Il “collage” della Cassazione sugli istituti dell'ispezione e dell'accertamento tecnico irripetibile in materia ambientale

Gennaro Iannotti
21 Aprile 2021

La particolarità degli accertamenti richiesti in tema di reati ambientali richiede modalità operative talvolta particolarmente complesse, che giustificano l'adozione di provvedimenti articolati, i quali, facendo contemporaneo ricorso a più istituti disciplinati dal codice di rito, assicurino comunque le garanzie di difesa, garantendo, nel contempo, le esigenze investigative...
Massima

La particolarità degli accertamenti richiesti in tema di reati ambientali, specie nei casi cui l'oggetto della verifica è suscettibile di repentini mutamenti, richiede modalità operative talvolta particolarmente complesse, non soltanto sotto il profilo meramente tecnico, che giustificano l'adozione di provvedimenti articolati, i quali, facendo contemporaneo ricorso a più istituti disciplinati dal codice di rito, assicurino comunque le garanzie di difesa, garantendo, nel contempo, le esigenze investigative.

Il caso

Non è del tutto agevole comprendere la vicenda processuale che si è conclusa con la decisione in commento, posto che, nel corpo della stessa, sono enunciati ben quattro principi di diritto, l'ultimo dei quali, ossia quello riguardante la disciplina delle terre e rocce da scavo (art. 186 d.lgs. n. 152/2006) è stato oggetto di ampie ed autorevoli analisi, sarebbe, dunque, superfluo – in questa sede – un nuovo esame. Piuttosto pare utile, sotto il profilo pratico, dare conto di quali saranno le ricadute applicative che la predetta decisione assumerà rispetto ad alcuni istituti processuali qualificanti la fase delle indagini preliminari.

Le indicate premesse consentono di trasferire immediatamente il discorso in medias res della problematica, la quale nasce dalla pronuncia assolutoria emessa nei confronti di diciassette soggetti imputati per reati che vanno dalle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, alla discarica abusiva e, infine, alla gestione illecita di rifiuti. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso immediato per Cassazione, ex art. 569 c.p.p., il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze deducendo undici motivi. Ma in questa sede – come si è premesso – interessa approfondire solo il secondo motivo di ricorso afferente all'impugnazione dell'ordinanza dibattimentale con la quale il Tribunale ha dichiarato nulli e inutilizzabili il decreto di ispezione, i verbali di ispezione e le conseguenti analisi svolte nelle forme di accertamenti tecnici non ripetibili e, conseguentemente, anche la consulenza espletata dai consulenti nominati dal Pubblico Ministero in corso di ispezione.

In sintesi: in data 31 maggio 2007, il Pubblico Ministero emette un "decreto di ispezione di luoghi e cose", contenente l'indicazione dei fatti oggetto di incolpazione e la specifica che esso è finalizzato alla ispezione “a sorpresa” di veicoli, siti di destinazione dei materiali, corsi d'acqua nelle aree di lavoro e punti di recapito canalizzati artificialmente o naturalmente puntualmente descritti. Il corpo del decreto oltre a contenere le ragioni che rendevano necessario il compimento dell'atto, veniva indicata anche la necessità di provvedere ad analisi dei campioni ai sensi dell'art. 360 c.p.p. e la nomina di alcuni consulenti per l'espletamento di tale attività. Venivano, conseguentemente, delegati per l'ispezione “a sorpresa” gli ufficiali di PG specificamente indicati, nonché dei consulenti nominati, specificando anche le attività da compiere (rilievi descrittivi e fotografici, prelievo campioni ecc.) e precisando le modalità di prelevamento dei campioni da effettuare in numero di aliquote sufficienti e, comunque, in numero di (almeno) tre.

Il provvedimento – nel quale viene dato atto che i soggetti indicati risultavano non compiutamente identificati - prosegue con la contestuale nomina dei consulenti e l'avviso di accertamenti tecnici non ripetibili ai sensi dell'art. 360 c.p.p., ai soggetti interessati allo stato noti ed espressamente indicati (direttori di cantieri o di impianto, legali rappresentanti delle imprese appaltatrici o subappaltatrici), al difensore di ufficio, all'uopo nominato, ed ai difensori di fiducia eventualmente nominati da tali soggetti, fornendo indicazione del luogo, della data e dell'ora di inizio delle operazioni (il successivo 7 giugno), riconoscendo espressamente agli interessati il diritto a partecipare anche mediante la nomina di consulenti di parte e la possibilità di formulare richieste di precisazione ed integrazione del quesito, indicando, altresì, una data successiva (14 giugno) per l'apertura della seconda aliquota, riconoscendo, anche in questo caso, la facoltà di partecipazione e nomina di consulenti ai soggetti interessati. Viene poi specificato l'oggetto degli accertamenti tecnici irripetibili e dell'incarico ai consulenti, ribadendo la necessità di ripetere l'avviso in ogni atto di campionamento.

