La revoca della patente, disposta dal giudice penale, ha connotazioni sostanzialmente punitive

19 Aprile 2021

È costituzionalmente illegittimo l'art. 30, comma 4, l. n. 11/3/1953 n. 87 in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, cod. strada.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 30, comma 4, l. n. 11/3/1953 n. 87 in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, cod. strada.

Lo ha deciso la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 68, depositata in cancelleria il 16 aprile 2021.

Il caso. Il GIP di Milano chiamato a pronunciare, in funzione di giudice dell'esecuzione, sulla richiesta di sostituzione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, applicata con la sentenza di patteggiamento in relazione al delitto di cui all'art. 589-bis, comma 1 c.p., con quella della sospensione alla luce della sentenza della Consulta 88/2019, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 222, comma 2, cod. strada, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, 35, 41, 117, comma 1 - in relazione agli artt. 6 e 7 della CEDU - e 136 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l. n. 11/3/1953 n. 87 nella parte in cui - nello stabilire che «[q]uando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali» - non estende tale disposizione anche alle «sanzioni amministrative che assumano natura sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione EDU».

L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilità delle questioni stante che la sanzione non potrebbe essere ritenuta ancora in corso di esecuzione, visto che la revoca della patente, che si risolve e si esaurisce nel provvedimento di rimozione del titolo abilitativo alla guida, è già stata adottata. Ne deriva che il giudice dell'esecuzione non potrebbe sostituire la revoca con la sospensione - che presuppone che l'interessato sia munito di valido titolo di abilitazione alla guida - facendo “rivivere” un titolo che è già stato ormai definitivamente rimosso.

La sentenza della Consulta. Dopo una preliminare ricognizione del panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento, la Consulta ricorda che, come già riconosciuto nella sentenza n. 43/2017, il tenore letterale della norma censurata lascia intendere come essa attenga alle sole « ».

Anche la giurisprudenza di legittimità, proprio a seguito della sentenza sanzioni formalmente penali e alle statuizioni tipicamente penali n. 88/2019, con specifico riguardo alla revoca della patente, ha negato che la stessa possa ritenersi sanzione di natura sostanzialmente penale sulla base dei “criteri europei”, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione non sarebbe abilitato a sostituirla con la sospensione a modifica del giudicato. La revoca della patente avrebbe, infatti, una finalità preventiva a tutela della sicurezza della circolazione stradale, «con estraneità funzionale agli aspetti meramente afflittivi della pena» (Cass. Pen., sez. I, 17/1/2020, n. 1804); l'inibizione è, d'altra parte, circoscritta a un ambito temporale limitato, decorso il quale è possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo alla guida: onde neppure il «grado di afflittività» della sanzione sarebbe tale da giustificare il superamento del dato nominalistico (Cass. Pen., sez. I, 22/12/2020, n. 37034; sez. fer., 24/8/2020, n. 24023 e sez. I, 30/4/2020, n. 13451).

Ciò premesso, la Consulta ritiene che non sia possibile negare che la revoca della patente, disposta dal giudice penale in relazione ai reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., che si accompagna dall'ulteriore effetto di precludere il conseguimento di una nuova patente di guida prima del decorso di 5 anni, abbia connotazioni sostanzialmente punitive.

In tal senso, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha preso più volte posizione sulla natura penale, agli effetti della Convenzione, di misure quali il ritiro e la sospensione della patente, o il divieto di condurre veicoli a motore, disposte a seguito dell'accertamento di infrazioni connesse alla circolazione stradale. Ne deriva un orientamento sostanzialmente univoco, alla luce del quale tali misure si connotano come di natura convenzionalmente penale quando l'inibizione alla guida si protragga per un lasso di tempo significativo, tanto più ove la loro applicazione consegua a una condanna penale (Corte EDU, 4/1/2017, Rivard/Svizzera; 17/2/2015, Boman/Finlandia; 13/12/2005, Nilsson/Svezia): venendo ad assumere, per il loro grado di severità, un carattere punitivo e dissuasivo (Corte EDU, 21/9/2006, Maszni/Romania); rientra nella «materia penale» il ritiro della patente per la durata di 18 mesi (Corte EDU, 13/12/2005, Nilsson/Svezia).

La Corte di Strasburgo è arrivata a qualificare come di natura penale, agli effetti della Convenzione, persino la misura della decurtazione dei punti della patente, in quanto idonea a determinare la perdita del titolo abilitativo alla guida; è «incontestabile che il diritto di condurre un veicolo a motore si rivela di grande utilità per la vita corrente e l'esercizio di una attività professionale»: di modo che, «anche se la misura è considerata dal diritto interno comune come una misura amministrativa preventiva non appartenente alla materia penale, è giocoforza constatare il suo carattere punitivo e dissuasivo» (Corte EDU, 5/10/2017, Varadinov/Bulgaria; 23/9/1998, Malige/Francia; 6/10/2011, Wagner/Lussemburgo).

Prosegue la Consulta rilevando che, anche da una prospettiva meramente “interna”, non può disconoscersi che ci si trovi al cospetto di una sanzione dalla carica afflittiva particolarmente elevata e dalla spiccata capacità dissuasiva: non poter condurre veicoli a motore per 5 anni può rappresentare una sanzione, in concreto, più temibile della stessa pena principale della reclusione, condizionalmente sospesa. D'altronde, in relazione alla medesima misura prevista dal precedente codice della strada (art. 91, comma 7, d.P.R. 15/6/1959, n. 393), che non la qualificava come «amministrativa», le Sezioni Unite della Cassazione avevano configurato la revoca (al pari della sospensione) della patente disposta dal giudice penale quale «pena accessoria», analoga all'interdizione o sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte (tipiche pene accessorie disciplinate dagli artt. 30, 31 e 35 c.p.), rilevando come essa, «comprimendo con inevitabile danno economico la libertà di circolazione - tanto sentita da questa società - e reprimendo nella maniera più acconcia lo scorretto esercizio di essa», costituisse «mezzo di prevenzione speciale idoneo ed efficace, più della stessa pena principale, cui aggiunge forza intimidatrice» (Cass. Pen., Sez. Un., 12/2/1991, n. 2246).

In quest'ottica, l'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 si pone in contrasto con l'art. 3 Cost.. Superando precedenti decisioni di segno contrario, la Corte Costituzionale ha ormai esteso alle sanzioni amministrative a carattere punitivo larga parte dello “statuto costituzionale” sostanziale delle sanzioni penali; ne deriva che va escluso - come per le sanzioni penali - che taluno debba continuare a scontare una sanzione amministrativa “punitiva” inflittagli in base a una norma dichiarata costituzionalmente illegittima, id est affetta da un vizio genetico.

Ne deriva che non appare costituzionalmente tollerabile che taluno debba rimanere soggetto per 5 anni, anziché per un periodo di tempo nettamente minore, a una sanzione inibitoria della guida di veicoli a motore - con tutte le limitazioni che ciò comporta, compresa l'impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa - inflittagli sulla base di una norma che, all'indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è stata riconosciuta contrastante con la Costituzione. Ciò, quando invece il condannato a una, anche modesta, pena pecuniaria potrebbe giovarsi, finché non è eseguita, della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale che ne mitighi l'importo.

In conclusione, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l. n. 11/3/1953 n. 87, in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2 cod. strada.

Fonte: Diritto e Giustizia

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