Responsabilità della banca negoziatrice e spedizione postale di assegno non trasferibile: le SS.UU. n. 9769/2020

21 Aprile 2021

Con un recente arresto (n. 9769/2020) le Sezioni Unite hanno sconfessato il consolidato orientamento giurisprudenziale che negava la concorrente responsabilità del mittente di un assegno non trasferibile per averne affidato il recapito alla posta ordinaria, e, quindi, la riduzione del risarcimento del danno da questi subito per l'erroneo pagamento fattone dalla Banca negoziatrice, a seguito del suo trafugamento, ad una persona diversa dal prenditore.
I precedenti della giurisprudenza di legittimità

Con un recente arresto (n. 9769/2020) le Sezioni Unite hanno sconfessato il consolidato orientamento giurisprudenziale che negava la concorrente responsabilità del mittente di un assegno non trasferibile per averne affidato il recapito alla posta ordinaria, e, quindi, la riduzione del risarcimento del danno da questi subito per l'erroneo pagamento fattone dalla Banca negoziatrice, a seguito del suo trafugamento, ad una persona diversa dal prenditore (previa la contraffazione del cognome e nome di quest'ultimo nel modulo di assegno ovvero la falsificazione della sua firma).

Secondo la giurisprudenza dominante, infatti, “in materia di spedizione, per via postale ordinaria, di un titolo di credito pagabile all'ordine, munito della clausola di non trasferibilità, ove il pagamento a soggetto non legittimato sia attribuibile a negligenza della banca negoziatrice, ai fini della valutazione comparativa dell'incidenza o meno della colpa del creditore-emittente nella determinazione del danno, da accertare in concreto e alla luce del principio di "causalità adeguata", non rilevano né il rischio generico assunto dall'emittente nell'affidarsi al servizio postale ordinario, né le modalità con le quali è stato spedito il plico postale” (Cass. civ. nn. 3100/2019, 1049/2019).

Questo orientamento si fondava su varie ragioni espresse per lo più in modo disorganico o parziale.

Una loro puntuale ricostruzione può farsi a partire dalla distinzione tra quelle che negavano l'illiceità della condotta del mittente e quelle che escludevano che a questa, quand'anche dovesse reputarsi illecita, potesse riconoscersi una qualche efficienza causale nella produzione dell'evento dannoso, identificato nel pagamento dell'assegno non trasferibile ad una persona diversa dal prenditore.

L'insieme di tali ragioni è sintetizzato in un precedente (Cass. civ. n. 7618/2010) la cui motivazione può considerarsi paradigmatica.

In quell'occasione la Corte negò anzitutto un qualsiasi disvalore giuridico alla spedizione degli assegni non trasferibili per posta ordinaria (o raccomandata), anziché per “assicurata”.

Ciò in quanto la “normativa postale… in materia di corrispondenze e pacchi (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 83 e 84)… per la quale "è vietato d'includere nelle corrispondenze ordinarie, in quelle raccomandate e nei pacchi ordinari denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore” in primo luogo “attiene ai rapporti fra Ente Postale ed utenti”, e quindi ad un rapporto giuridico che non viene in rilievo nel caso specifico, non trattandosi di un'azione proposta contro Poste per lo smarrimento del plico consegnatole, bensì contro la banca negoziatrice per l'erroneo pagamento dell'assegno.

Secondariamente (e soprattutto) perchè “l'assegno non trasferibile e sbarrato non è equiparabile, nè agli oggetti preziosi, nè al denaro, nè alle carte di valore esigibili al portatore”.

E, come la Corte stessa ha osservato in altre decisioni (Cass. civ. n. 1049/2019), le anzidette disposizioni, “di stretta interpretazione, regolano la circolazione di beni mobili aventi un autonomo valore intrinseco, a prescindere da chi li detiene, mentre la clausola di non trasferibilità impedisce all'origine l'acquisizione di tale carattere ".

Quindi le disposizioni citate non vietano affatto la spedizione di assegni non trasferibili per posta ordinaria (o raccomandata), per cui questa è del tutto lecita.

Quanto al secondo aspetto, invece, quella sentenza osservò che, nel caso specifico, l'evento dannoso è costituito proprio dal pagamento dell'assegno a chi non ne è il prenditore.

E che tale evento è causato dalla condotta colposa della banca negoziatrice, per “avere posto all'incasso il titolo nonostante l'evidente falsificazione” (ovvero a causa di una negligente identificazione del presentatore), ed eventualmente da quella della banca trattaria, per non aver rilevato tale alterazione ove il titolo le sia stato “presentato in stanza di compensazione” (ciò che avviene per gli assegni di importo superiore ad € 5.000,00).

Tali condotte, invero, integrano altrettanti “fatti sopravvenuti all'inserimento del titolo nella corrispondenza ordinaria” da parte del mittente.

Anche volendo qualificare quest'ultima come una “condotta colposa”, si dovrebbe comunque riconoscere che essa non esplica alcuna “efficacia causale concorrente” ai fini del suddetto pagamento, dovendosi perciò escludere una responsabilità concorsuale del mittente, ex art. 1227, c. 1, c.c..

