintesi, alla più ampia presa di coscienza della “evitabilità dell'evento”; e questo turbamento non pare specificamente riferibile alla violazione del consenso, potendo manifestarsi in tutti i casi in cui si sia subito un pregiudizio per una azione /omissione colposa altrui (per definizione scongiurabile se solo l'agente fosse stato più accorto / perito).

Detto altrimenti: quel sentimento di tristezza o rabbia ben può essere “conseguenza” vuoi della lesione della salute derivante da condotta colposa (“se solo non avessi incontrato un sanitario così impreparato!”), vuoi della violazione del consenso (“se solo mi avessero rappresentato il reale stato delle cose, non mi sarei sottoposto all'intervento e non mi troverei in queste condizioni!”), e si atteggia come un “unicum” che origina pur sempre dalla stessa matrice (rappresentata da una condotta negligente: dal punto di vista eziologico è la non corretta informazione ad aver generato la catena degli eventi) .

E allora, tornando al caso sub B di Cass. n. 28985/ 2019, cosa si va concretamente a liquidare (per il danno da violazione del consenso) che non sia già “coperto” dal risarcimento del pregiudizio non patrimoniale alla salute? In fin dei conti, nel “ dolore dell'animo” per il fatto di dover vivere con una menomazione che si è costretti a sopportare in ragione di un illecito/inadempimento altrui potrebbe già dirsi compreso quel sentimento di afflizione correlato alla percezione della “ingiustizia” dell'offesa (come a dire: sto male, provo rabbia, frustrazione, disperazione perché so che questi terribili postumi potevano essere evitati : che poi ciò sia dipeso dal fatto che Tizio non mi ha correttamente informato – cosa che mi avrebbe fatto rifiutare l'intervento - piuttosto che dal fatto che ho incontrato un medico imperito non dovrebbe, in concreto, fare grossa differenza).

Quella “penosità” che si traduce nella sofferenza per la consapevolezza della evitabilità dell'evento sembrerebbe cioè essere un “danno – conseguenza” che già accompagna il vulnus alla integrità psico-fisica derivante da una condotta colposa.

Una certa autonomia liquidativa, con riferimento alla violazione del consenso, potrebbe, invece, essere più agevolmente riconoscibile nel caso di shock da impreparazione: es. se il medico mi avesse dato conto dei possibili effetti collaterali, non evitabili pur eseguendo il trattamento nel rispetto delle leges artis, mi sarei comunque meglio preparato a sopportarli. Si pensi, di nuovo, al caso C: qui potrebbe essere riconosciuto un danno da sofferenza che, forse, non è riconducibile al biologico in sé (la lesione della salute, che è ammessa a risarcimento, non è dipesa da una imperita esecuzione, da una negligenza, ma solo dall'aver assentito ad un intervento che si sarebbe rifiutato ove l'informazione fosse stata completa).

Si potrebbe però osservare – tornando ora al caso B - che un turbamento da “sorpresa” può accompagnare anche la lesione della salute cagionata da un crasso errore del chirurgo (es. nessuno verosimilmente si aspetterebbe di svegliarsi da una operazione “facile” con una grave menomazione). Qui, ove si assuma che vi sia stata anche violazione del consenso (il paziente non è stato correttamente informato e avrebbe rifiutato - caso B ), si fa fatica a comprendere quali sarebbero le “ricadute negative” , il danno conseguenza da lesione dell'autodeterminazione di cui (secondo la Cassazione) sarebbe astrattamente possibile una separata liquidazione (oltre a quello da compromissione della integrità fisica).

Né pare possa dirsi che ciò che va risarcita è la sofferenza in sé per la privazione della libertà di scegliere (il solo fatto di non aver potuto esprimere una decisione consapevole), posto che - come pare definitivamente acquisito (Cass. 11.11.2019 n. 28985; Cass. 16.03.2021 n. 7385) – il danno non può essere in re ipsa (non basta il vulnus). E dire che ciò che è venuto meno e che sarebbe risarcibile, appunto, in quanto “perdita” è la stessa possibilità di autodeterminarsi diversamente, altro non significa, a parere di chi scrive, che ammettere un danno in re ipsa.

Le potenzialità della Tabella

In definitiva: nei casi in cui sono astrattamente configurabili sia il vulnus alla salute sia quello all'autodeterminazione (esempi B e C) non sembra semplice stabilire – ai fini di una autonoma liquidazione – quale parte di quella sofferenza (o comunque di quelle ricadute esistenziali) sia ascrivibile, in termini di “danno – conseguenza”, alla violazione dell'uno piuttosto che dell'altro dei due diritti oggetto di aggressione (o se addirittura l'una assorba l'altra).