A ciò si aggiunga che il provvedimento prosegue disponendo, ai sensi dell'art. 364, comma 5, c.p.p., l'omissione dell'avviso, giustificata dalla necessità di impedire l'alterazione delle tracce e degli altri effetti materiali del reato in quanto, trattandosi di rifiuti e reflui oggetto di ipotizzata gestione illecita, essi potrebbero essere modificati nella loro natura mediante smaltimento occulto o immissione in acque superficiali.

Infine, nel disporre la consegna di copia del provvedimento all'indagato ed a chiunque altro abbia la disponibilità del luogo in cui si esegue l'ispezione prima dell'inizio delle operazioni, si specifica nel decreto che lo stesso costituisce anche informazione di garanzia ed invito alla designazione di un difensore, nominando comunque un difensore di ufficio e facendo seguire le informazioni di cui all'art. 369-bis c.p.p.

Il Tribunale di Firenze, rigettando le richieste del Pubblico Ministero, ha ritenuto nulli i verbali di campionamento e quindi l'inutilizzabilità processuale dei risultati degli stessi, per un triplice ordine di ragioni: a) le attività di campionamento ed analisi, effettuate mediante ispezione, erano da qualificarsi come accertamento ripetibile e non come accertamento irripetibile; b) l'omesso avviso del decreto di ispezione non sarebbe stato adeguatamente motivato in ordine ai fondati motivi connessi all'alterazione delle tracce e degli effetti materiali del reato; c) nella fase successiva delle analisi, sarebbero state violate le garanzie del contraddittorio della difesa.

La questione

Il Pubblico Ministero, in presenza di indagini complesse afferenti a luoghi e cose soggetti a modifiche repentine e contrassegnate dalla necessità di approfondire temi che esulano dalle normali competenze della polizia giudiziaria, può omettere l'avviso ex art. 360 c.p.p. sulla base della circostanza che l'esatta individuazione del soggetto responsabile dei fatti oggetto di investigazione “non è affatto agevole”?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha ritenuto non condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale e ha annullato con rinvio alla Corte di Appello di Firenze la sentenza impugnata.

Va preliminarmente rilevato che la massima riportata in epigrafe è quella ufficiale, tuttavia il principio di diritto – come l'autorevole estensore opportunamente premette – era stato già espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4238/2019, ric. Giugno, non massimata (sic!), con la quale si era inteso dare conto, con riferimento ad indagini in tema di reati ambientali, della legittimità di provvedimenti, anche articolati, che consentissero di contemperare l'urgenza degli accertamenti da espletare con le necessarie garanzie difensive.

Ed a tanto concorre una complessa serie di ragioni, non sempre e non tutte, in realtà, individuabili, cui però va fatto opportunamente cenno, nell'intento di determinare, sin dall'inizio del discorso, l'orditura concettuale che sembra orientare – a dire il vero con una motivazione non condivisibile – le coordinate ermeneutiche dell'ispezione e degli accertamenti tecnici non ripetibili nell'ambito della “procedura penale ambientale”.

A sostegno sovviene, secondo la sentenza in commento, la particolare complessità delle indagini in materia ambientale, che hanno ad oggetto luoghi e cose soggetti a modifiche, anche repentine, per la loro natura, per cause naturali o per intervento umano. Si pensi, ad esempio, agli scarichi occasionali o discontinui; alla facilità di movimentazione o miscelazione dei rifiuti; all'incidenza degli agenti atmosferici sulla composizione chimica e fisica di sostanze da analizzare; alla necessità di effettuare campionamenti in un determinato momento o in tempi diversi, ovvero secondo le modalità di un determinato ciclo produttivo; agli innumerevoli interventi finalizzati ad alterare la consistenza di materiali da analizzare o modificare lo stato dei luoghi, ma la casistica offre innumerevoli altri esempi.