In tal modo, si esclude la condotta del mittente dalla serie causale produttiva dell'evento dannoso, attribuendole il ruolo di mera “occasione” dell'evento stesso o, meglio, dei fatti causalmente rilevanti sopravvenuti che si sono testé menzionati, attribuendo (solo) a questi il ruolo di “fattor[i] sufficient[i] da sol[i] a produrre l'evento”, secondo il principio della causalità efficiente dettato dall'art. 41, c. 2, c.p. (Cass. civ. nn. 15762/2019, 92/2017).

Tali ultime argomentazioni, quindi, si sviluppavano esclusivamente sul piano del rapporto di causalità materiale tra antecedenti storici ed evento dannoso.

Il revirement di S.U. n. 9769/2020, la natura della responsabilità della banca negoziatrice e l'evento dannoso tipico della fattispecie

La sentenza n. 9769/2020 delle Sezioni Unite ha contraddetto tale indirizzo, affermando il seguente principio di diritto: “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d'intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l'affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l'esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl'interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell'evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell'identificazione del presentatore”.

Le argomentazioni con le quali le SS. UU. hanno motivato tale revirement partono dall'assunto secondo il quale il precitato orientamento avrebbe quale “presupposto, non sempre chiaramente enunciato, ed anzi talvolta deliberatamente relegato in secondo piano (cfr. per tutte Cass., Sez.I, 16/05/2003, n. 7653 cit.), nella sottolineatura della funzione assegnata alla clausola d'intrasferibilità, consistente nel garantire il richiedente o il prenditore proprio contro il rischio del furto, dello smarrimento o della distruzione del titolo, e ritenuta quindi incompatibile con l'accollo sia pure parziale della relativa responsabilità” al mittente del titolo.

In tal modo le SS.UU. attribuiscono ai precedenti succitati di aver fondato la negazione di quest'ultima su una ricostruzione della responsabilità della banca negoziatrice prevista dall'art. 43, c. 2, r.d. n. 1736/1933 (cd. legge assegni) in termini di responsabilità oggettiva.

Tesi però superata da un recente arresto delle stesse SS.UU. (n. 12477/2018), che vi ha, invece, ravvisato “un'ipotesi di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale".

Conseguentemente, secondo la sentenza in esame, verrebbe “a cadere, definitivamente, il primo degli argomenti a favore della tesi che esclude il concorso di colpa del mittente”, peraltro già “indebolito dall'esclusione della natura cambiaria della obbligazione gravante sulla banca”.

Ciò che verrebbe in proscenio nel caso specifico, infatti, non sarebbe l'”inadempimento del debito cambiario”, bensì il complessivo “processo di trasmissione e pagamento del titolo”, rispetto al quale non potrebbe escludersi “in linea di principio” la responsabilità concorrente “di altri soggetti eventualmente intervenuti nel predetto processo”.

Questa ricostruzione, tuttavia, si fonda su un “processo alle intenzioni” del predetto orientamento che è palesemente fuorviante, per di più correlato ad un evidente errore nell'identificazione dell'evento dannoso che connota la fattispecie in esame.

Anzitutto è facile constatare come, nei precedenti giurisprudenziali succitati, l'esclusione della responsabilità del mittente non viene mai motivata con la natura (cambiaria o meno) della responsabilità prevista dall'art. 43 legge assegni o con la funzione che si fosse inteso assegnare alla clausola di intrasferibilità dell'assegno.

E ciò non già perché gli estensori di quelle sentenze abbiano dissimulato il loro pensiero, ma perché, ben diversamente, hanno correttamente identificato l'evento dannoso proprio dell'inadempimento attribuito alla banca negoziatrice.
E cioè il pagamento dell'assegno non trasferibile a chi non ne era il prenditore.

È questo, invero, il fatto che l'art. 43 legge assegni sanziona con la responsabilità di chi quell'assegno abbia erroneamente pagato. Ed, inoltre, è questo, e solo questo, l'evento che reca danno al traente dell'assegno.

Quindi, l'illecito attribuibile alla banca negoziatrice non è per nulla connotato dalla funzione che s'intenda attribuire alla clausola di intrasferibilità o dalla qualificazione in termini oggettivi della responsabilità che ne consegue, poiché l'evento causativo del danno subito dal traente è il (solo) pagamento eseguito, in violazione di quella clausola, ad una persona diversa dal prenditore dell'assegno.

La natura della responsabilità del danneggiante, oggettiva piuttosto che contrattuale da c.d. contatto sociale, non esplica quindi alcun effetto sulla rilevanza causale della condotta del mittente dell'assegno ai fini dell'evento dannoso tipico della fattispecie.

Si tratta piuttosto di stabilire se alla medesima condotta possa attribuirsi o meno una qualche efficacia causale ai fini del suddetto pagamento.

Correlativamente, compiono un evidente errore le SS.UU. quando dilatano l'evento dannoso in questione fino a ricomprendervi, oltre al “pagamento del titolo”, pure il suo “processo di trasmissione” al prenditore, ampliandone artificiosamente il contenuto per poter affermare la rilevanza causale delle modalità di spedizione scelte dal mittente.