In diversi casi il “patema d'animo” che costituisce la conseguenza dell'evento originato dalla mancata /non corretta informazione parrebbe esaurirsi nello spettro della sofferenza intimamente correlata al biologico.

Entro questi termini, il fatto che la Tabella relativa al consenso informato indichi, tra i criteri orientativi, anche “l'entità delle ricadute sul bene salute e la sofferenza nocicettiva patita in conseguenza del trattamento” è elemento da valutare con attenzione, onde evitare di risarcire due volte (sotto forme diverse) quello che potrebbe essere lo stesso pregiudizio.

Ancora per fare un esempio, si pensi al paziente che, se debitamente edotto, avrebbe certamente scelto di sottoporsi ad un trattamento meno doloroso: qui si configurerebbe, accanto alla lesione del diritto all'autodeterminazione, verosimilmente anche la compromissione della salute, almeno sotto forma di ITT o ITP (in quanto causalmente collegata poiché, se informato, il paziente non si sarebbe venuto a trovare nella situazione in cui versa ): le maggiori sofferenze che la persona si trova a sopportare parrebbero riconducibili ad una invalidità temporanea (cioè ad un danno biologico); tenerne conto anche ai fini della liquidazione della lesione del pregiudizio per violazione del consenso parrebbe allora ultroneo.

Ovviamente, ci sono altre ipotesi (comunque già considerate ed esaminate dalla Cassazione in numerose pronunzie) in cui l'autonoma individuazione di una “perdita” non patrimoniale correlata alla violazione del consenso è di immediata evidenza, ed in cui i parametri indicati dalla Tabella costituiscono ben saldo punto di riferimento: si pensi, ad es, al testimone di Geova cui sia praticata una trasfusione contro la propria volontà (di recente sul tema: Cass. 23-12-2020 n. 29469 ) o ai casi di “wrongful birth” (che parrebbero da ricondurre entro l'ultimo range dei “Criteri orientativi”, per la “eccezionale” intensità del vulnus).

Vengono alla mente anche le situazioni in cui il paziente avrebbe fatto scelte diverse in ordine ai tempi dell'intervento (es. se informato delle pesanti conseguenze che sarebbero derivate dall'operazione, avrebbe preferito posticiparla per poter partecipare ad eventi della vita fonte di gratificazione, es. il matrimonio del figlio o il battesimo del nipote…).

Si considerino, altresì, le ipotesi (si veda Cass. 15.04.2019 n. 10423) in cui l'omessa colposa diagnosi abbia impedito alla persona di rendersi conto della gravità della malattia (con esito poi infausto) e di prepararsi o comunque di programmare gli ultimi momenti secondo le sue personalissime convinzioni (es. partire per un ultimo viaggio, se le condizioni fisiche lo consentivano).

Il danno da impreparazione

Vi sono, infine, i casi (già sopra menzionati) dello shock, dell'effetto sorpresa (a fronte di eventi avversi costituenti rischi prevedibili ma non evitabili nonostante l'osservanza delle leges artis di cui l'interessato non sia stato però informato): qui certamente la gravità della lesione (che potrebbe non essere autonomamente risarcibile come danno alla salute ove risulti che il paziente si sarebbe comunque sottoposto all'operazione, ad es. perché necessaria) potrebbe divenire punto di appoggio per la liquidazione del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione; con una avvertenza, però: come precisato dalla Cassazione in una più risalente decisione (Cass. 05.07.2017 n. 16503) <<la lesione del diritto all'autodeterminazione non corrisponde mai, attesa l'ontologica diversità tra i due diritti lesi, quello all'autodeterminazione e quello all'integrità psicofisica, al danno a quest'ultima in quanto tale, quasi consentendo una sorta di automatico recupero, per tale via, dell'esito infausto per il paziente di un intervento chirurgico pure correttamente eseguito>> (fattispecie in cui l'operazione, effettuata a regola d'arte, aveva comportato conseguenze sfavorevoli di cui la paziente non era stata informata).

