È reclamabile in appello la decisione del giudice tutelare sul diritto del beneficiario di amministrazione di sostegno a contrarre matrimonio

23 Aprile 2021

Spetta al Tribunale o alla Corte d'Appello decidere sul reclamo avverso la decisione del giudice tutelare di rigetto dell'estensione al beneficiario di amministrazione di sostegno del divieto di contrarre matrimonio ex art. 85 c.c.?
Massima

È reclamabile davanti alla Corte d'Appello la statuizione con cui il giudice tutelare rigetti o accolga l'istanza - formulata in sede di apertura della procedura di amministrazione di sostegno o anche successivamente - diretta ad ottenere l'estensione al beneficiario del divieto di contrarre matrimonio sancito dall'art. 85 c.c., in quanto concernente un diritto fondamentale personalissimo potenzialmente suscettibile di essere compresso, nel procedimento di cui si tratta, dal provvedimento del giudice.

Il caso

F.A. propose reclamo, ex art. 720-bis c.p.c., comma 2, innanzi alla Corte di appello di Napoli, avverso il provvedimento del giudice tutelare di quella stessa città reiettivo della richiesta, formulata dallo stesso F., di estendere al padre O., nei cui confronti era stata disposta la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, il divieto di contrarre nozze ex art. 85 c.c..

La corte adita, ritenendo questo provvedimento di natura "gestoria" e non "decisoria", così da rendere ad esso applicabile il regime impugnatorio previsto dall'art. 739 c.p.c., si dichiarò incompetente a conoscere di detto reclamo, che, a suo dire, si sarebbe dovuto promuovere innanzi al tribunale partenopeo.

F.A., pertanto, ha riassunto il corrispondente giudizio innanzi al menzionato tribunale, esponendo che il padre, affetto da disturbo paranoide di personalità, voleva contrarre nozze con qualunque persona lo avvicinasse, atteso lo stato di estrema fragilità e frustrazione in cui versava, derivante dalla misura di protezione emessa nei suoi confronti, che egli avvertiva come una restrizione.

Costituitosi in giudizio, F.O. ha dedotto che non erano state prospettate dall'istante, nè erano state provate, le gravi ragioni che avrebbero consentito l'estensione nei suoi confronti del divieto di contrarre matrimonio.

Il Tribunale di Napoli ha sollevato il conflitto negativo di competenza nei confronti della Corte di appello di Napoli, assumendo che, diversamente da quanto opinato da quest'ultima, all'impugnato decreto doveva riconoscersi natura "decisoria", sicchè la cognizione del proposto reclamo doveva attribuirsi ratione materiae al giudice di secondo grado.

Il Pubblico Ministero ha concluso per la declaratoria di competenza della Corte di appello di Napoli a conoscere del reclamo suddetto.

La questione

La questione che la Suprema Corte - adita con regolamento di competenza d'ufficio proposto dal Tribunale di Napoli - si trova a dover affrontare è se spetti al Tribunale o alla Corte d'Appello decidere sul reclamo avverso la decisione del giudice tutelare di rigetto dell'estensione al beneficiario di amministrazione di sostegno del divieto di contrarre matrimonio ex art. 85 c.c.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione fornita dalla Suprema Corte alla questione sopra prospettata è che la competenza spetta alla Corte d'Appello.

A tale conclusione i Giudici di legittimità pervengono dopo avere lungamente argomentato sugli effetti che l'apertura dell'amministrazione di sostegno produce sulla persona del beneficiario.

In particolare, vengono evidenziati numerosi indici normativi che depongono a favore della tesi per cui l'amministrazione di sostegno, di regola, non ha effetti incapacitanti.

La disposizione più significativa al riguardo è quella dell'art. 409 c.c., laddove si stabilisce che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti per i quali non è richiesta la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.

Questo principio trova, poi, conferma nell'art. 3 l. 22 dicembre 2017, n. 219, che, in ambito sanitario, lascia all'amministrato la capacità di autodeterminarsi, ove non sia diversamente disposto nel decreto di nomina dell'amministratore di sostegno.

Se, dunque, il beneficiario di amministrazione di sostegno è soggetto pienamente capace in relazione a quegli atti per i quali non sia prevista una specifica incapacità, allora anche il diritto di autodeterminarsi con riguardo al proprio matrimonio resta liberamente esercitabile dall'amministrato, salvo che a quest'ultimo il giudice tutelare disponga l'estensione del divieto ex art. 85 c.c. previsto per l'interdetto.

In tale ipotesi, il provvedimento del Giudice Tutelare, venendo ad incidere su un diritto personalissimo, non può avere natura semplicemente gestoria, ma possiede in re ipsa una dimensione decisoria.