La previsione dell'art. 43 legge assegni, infatti, fa riferimento al solo pagamento del titolo e, come si è detto, il danno del traente deriva esclusivamente dall'erroneo pagamento dell'assegno, in violazione della clausola di intrasferibilità.

Le modalità con le quali il traente trasmette l'assegno al prenditore sono, quindi, estranee all'evento dannoso giuridicamente rilevante ai fini dell'art. 43 citato.

Esse riguardano le circostanze in cui il suo presentatore ne viene in possesso, e non quelle in cui la banca che lo negozia esegue il suo pagamento.

Quindi, non è affatto vero che le condotte dei “soggetti intervenuti” nel “processo di trasmissione” dell'assegno divengano potenzialmente rilevanti, sotto il profilo causale, per il solo fatto che l'obbligazione di diligenza della banca negoziatrice non rivesta “natura cambiaria”, ma contrattuale.

Tale qualificazione giuridica della responsabilità del danneggiante, invero, non influenza per nulla l'identità ed il perimetro dell'”evento dannoso” individuato dall'art. 43 cit. e, di riflesso, l'efficacia causale della condotta del danneggiato ai fini della produzione di tale evento (e, quindi, la sua rilevanza ai fini dell'art. 1227, primo comma c.c.).

La condotta del mittente: concausa dell'errato pagamento o mero antecedente storico?

Le SS.UU. sono poi entrate nel merito della questione, asserendo che sarebbe “oggettivamente difficile negare che… le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano esplicare un'efficacia causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato”, poiché “tale pagamento non può aver luogo in mancanza della materiale disponibilità dell'assegno”.

E poiché “il possesso del documento rappresenta una condizione essenziale per l'esercizio del diritto in esso incorporato”, qualora questo sia stato causato o agevolato da “modalità di trasmissione inidonee” a garantirne la consegna al destinatario, non dovrebbe dubitarsi “che la scelta delle predette modalità costituisca... un antecedente necessario dell'evento dannoso… affatto inverosimile o imprevedibile”.

E, quindi, rilevante sotto il profilo causale.

Si tratta però di affermazioni che scontano da un lato il “peccato originale” di una non corretta identificazione dell'evento dannoso cui deve riferirsi la valutazione della rilevanza causale della condotta considerata e dall'altro un evidente errore di prospettiva, indotto proprio da questa fuorviante impostazione.

Infatti, se è indubbio che le modalità con le quali il presentatore è venuto in possesso dell'assegno costituiscono un antecedente storico del suddetto evento dannoso, è altrettanto vero che tale constatazione non è, di per sé sola, sufficiente a decretarne la rilevanza causale ai fini della produzione del medesimo evento.

A tal fine, invero, è indispensabile che l'antecedente abbia concorso a cagionare non già solo il “danno” (ossia il pregiudizio patrimoniale risentito dal danneggiato), ma pure l'”evento dannoso” (e cioè il fatto che quel danno ha causato), posto che il primo comma dell'art. 1227 c.c., ai fini della corresponsabilità del danneggiato, esige che questi abbia partecipato alla produzione del danno mediante un proprio “fatto colposo”, per modo che tale danno sia anche a lui imputabile.

Questa è, invero, la tradizionale lettura nomofilattica della disposizione in parola (Cass. civ. nn. 23426/2014, 13242/2007, 5511/2003) riproposta da un recente arresto (Cass. civ. n. 1295/2017) che ne ha esaurientemente ricostruito i presupposti argomentativi e le conclusioni, secondo le quali, “affinchè la condotta del danneggiato integri la fattispecie di cui all'art. 1227, c. 1, c.c., occorre che essa costituisca una colposa cooperazione attiva per la realizzazione del fatto dannoso”.

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità è da tempo ferma nel respingere “la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di ‘‘danno evento”” (SS.UU. n. 26972/2008) e nel negare che possa darsi l'ipotesi di un danno in re ipsa.

Ciò anche in materia di danni patrimoniali (ex multis: Cass. civ. n. 13071/2018, 26269/2019), tanto più quando siano conseguenza di un inadempimento (Cass. civ. n. 31233/2018), com'è nel caso in esame.

Tale netta distinzione tra evento dannoso e danno è sottolineata proprio dal primo comma dell'art. 1227 c.c., laddove prevede la riduzione del risarcimento dovuto al danneggiato nel solo caso che questi abbia contribuito a cagionare il “danno” (non già con una “condotta colposa”, ma) col proprio “fatto colposo”, e cioè con una fattiva cooperazione all'evento cui sia conseguito il medesimo danno, e, al tempo stesso, in tal modo distingue l'evento dannoso dal danno che ne consegue.

Il concorso colposo del danneggiato implica, quindi, necessariamente che l'evento dannoso (o, più precisamente, nel caso specifico, l'inadempimento) sia anche a lui imputabile.

Ciò detto, è semplice constatare come il mittente che affida alla posta ordinaria un assegno non trasferibile non coopera per nulla all'indebito pagamento che, successivamente, la banca negoziatrice ne faccia “a persona diversa dal prenditore” (per aver negligentemente identificato colui che glielo ha presentato e/o per non essersi avveduta di una sua percepibile manomissione), e cioè all'evento dannoso tipico della fattispecie in esame.