Occorre, tuttavia, rilevare che Cass. 11.11.2019 n. 28985 sembrerebbe escludere il risarcimento del pregiudizio “da sorpresa” (per gli effetti indesiderati, es. complicanze prevedibili ma non evitabili nonostante l'osservanza delle leges artis) per il caso in cui il paziente avrebbe comunque accettato di farsi operare ( almeno così parrebbe doversi concludere alla luce del passaggio motivazionale di cui fanno parte i punti a), b) e c), in cui si afferma che “il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico (..)”.

E in questa direzione si muove dichiaratamente Cass. 16.11.2020 n. 25875 che, nel ribadire l'orientamento definitosi con Cass. 28985/19, nega il risarcimento del danno per lesione del diritto di autodeterminazione in un caso in cui la paziente, sottopostasi ad intervento abortivo cui era seguita (non per colpa dei sanitari) la perdita della capacità di procreare, non aveva provato che, se informata di detto rischio, non si sarebbe sottoposta al trattamento. Decisum, questo, che forse non pare completamente appagante: verrebbe infatti da pensare che una siffatta ipotesi il ragionamento controfattuale dovrebbe condurre ad affermare l'esistenza di una “deminutio”, di una conseguenza negativa che sarebbe stato possibile evitare e che si configura come “perdita” suscettibile di ristoro (cosa sarebbe successo se l'obbligo informativo fosse stato assolto? Tizia non avrebbe subito lo shock , non si sarebbe trovata di fronte all'amara realtà di scoprire, improvvisamente ed ex post, di aver assentito inconsapevolmente ad una terapia che l'ha privata per sempre della possibilità di avere figli).

Va però segnalato che la recente Cass. 16.03.2021 n. 7385 ammette il diritto al ristoro del “danno da impreparazione”, pur nell'ipotesi in cui manchi la prova che la paziente, se informata, avrebbe “fatto scelte diverse” sul percorso delle cure/ dei trattamenti (nel caso di specie si trattava di colposa omessa diagnosi di malformazione del nascituro; la madre non aveva provato che, ove edotta delle anomalie del feto, avrebbe abortito; tuttavia la stessa avrebbe potuto prendere cognizione della realtà ex ante e “programmare” di conseguenza la propria vita per adeguarla alle future esigenze del nato). Nello stesso senso si veda anche Cass. 25.06.2019 n. 16892 in De Jure, con nota di E. Emiliozzi “Malformazione fetale non diagnosticata: quali danni?”, in Diritto di famiglia e delle persone, fasc. 1, 2020, 162.

Vale altresì la pena ricordare che Cass. 09.02.2010 n. 2847, una tra le principali sentenze che hanno segnato il percorso “evolutivo” della giurisprudenza nel contesto di cui discorriamo, ammetteva il risarcimento per <<il turbamento o la sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate>>; nello stesso senso anche Cass. 23.03.2018 n. 7248.

Le decisioni di cui si è qui dato atto rivelano (con riguardo al profilo del danno da “sorpresa”) una certa fluidità, che induce a pensare che il quadro non brilli per chiarezza (ciò, si direbbe, a conferma della intrinseca difficoltà di definire le esatte coordinate di una figura che, per certi aspetti, appare ancora sfuggente).

Conclusioni

In conclusione, pare a chi scrive che l'attento ed approfondito lavoro condotto dall'Osservatorio rappresenti un encomiabile sforzo di sintesi, strumento non solo utile ma indispensabile per tracciare le coordinate e favorire una certa uniformità liquidativa. Spetterà però all'acuto sguardo ed al prudente apprezzamento del Giudice valutare, di volta in volta, se vi sia e quale sia il “danno conseguenza” derivante dalla violazione del consenso onde evitare sovrapposizioni o duplicazioni, non essendo facile stabilire, almeno per quanto si è cercato di esporre sin qui, i confini precisi entro cui inscrivere le ricadute sofferenziali e dinamico relazionali, specie in presenza di una concomitante, e parimenti risarcibili, compromissione della salute. In ciò dovrà riconoscersi un ruolo primario ed imprescindibile alle allegazioni ed alle prove fornite dalla parte (aspetto che viene ben posto in luce nella Relazione illustrativa): una corretta “perimetrazione” ed una adeguata aestimatio saranno possibili solo se, a monte, vi sarà stata, anzitutto, una accurata e minuziosa descrizione delle concrete “perdite subite”.

L'efficacia di questo validissimo strumento messo a disposizione dall'Osservatorio dipenderà, allora, in larga parte dalla capacità e dalla (auspicabile) ragionata ed illuminata ponderazione di chi lo saprà usare.

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