Un'altra ragione determinante ed indiscutibilmente di maggior peso è costituita, secondo la motivazione, dalla (spesso) inevitabile necessità di approfondire temi che esulano dalle normali competenze della polizia giudiziaria, ancorché specializzata e richiedono il contestuale impiego di soggetti dotati di specifiche cognizioni tecniche non soltanto per il compimento delle più frequenti attività di campionamento ed analisi, come, ad esempio, nel caso in cui sia necessario definire un determinato processo produttivo, verificare la corrispondenza di un insediamento ai contenuti testuali e grafici descrittivi contenuti in un'autorizzazione e, finanche, per la corretta esecuzione di misure cautelari reali riguardante impianti o strutture complesse.

D'onde la necessità di contemperare tali particolari esigenze investigative con l'imprescindibile diritto di difesa e il rispetto del principio del contraddittorio assicurati dal codice di rito con riferimento ai singoli atti di indagine.

Tuttavia, la prospettiva di armonizzazione di tali esigenze – conclude il giudice di legittimità - non può trovare un limite in un “rigido formalismo”, tale da comportare l'individuazione di un preciso ed unico istituto processuale, tra quelli offerti dal codice di procedura penale, da utilizzare nel caso specifico, perché ciò, spesso, non è possibile o non è sufficiente e non risulta, inoltre, che lo richieda la legge, perché ciò che effettivamente rileva è che l'attività di indagine, comunque denominata o posta in essere, non pregiudichi i diritti dei soggetti interessati.

Ne consegue – secondo la Corte di legittimità - che nulla impedisce al Pubblico Ministero di fare ricorso contestualmente a più istituti processuali e nulla impedisce al Pubblico Ministero di qualificare un provvedimento come "decreto di ispezione di luoghi e cose" per far assumere allo stesso la forma di un provvedimento complesso inglobante, di fatto, anche lo svolgimento di accertamenti tecnici irripetibili con omissione dell'avviso ai soggetti di cui all'art. 360, comma 1, c.p.p.

Ed una siffatta operazione è stata legittimamente compiuta – ad avviso della Corte – da parte del Pubblico Ministero procedente, vuoi perché i soggetti destinatari non erano – in quella fase investigativa – compiutamente identificati, vuoi perché tanto l'art. 360, quanto l'art. 364 c.p.p. prevedono che, se il soggetto destinatario dell'avviso non risulta compiutamente identificato, ciò non impedisce il compimento dell'atto, soprattutto se, come nella situazione riscontrata nel caso specifico, si tratti di entità societarie a struttura interna complessa, con la conseguenza che l'esatta individuazione del soggetto responsabile dei fatti oggetto di investigazione non è affatto agevole, spesso nemmeno attraverso un accertamento documentale, quale può essere una visura camerale.

E a conforto della bontà di tale affermazione, la Corte adduce le esigenze di urgenza e speditezza che caratterizzano l'attività d'ispezione e di campionamento che verrebbero vanificate dal pretendere la preventiva compiuta individuazione dei soggetti interessati sulla base dell'organizzazione interna di soggetti a struttura complessa.

Se, dunque, l'obbligo dell'avviso ricorre se vi sono soggetti noti al momento del compimento dell'atto, a maggior ragione non può riscontrarsi alcuna invalidità nell'effettuazione dello stesso con le modalità osservate nel caso specifico e precedentemente descritte. E, secondo la Corte, di tali esigenze di urgenza e speditezza sembra, peraltro, avere piena cognizione il legislatore, che ha ritenuto di inserire nel codice penale, con la l. n. 69/2015, lo specifico delitto di "impedimento del controllo" di cui all'art. 452-septies c.p.

Da queste considerazioni in tema di accertamento tecnico irripetibile, la Corte deduce un ulteriore corollario in tema di omesso avviso agli indagati e ai difensori, lì dove il PM intenda procedere nelle forme dell'ispezione: l'omissione dell'avviso da parte del PM può essere ritenuta illegittima dal Tribunale, in quanto vi sia stata una effettiva e concreta lesione - da specificarsi con congrua motivazione - del diritto di difesa.

Osservazioni

Prendiamo atto del punto processuale della motivazione qui in commento, ma non riusciamo a condividerlo.

La ragione del dissenso risiede nell'affermazione secondo cui lì dove “l'esatta individuazione del soggetto responsabile dei fatti oggetto di investigazione non è affatto agevole, spesso nemmeno attraverso un accertamento documentale, quale può essere una visura camerale”, viene meno l'obbligo dell'avviso dell'accertamento tecnico non ripetibile ai soggetti indicati dall'art. 360, comma 1, c.p.p.