Quindi, se anche potesse dirsi che la sua condotta sia colposa e concorra a causare il danno (cosa di cui si dubita, per i motivi che si diranno), di certo non potrebbe affermarsi che essa contribuisca a cagionare tale evento dannoso, e quindi non sarebbe comunque possibile predicarne la corresponsabilità e la conseguente riduzione del risarcimento dovutogli (come osservato da Cass. civ. n. 20911/2018).

Conclusione questa alla quale si perviene agevolmente sulla base della suddetta, consolidata giurisprudenza per cui “il fatto colposo del danneggiato, rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all'evento dannoso, non potendo quest'ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, né potendosi collegare direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito; ne consegue che non ogni esposizione a rischio da parte del danneggiato è idonea a determinarne un concorso giuridicamente rilevante, all'uopo occorrendo, al contrario, che tale condotta costituisca concreta concausa dell'evento dannoso” (Cass. civ. n. 295/2017).

Esattamente il contrario di quanto presuppone la soluzione accolta dalle SS.UU. che, al di là dei nominalismi, attribuisce rilievo ad una (asserita) causa del danno, che non è tale invece per l'evento dannoso.

L'evidente distonia di questa tesi rispetto allo scenario dogmatico testé descritto e la resilienza di quest'ultimo a tale devianza sono state ben presto dimostrate dalle numerose sentenze di merito che si sono discostate dal nuovo orientamento.

E lo hanno fatto con motivazioni immancabilmente incentrate, seppur con diversi accenti, sull'irrilevanza causale della condotta del mittente ai fini dell'inadempimento degli obblighi di diligenza della banca negoziatrice (fra queste: Trib. Milano nn. 3965/2020, 4112/2020, Trib. Bergamo n. 1606/2020, Trib. Roma n. 1627/2021, 2254/2021).

Motivazioni che, più o meno consapevolmente, rinviano al fatto per cui il mittente che spedisca un assegno non trasferibile per posta ordinaria non coopera in alcun modo al suo indebito pagamento eseguito dalla banca negoziatrice.

Giudizio di legittimità e modalità di spedizione dell'assegno non trasferibile

Tali considerazioni parrebbero dirimenti ai fini di respingere la tesi accolta dalle SS.UU.: se le modalità di spedizione di un assegno non trasferibile non hanno rilievo causale ai fini dal suo indebito pagamento, invero, la questione può dirsi risolta con la negazione del concorso di colpa del mittente.

Ciò nondimeno, non è inutile riflettere su altre questioni poste dalla motivazione di SS.UU. n. 9769/2020 che appaiono decisamente problematiche.

Anzitutto per interrogarsi sulle argomentazioni in fatto che ivi si leggono e che, anzi, costituiscono il presupposto fondativo del principio di diritto affermato, secondo il quale “la spedizione per posta ordinaria di un assegno” implicherebbe “l'esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza” ed integrerebbe, quindi, una condotta colposa del danneggiato “concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell'identificazione del presentatore”.

Per chiedersi se queste possano trovare spazio nel giudizio di legittimità.

La sentenza stessa dà atto, invero, di non pochi precedenti delle sezioni semplici che avevano “dichiarato inammissibile la relativa questione, ritenendola attinente al merito” (Cass. civ. nn. 6979/2019, 24659/2019, 3406/2016).

E ben vero che, in proposito, le SS.UU., pur riconoscendo che “l'accertamento del nesso causale… si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito”, rivendicano il sindacato di legittimità sul “criterio da adottare per la selezione, tra le possibili concause dell'illecito, degli antecedenti in concreto rilevanti per la produzione del danno” ai fini del controllo della concreta sussunzione della “fattispecie accertata” nell'”ipotesi normativa”.

Ma è altrettanto vero che la dettagliata analisi del “processo di trasmissione” degli assegni attuato mediante le diverse modalità di spedizione postale che la Corte adduce a sostegno della propria tesi pare andare ben oltre i confini della scelta del criterio selettivo dei fatti rilevanti, addentrandosi nel territorio dei fatti stessi e, dunque, nel dominio proprio del giudice di merito, come risulterà evidente da quanto si dirà poi.

Infatti, è pacifico che sia “estranea alla denuncia di vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale” (Cass. civ. n. 6035/2018).

Ciò in quanto “la violazione delle norme di diritto, infatti, viene in rilievo non già in relazione alla ricostruzione del fatto materiale ma rispetto al giudizio di sussunzione, compiuto, secondo l'ordine logico, in un momento successivo dal giudice del merito, consistente nella qualificazione dei fatti accertati e nella individuazione della disciplina giuridica applicabile” (Cass. civ. n. 12487/2020).

È, invece, proprio sul piano della ricostruzione del fatto materiale riguardante la scelta del mezzo di spedizione dell'assegno e delle modalità con le quali questa avviene che si collocano le ragioni della decisione in commento.

Scelta del mezzo di spedizione dell'assegno e modalità di spedizione postale

Secondo le SS.UU. il mittente sarebbe responsabile della scelta del mezzo di spedizione al prenditore dell'assegno non trasferibile in virtù di un onere imposto dalla comune prudenza, che prescriverebbe di evitare “l'esposizione volontaria o comunque consapevole ad un rischio” tale da porsi “al di sopra della soglia di normalità”.