Il che deve apparire tutt'altro che peregrino se il soggetto non è a priori identificabile o il procedimento viene iscritto nei confronti di ignoti. E così può recuperarsi come termine di confronto, per esempio, ciò che accade nelle ipotesi di colpa medica: non vi è dubbio che, se una persona decede dopo un complesso iter diagnostico ed è richiesto all'AG di verificare la sussistenza della violazione di una regola cautelare propria o impropria, il PM, dovendo necessariamente procedere attraverso un ampio e complesso accertamento tecnico irripetibile, non avrà alcun obbligo di notificare l'avviso a tutti i sanitari che ebbero in cura il deceduto, sia per l'assenza di “specifiche indizianti” a carico di ogni singolo sanitario, sia perché l'scrizione dei presunti responsabili potrà avvenire successivamente all'espletamento dell'antescritto atto istruttorio. E non è un caso che l'autorevole relatore – nel corpo della complessa motivazione – citi arresti giurisprudenziali sviluppatisi nell'ambito di procedimenti contro ignoti o contro noti da identificare.

Non essendo questa la sede per affrontare il tema del “falso ignoto” nelle indagini preliminari, qui si deve solo osservare che, al contrario di quanto affermato nella sentenza in commento, i soggetti erano già individuati (cfr. pag. 18 della sentenza, lì dove si legge: “legale rappresentante della società, indicando la denominazione dell'ente per ciascuno dei tre lotti, nonché la persona da identificare in colui che risulterà in possesso di delega a operare con ampia delega e potere di spesa”) o erano – se pur “non agevolmente” - individuabili e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere ritenuti destinatari dell'avviso di cui all'art. 360 c.p.p. Sul punto, mette conto evidenziare che l'identificazione dell'indagato non dipende dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato, ma dal fatto che la persona sia stata raggiunta da indizi di reità: la Cassazione (per tutte, Cass. pen., Sez. IV, 12 agosto 2008, n. 33404) ha sempre confermato la preferenza per la qualifica sostanziale, piuttosto che per il dato formale dell'iscrizione. E tale interpretazione da parte del giudice di legittimità è stata avvalorata dalla ratio della novella apportata dalla l. n. 267/1997 all'art. 403 c.p.p. che disciplina l'utilizzabilità in dibattimento delle prove assunte con incidente probatorio; è stato, infatti, aggiunto un comma 1-bis che stabilisce che le prove raccolte nel corso dell'incidente probatorio non sono utilizzabili nei confronti degli imputati identificati successivamente all'atto, salvo che gli indizi di colpevolezza nei loro confronti non siano emersi dopo che la ripetizione dell'atto sia diventata impossibile.

D'altro canto è un rilievo di facile riscontro che la sentenza Giugno, citata nella sentenza in commento come “precedente non dissimile”, aveva ad oggetto un decreto emesso nell'ambito di un procedimento a carico di soggetti noti e che, comunque, lasciava salva e impregiudicata “la facoltà di intervenire al compimento dell'atto” con modalità che, “sebbene non specificamente denominate, prevedevano comunque il rispetto delle formalità indicate dall'art. 360 c.p.p. (avviso, senza ritardo, alla persona sottoposta alle indagini ed ai difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici), stabilendo addirittura la fissazione di un termine congruo al fine di consentire la partecipazione degli interessati alle operazioni, senza pregiudizio per gli accertamenti, che l'art. 360 c.p.p. non prevede”.

Qui la vicenda avrebbe avuto (l'uso del condizionale è d'obbligo, non avendo a disposizione l'ordinanza impugnata ex art. 586, comma 1, c.p.p. dal PM) uno sviluppo processuale diverso, in quanto il rappresentante della pubblica accusa ha sovrapposto l'istituto dell'ispezione senza preavviso (unica eccezione prevista dall'ordinamento rispetto agli atti garantiti che può compiere il PM) con l'accertamento tecnico irripetibile che prevede – a pena di nullità di ordine generale a regime intermedio – l'avviso senza ritardo ai soggetti indicati nella norma da ultimo citata. E, per salvare il salvabile, la Corte, con la sentenza in commento, ha scelto la strada della non facilità della identificazione dei destinatari, applicando arresti giurisprudenziali riferibili a procedimenti contro ignoti, così scongiurando il rischio di dispersione dei mezzi di prova raccolti nella fase delle indagini preliminari.

Da queste brevi considerazioni si può dedurre che l'affermazione secondo cui un diritto di rango costituzionale - qual è il diritto di difesa – sia recessivo innanzi ad una situazione processuale di organizzazioni aziendali complesse dove “l'esatta individuazione del soggetto non è affatto agevole” è un'affermazione che deve essere accolta con le dovute riserve e con grande circospezione.