Tale onere imporrebbe al mittente di avvalersi di “strumenti bancari più rapidi e sicuri” dell'assegno, quale il bonifico, oppure “di forme di corrispondenza che offrono adeguate garanzie”, quali la raccomandata o l'assicurata, rispetto alla “posta ordinaria”, stante la notorietà della “preoccupante frequenza con cui, in caso di trasmissione degli assegni per posta ordinaria, si verificano siffatte sottrazioni, a fronte del quale il gestore del servizio postale non è in grado di fornire adeguate garanzie”.

Il mittente sarebbe così onerato di scongiurare “un aggravamento della posizione della banca trattaria o negoziatrice” che, in caso di impiego della posta ordinaria, si troverebbe “maggiormente esposta alla possibilità di andare incontro a responsabilità, e quindi costretta a munirsi di strumenti tecnici sempre più sofisticati e costosi per l'identificazione dei presentatori ed il contrasto dell'uso di documenti falsificati”.

A questo riguardo la sentenza si addentra in un'analisi delle diverse modalità di spedizione postale, osservando che la “posta raccomandata ed assicurata” prevede “la tracciatura elettronica della spedizione”, consentendo al mittente “di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico… dal momento della spedizione a quello della consegna”, e facendo sì che quest'ultima avvenga “a mani del destinatario… anziché mediante la semplice immissione in cassetta”.

In tal modo il mittente “in caso di ritardo prolungato nella consegna” potrebbe “attivarsi tempestivamente” per evitare il pagamento dell'assegno contenuto nel plico postale.

A differenza di quel che avviene per la posta ordinaria, il cui impiego “implica la perdita di ogni controllo in ordine alla fase della trasmissione” del plico e, quindi, “l'assunzione da parte del mittente di un evidente rischio” di sottrazione dell'assegno e di indebito incasso della somma da questo portata “da parte di un soggetto non legittimato”.

Ciò che si porrebbe, quindi, in contrasto non solo “con le regole di comune prudenza”, ma pure “con il dovere di agire in modo da preservare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda… in ossequio al principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost.”.

La prima obiezione da muoversi a questo sillogismo è che la ricostruzione delle sue premesse in fatto è assai poco realistica.

Anzitutto, se le sottrazioni di posta ordinaria durante la spedizione postale sono notorie, non meno lo sono quelle delle raccomandate, com'è dimostrato dal fatto che, in realtà, molti assegni di traenza non trasferibili trafugati durante la spedizione postale vengono spediti dai cd. clienti “corporate” (o “grandi clienti”) di Poste Italiane (sovente presso gli appositi “centri dedicati”) proprio per raccomandata.

Il che, di per sé, sarebbe sufficiente a minare dalle fondamenta l'anzidetta costruzione argomentativa, dimostrando che, in concreto, la “tracciatura” della corrispondenza raccomandata non sia di per sé sufficiente a differenziarne i rischi rispetto a quelli propri della posta ordinaria.

Secondariamente, la giurisprudenza di merito ha osservato che “la scelta di spedire l'assegno a mezzo di posta ordinaria, anziché con raccomandata o assicurata”, in realtà, non incrementa affatto “il rischio di sottrazione del plico e, quindi, dell'assegno”, perché il plico raccomandato (o assicurato) non viaggia e non viene “smistato secondo canali diversi, separati o preferenziali e più sicuri rispetto alla posta ordinaria” (Trib. Milano n. 3965/2020 citata).

Ed, infatti, “se è vero che nel momento della consegna, la lettera raccomandata o assicurata debba essere consegnata a mani del destinatario o di persona autorizzata al ritiro e non possa, invece, essere immessa nella cassetta postale, altrettanto vero è che ciò attiene alla sola fase finale della spedizione, rimanendo il differente mezzo di spedizione privo di rilevanza pertutte le fasi precedenti di lavorazione (trasporto e smistamento), durante le quali più verosimilmente la corrispondenza viene intercettata e trafugata (una volta giunti, infatti, alla fase della consegna, la lettera risulta dai registri interni presa in carico dal portalettere, rendendo in tal modo facilmente identificabile il soggetto che ne ha perso il controllo)” (ivi).

La stessa giurisprudenza critica, inoltre, la pretesa efficacia del monitoraggio che il mittente potrebbe esercitare sulla spedizione della corrispondenza raccomandata ai fini di prevenire l'incasso fraudolento degli assegni sottratti, poiché “il breve lasso di tempo intercorrente tra il trafugamento dell'assegno e la sua presentazione all'incasso comunque non consentirebbe” di intervenire tempestivamente per evitarne il pagamento.

Quanto, poi, all'impiego di “strumenti di pagamento” alternativi all'invio postale dell'assegno bancario, che le SS.UU. ritengono “ben più moderni e sicuri”, la Corte si già data da sé una prima riposta, laddove ha constatato che questi non sono utilizzabili quando “il beneficiario” non disponga di “un conto corrente … sul quale poter far affluire l'accredito”.

Ma ha tralasciato di considerare come, in un numero ben maggiore di casi, il debitore del pagamento non sia a conoscenza degli estremi dell'eventuale conto corrente del creditore, indispensabili per disporre un bonifico in suo favore, o questi addirittura non acconsenta all'impiego di tale mezzo di pagamento (come avviene, ad esempio, normalmente per quelli eseguiti dagli assicuratori della r.c. a favore dei terzi danneggiati).

Ma anche sulla superiore sicurezza di tali “strumenti di pagamento” è lecito nutrire più di qualche dubbio, considerato il costante incremento del contenzioso giudiziario in tema di frodi informatiche, dalle quali anche i bonifici sono tutt'altro che immuni.

Com'è testimoniato dalla giurisprudenza (a titolo di esempio, si vedano: Cass. civ. nn. 9158/2018, 10638/2018, Appello Bologna n. 1352/2020, Trib. Siracusa n. 200/2019, Trib. Verona n. 1974/2019, Trib. Parma n. 1268/2018, Trib. Roma n. 16221/2018) e dal nutrito numero di decisioni del Conciliatore Bancario e Finanziario che consegue al continuo “aumento [de]i ricorsi riguardanti bonifici e carte di credito”, specie fra i “non consumatori” (“Relazione sull'attività dell'Arbitro Bancario Finanziario”, Banca d'Italia, 2019, 26).

La sottrazione dell'assegno: fatto colposo del mittente o inadempimento del gestore del servizio postale?

Un altro aspetto problematico della pronuncia in esame è che, laddove ha attribuito al mittente “l'assunzione di un evidente rischio, consistente nella sottrazione del titolo” durante la “lavorazione” del plico spedito per posta ordinaria, ha omesso di considerare la natura del contratto di spedizione postale e l'oggetto delle obbligazioni che ne conseguono.

Infatti, quello in questione è un contratto di trasporto di cose, espressamente assoggettato alle disposizioni del codice civile dall'art. 1680 c.c. (che si riferisce anche ai “trasporti… postali”).

Pertanto, pure il vettore postale risponde della perdita delle cose trasportate, “se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”, giusta il disposto del primo comma dell'art. 1681 c.c., e deve risarcire quest'ultimo, come prevede l'art. 1693 c.c..

Si badi che tale responsabilità, a norma del terzo comma dell'art. 1681 c.c., si estende pure al “trasporto gratuito”, essendo perciò irrilevanti, a fini della responsabilità del vettore postale, sia la misura del corrispettivo pagato dal mittente, sia le diverse caratteristiche dei differenti servizi da questi offerti (posta ordinaria, raccomandata o assicurata).

Quindi, nel contratto di spedizione, la consegna al vettore fa sorgere in capo ad esso “l'obbligo di conservare e custodire la cosa consegnatagli (Cass. civ. n. 7533/2009).

All'inadempimento di tale obbligo costituito dalla perdita della cosa consegue una “presunzione di responsabilità ex recepto” che questi può vincere solo provando il caso fortuito, e cioè “un evento positivamente identificato e del tutto estraneo al vettore stesso” (Cass. civ. n. 28612/2013), ovvero uno degli altri fatti indicati dal primo comma dell'art. 1693 c.c..

Il vettore postale non è esonerato da questo regime giuridico.

L'abrogazione dell'”esonero” un tempo previsto dall'art. 6 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Codice postale), avvenuta ancora ad opera dell'art. 218, c. 1, lettera s) del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, dopo una serie di pronunce di illegittimità costituzionale (ultima la n. 46/2011 per i residuali effetti di detta disposizione sui rapporti anteriori all'abrogazione), ha invero eliminato tale “privilegio” che la legislazione stabiliva a suo favore.

Peraltro, già in precedenza la giurisprudenza aveva affermato la responsabilità ex recepto dell'amministrazione postale (ad esempio, per i pacchi postali) in caso di “furto non accompagnato da violenza o minaccia alle persone”, parificandola a quella del vettore privato (Cass. civ. n. 7532/1986).

Ne consegue che Poste Italiane, medio tempore “privatizzata” ex lege n. 71/1994, oggi risponde dei danni causati dall'inadempimento degli obblighi di custodia della corrispondenza ad essa affidata ex art. 1681 c.c. ed è, quindi, obbligata ad adottare “tutte le misure idonee a evitare il danno” derivante dalla sua perdita.

Tale obbligo non è condizionato alla tipologia del servizio reso al mittente e non è attenuato nemmeno con riguardo a quello di “posta ordinaria”, meno costoso e più diffuso.

Posto che l'art. 1681 c.c., come detto, ai fini della responsabilità ex recepto del vettore, equipara al trasporto oneroso addirittura quello gratuito.

Come si è visto, l'invio degli assegni non trasferibili per posta ordinaria è del tutto lecito, non incorrendo nel divieto imposto dall'art. 83 del d.P.R. n. 156/1973.

Per cui il mittente che consegna al vettore postale un plico di posta ordinaria contenente un assegno non trasferibile non solo non viola alcuna norma, ma stipula per facta concludentia un contratto di trasporto che il medesimo vettore si obbliga ad eseguire adottando “tutte le misure idonee a evitare” la sua perdita, dovendo rispondere (per di più, a titolo di responsabilità presunta) del proprio inadempimento.