Si fa notare, a scanso di equivoci, che siffatte conclusioni non fanno venir meno la nostra convinzione che un atto a sorpresa ha senso solo se non è preventivamente comunicato al destinatario dell'atto stesso. Ed è per questo che il legislatore ha previsto – al comma 5 dell'art. 364 c.p.p. – l'omissione dell'avviso dell'esecuzione dell'ispezione finalizzata, in questo caso, al prelievo di campioni, in virtù del fatto che vi era fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato potessero essere alterati. Ma tali esigenze investigative non possono esonerare il PM, una volta eseguita l'ispezione “a sorpresa”, dal realizzare la garanzia difensiva nella fase della materiale esecuzione del campionamento, posto che la difesa deve essere certa che quel campione sia stato prelevato in maniera corretta e che l'analisi di quel campione deve essere oggetto di contraddittorio.

In questo contesto, allora, va rilevato che non si è in presenza di una violazione di una regola accessoria che governa solo le modalità di assunzione. Anche recentemente (il riferimento è a Cass. pen., sez. III, 17 marzo 2021, n. 10227) la Corte ha avuto modo di ribadire che l'inosservanza delle regole tecniche relative alle analisi dei rifiuti per l'ammissibilità in discarica contenute nel DM 24/06/2015 sono norme aventi carattere ordinatorio e non costituiscono condizioni per il regolare svolgimento delle indagini preliminari e per il corretto esercizio dell'azione penale, sicché eventuali irregolarità in materia non determinano nullità, pur dovendo il giudice, che da tali analisi voglia trarre elementi di convincimento per la decisione, motivare adeguatamente in ordine all'attendibilità del risultato.

Nel caso che ci occupa, si è assistito ad una violazione dei divieti posti a presidio del rispetto dello statuto normativo che definisce le prove tipiche, dato che, se si esegue un accertamento finalizzato a raccogliere una prova tipica, questa deve essere assunta nel rispetto delle regole che la "definiscono" e, se non vi sono margini per l'inquadramento della prova extra-statuto come prova atipica, la stessa deve essere dichiarata nulla e inutilizzabile.

La ricostruzione “a sistema” si presenta complessa, perché la giurisprudenza è assai vasta e le norme tecniche ambientali non sono ben coordinate con le norme processuali penali. Basti solo dire che, se, da un lato, l'inutilizzabilità dei risultati di un accertamento tecnico unilateralmente compiuto dal Pubblico Ministero in violazione del diritto di difesa, di fatti, è qualificabile come inutilizzabilità c.d. fisiologica o relativa, e non patologica (su tali distinzioni cfr. Cass. pen., Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 16), dall'altro, secondo la Corte di legittimità, agli accertamenti tecnici effettuati, ai sensi dell'art. 360 c.p.p., senza l'osservanza delle garanzie di intervento della difesa deve quantomeno riconoscersi l'efficacia propria degli accertamenti tecnici effettuati dall'organo dell'accusa ai sensi del precedente art. 359 c.p.p.; conclusione, questa, che trova conferma nella previsione di inutilizzabilità "nel dibattimento" degli accertamenti irripetibili effettuati in spregio ai diritti della difesa secondo il disposto di cui all'art. 360, comma 5, c.p.p.

Starebbe bene a questo punto un capitolo sulla discrezionalità cronologica del Pubblico Ministero rispetto al dovere di immediata iscrizione sul quale si è insediata una prassi degenerativa che ha riconosciuto al titolare delle indagini preliminari un potere fuori controllo che gli permette di aggirare il dies a quo, di lucrare sui tempi investigativi e, come validato dalla Cassazione con la sentenza in commento, di privare “l'indagato non ancora” di partecipare ad atti destinati ad assumere valore probatorio. Ma siamo ai titoli di coda e ragioni di spazio non lo consentono.

Restano le perplessità sulla “interpretazione generosa” della Corte rispetto alle doglianze del PM, il quale, a rigor di codice, avrebbe dovuto emettere due atti diversi: un decreto di ispezione – senza avviso, ex art. 364, comma 5, c.p.p. – per il prelievo dei campioni e un altro e diverso provvedimento contenente l'avviso dell'esecuzione dell'accertamento tecnico irripetibile afferente alla fase successiva all'analisi dei campioni; atto, quest'ultimo, da svolgersi in contraddittorio non solo con i soggetti – pare di capire dalla ricostruzione della sentenza in commento – presenti all'atto dell'accesso, ma anche con tutti i “coindagati sostanziali”.

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