Osservato che, per ciò stesso, una simile spedizione non può configurare il “fatto del mittente” che, a norma dell'art. 1693 c.c., esclude la responsabilità ex recepto del vettore postale, non è nemmeno dato comprendere, invero, come essa possa costituire un “fatto colposo” del mittente stesso, tale da poter astrattamente rilevare ai fini del primo comma dell'art. 1227 c.c..

Oltre che lecita, invero, tale modalità di spedizione appare socialmente adeguata al fine di far pervenire l'assegno al destinatario in sicurezza, essendo questa, oltre che idonea a tal fine, garantita dall'obbligo di custodia specificamente assunto dal vettore postale.

Tanto più che, in caso di sottrazione del plico contenente l'assegno e, quindi, di perdita della cosa trasportata, quest'ultimo è tenuto a risponderne a titolo di responsabilità contrattuale, ed in virtù di un regime giuridico particolarmente severo (di responsabilità presunta).

Ciò che, anche in termini di analisi economica del diritto, rappresenta una misura giuridica efficiente ai fini di incentivare l'adempimento dell'obbligazione di custodia assunta dal vettore postale, adottando le misure necessarie a prevenire un danno che si colloca nella sua sfera di operatività e, quindi, di prevenibilità.

E questo anche con riguardo al servizio di posta ordinaria, poiché la norma positiva, come detto, non prevede differenziazioni della sua responsabilità e del relativo regime probatorio a seconda della tipologia dei servizi offerti.

In questo scenario l'assunto della sentenza in commento secondo il quale “il gestore del servizio postale non è in grado di fornire adeguate garanzie di buon esito della spedizione” risulta incomprensibile, poichè, come si è visto, è la legge stessa che lo obbliga a garantire tale “buon esito”, e lo fa prevedendo un regime giuridico particolarmente severo nei suoi riguardi.

Queste considerazioni, sotto il profilo fattuale, portano a conclusioni opposte a quelle accolte dalle SS.UU., quanto alla valutazione della condotta del mittente con riguardo all'asserito, maggior rischio che questi (ingiustificatamente) si assumerebbe servendosi della posta ordinaria.

Ma inducono riflessioni ancor più pregnanti sul piano giuridico.

Sotto questo profilo, infatti, la soluzione adottata dalle SS.UU. consiste in un vero e proprio paradosso, per cui il mittente diviene responsabile della sottrazione dell'assegno per averlo affidato a chi si era contrattualmente obbligato custodirlo (per consegnarlo al destinatario).

In tal modo alla parte adempiente del contratto di spedizione postale, e cioè al mittente che ha regolarmente pagato il corrispettivo pattuito, vengono addossate le conseguenze dannose dell'inadempimento dell'altro contraente, e cioè del vettore postale, per aver perduto la cosa che si era obbligato a custodire, non avendo adottato le misure idonee ad evitarlo.

In tal modo consentendo al “soggetto non legittimato” di acquisire quella “materiale disponibilità dell'assegno” alla quale le SS.UU. hanno attribuito “efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo”.

Quindi, il mittente, che avrebbe diritto ad ottenere il risarcimento del danno causato (anche) dal vettore postale inadempiente, si vede invece ridurre il risarcimento dovutogli dalla banca negoziatrice, a sua volta inadempiente per l'indebito pagamento dell'assegno.

Il corto circuito che così si verifica, sotto il profilo giuridico, risulta vieppiù paradossale se si considera che, ritenendo la sottrazione dell'assegno un fatto rilevante ai fini del suo indebito pagamento, per un verso, il traente-mittente avrebbe diritto di ottenere dalla banca negoziatrice il risarcimento dell'intero danno subito, in virtù della regola della solidarietà passiva dettata dal primo comma dell'art. 2055 c.c..

E che, per altro verso, quest'ultima, una volta risarcito il danno, avrebbe diritto di regresso nei riguardi del vettore postale, in quanto coobbligato solidale, come disposto dal secondo comma dello stesso art. 2055 c.c..

Il mittente-creditore della prestazione può esser trasformato nel controllore del suo debitore?

Ma le paradossali conseguenze della soluzione adottata dalle SS.UU. non si limitano a ciò, perché questa fa sì che al mittente, creditore della prestazione dovutagli dal vettore postale, venga imposto l'onere di “controllare” l'inadempimento del proprio debitore, per potersi attivare, ove questi si renda inadempiente, per prevenire il danno che egli stesso potrebbe risentirne.

E, per di più, sanzionando l'inosservanza di tale onere col porre a suo carico le conseguenze dannose dell'inadempimento del suo debitore.

Tuttavia, un onere di tal genere, oltre a non esser previsto da alcuna norma, come le SS.UU. riconoscono, non è imposto neppure da un generico “ossequio al principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost.”, laddove da questo si voglia far derivare un “dovere di preservare gl'interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda” di tale latitudine da sovvertire i fondamenti stessi della responsabilità civile.

Poiché in tal modo si finisce per rendere responsabile dell'altrui inadempimento proprio colui che da questo è danneggiato, trasferendo addirittura su di lui l'onere risarcitorio che competerebbe all'inadempiente.

Espediente questo, peraltro, del tutto inutile, perché gli “interessi” della banca negoziatrice “coinvolta nella vicenda” sono già efficacemente presidiati dall'azione di regresso concessale dal secondo comma dell'art. 2055 c.c. nei confronti del vettore postale, in quanto coobbligato al risarcimento del danno subito dal traente-mittente dell'assegno (seppur per un diverso titolo e per un differente evento dannoso, com'è ammesso dalla giurisprudenza: Cass. civ. n. 27875/2013).

E che la responsabilità ex art. 1227 c.c. così attribuita al mittente per la spedizione postale ordinaria andrebbe ad interferire con le regole dettate dall'art. 2055 c.c. per le obbligazioni solidali passive, creando una sovrapposizione foriera di inconvenienti più che palesi.

Oltre a ciò, vanno considerate le conseguenze che l'anzidetta soluzione implica per il mittente sul piano pratico.

Il traente-mittente, invero, dovrebbe impiegare la posta raccomandata o assicurata per poter “seguire in tempo reale lo stato di lavorazione” di ogni singolo plico.

E così monitorarne “il percorso… dal momento della spedizione a quello della consegna”, mediante ripetuti controlli, per “attivarsi tempestivamente per evitar[e] il pagamento” dell'assegno, allertando la “banca trattaria”, in caso di “ritardo prolungato nella consegna”.

Anzitutto, il contenuto di un onere siffatto implicherebbe un impegno tutt'altro che trascurabile anche per il mittente che effettui una singola spedizione e tale, quindi, da richiedergli un “sacrificio” tutt'altro che “non apprezzabile”, a differenza di quanto affermano le SS.UU.

In caso di spedizioni postali massive da parte di clienti “corporate” del servizio postale esso, poi, si tradurrebbe in un costo economico rilevante,oltre che del tutto ingiustificato, poiché quello postale è un servizio prestato dietro corrispettivo, per il quale il vettore postale si assume una specifica obbligazione di custodia.

Ed, ancora, il contenuto pratico di tale onere sarebbe assai poco determinato, non riuscendo facile stabilire la concreta misura del “prolungato ritardo” che imporrebbe al mittente di attivarsi presso la banca trattaria.

Per di più, la finalità alla quale un onere siffatto dovrebbe essere funzionale, e cioè l'intervento del mittente presso la banca trattaria per “evitare il pagamento” dell'assegno, risulta in realtà di impossibile attuazione.

Infatti, per un verso, l'art. 73 del r.d. n. 1736/1933 esclude che possa disporsi l'ammortamento dell'assegno non trasferibile (in giurisprudenza: Cass. civ. n. 3405/2016; Trib. Catania, 16 novembre 1984), potendo il prenditore solo chiedere un duplicato dell'assegno sottratto, rimedio questo del tutto inidoneo a prevenirne l'indebito pagamento.

E, per altro verso, l'art. 35 del medesimo r.d. n. 1736/1933 prevede che “l'ordine di non pagare la somma dell'assegno bancario non ha effetto che dopo spirato il termine di presentazione” (termine che, ordinariamente, per gli assegni di traenza, è stabilito in sessanta giorni). Ragion per cui la legge non consente al traente che abbia spedito l'assegno non trasferibile per posta raccomandata o assicurata di “evitarne il pagamento” entro il termine di presentazione.

Ma, se anche ciò fosse possibile, è quanto meno da dubitarsi che un simile rimedio possa essere efficace perché, come già si è detto, gli assegni trafugati durante la spedizione postale vengono solitamente incassati entro pochi giorni (e comunque nel suddetto termine). Sicché il macchinoso espediente ipotizzato dalle SS.UU., mediante l'anzidetto onere, si rivela del tutto inefficace ai fini di prevenire l'indebito pagamento dell'assegno sottratto.

In conclusione: una tesi contraddittoria ed un espediente inefficace

In conclusione, la tesi accolta dalle SS.UU. non è condivisibile sul piano delle regole della causalità materiale, posto che la scelta del mezzo di spedizione eseguita dal mittente dell'assegno non trasferibile non implica una sua cooperazione all'inadempimento degli obblighi di diligenza prescritti alla banca negoziatrice (ex art. 43 legge assegni) per il suo pagamento.

Essa, per di più, si pone in contraddizione con l'obbligazione di custodia contrattualmente assunta dal vettore postale (anche per il servizio di posta ordinaria, non diversamente dagli altri), del cui inadempimento deve rispondere quest'ultimo, e non di certo il mittente danneggiato da quello stesso inadempimento.

Per non dire che il vettore postale inadempiente è solidalmente obbligato con la banca negoziatrice per il danno subito dal traente-mittente dell'assegno non trasferibile, ciò che si pone in palese contraddizione con un'ipotetica corresponsabilità di quest'ultimo in caso di inadempimento del medesimo vettore.

L'ipotizzata (cor)responsabilità del mittente, inoltre, conseguirebbe all'inosservanza di un onere, in realtà, privo di fonte giuridica, foriero di costi non giustificabili e sprovvisto di efficacia pratica ai fini di evitare l'indebito pagamento degli assegni trafugati durante la spedizione postale.

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