Tanto basta a fondare indiscutibilmente la competenza della Corte d'Appello a conoscere del relativo reclamo.

È, infatti, pacifico in giurisprudenza che, ai sensi dell'art. 720-bis c.p.c., spetta alla Corte d'Appello decidere sui reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare aventi natura decisoria; resta, invece, controverso se tale competenza debba estendersi anche ai provvedimenti del giudice tutelare a carattere gestorio (la risoluzione della questione è stata rimessa all'attenzione delle Sezioni Unite con l'ordinanza interlocutoria resa da Cass. n. 17833 del 2020).

Osservazioni

Con la sentenza in rassegna la Suprema Corte ritorna su un tema – quello, cioè, dei rapporti tra amministrazione di sostegno e matrimonio – sul quale già in passato la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi.

Si era, infatti, affermato che, in ragione delle significative differenze che intercorrono tra l'amministrazione di sostegno (diretta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole) e l'interdizione (volta a limitare la sfera d'azione di quel soggetto in relazione all'esigenza di salvaguardia del suo patrimonio nell'interesse dei suoi familiari), il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall'art. 85 c.c. per l'interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, ma può essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravità, quando sia conforme all'interesse dell'amministrato (Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11536).

Orbene, sull'applicabilità all'amministrazione di sostegno del divieto posto dall'art. 85 c.c. si registra in dottrina un contrasto di opinioni.

Secondo una prima opinione, il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva sempre la capacità di compiere gli atti personalissimi. In questi casi è possibile, tutt'al più, un'attività di assistenza da intendersi, ovviamente, come attività di ausilio e di aiuto nel processo, che rimane, essenzialmente, di autodeterminazione.

Questa opinione critica la tesi secondo la quale andrebbe riconosciuta al beneficiario di amministrazione di sostegno una tendenziale capacità in ordine agli atti personalissimi, fatta salva l'utilizzazione, da parte del giudice tutelare, del potere “estensivo”, contemplato dall'art. 411, ult. cpv., c. c.

Si tratterebbe, infatti, di una tesi insoddisfacente, poiché ripropone, sia pure mediante una tecnica diversa, vale a dire l'adozione di un provvedimento dell'autorità, la rigida alternativa capacità/incapacità, il cui superamento è alla base dell'introduzione della nuova normativa sull'amministrazione di sostegno.

A questa tesi si contrappone un'altra secondo cui, nella norma racchiusa nell'ultimo capoverso dell'art. 411 c.c., non compare alcuna eccezione alle norme relative all'esercizio dei cosiddetti diritti personalissimi, previste riguardo all'interdetto o all'inabilitato, ed estensibili, appunto, mediante decisione giudiziale, al beneficiario di amministrazione di sostegno.

Tutte queste norme sono astrattamente estensibili e compete al Giudice Tutelare scegliere la norma, o le norme, da estendere al beneficiario di amministrazione di sostegno, evitando, non di meno, l'estensione in blocco, giacché, in tale ipotesi, la situazione dell'interessato alla misura di protezione sarebbe così grave, da rendere necessario, ancóra oggi, il ricorso all'interdizione giudiziale. Pertanto, secondo questa impostazione l'art. 411, ult. cpv., c. c. può trovare applicazione, in astratto, anche riguardo all'esercizio degli atti così detti personalissimi. È, tuttavia, opportuno che la sua applicazione sia, in tal caso, particolarmente prudente, a ragione, intuitivamente, dell'importanza delle prerogative fondamentali in capo alla persona, che ne sconsiglia l'applicazione all'amministrazione di sostegno e, al contempo, la riproposizione dell'intero statuto dell'interdetto giudiziale.

Non è inutile mettere in luce, inoltre, che, secondo un'interpretazione, le norme, che fanno riferimento all'interdetto o all'inabilitato, si potrebbero applicare all'amministrazione di sostegno, soltanto ove siano state specificamente dichiarate applicabili dal provvedimento del Giudice Tutelare.

Il che comporta il delicato compito di individuazione delle singole disposizioni applicabili in concreto, che dovrebbero essere scelte avendo riguardo, caso per caso, all'interesse del beneficiario di amministrazione di sostegno e a quello tutelato dalle singole disposizioni considerate, con ulteriori ricadute sul piano dell'efficacia, non soltanto dell'attività negoziale futura del beneficiario, ma anche dei rapporti giuridici in corso.

Ne discende che, nel silenzio del provvedimento del giudice tutelare, non dovrebbe essere consentita un'applicazione analogica, al beneficiario di amministrazione di sostegno, di regole, che abbiano, quale presupposto di applicazione, la condizione di interdetto o di inabilitato.

Con l'ordinanza in rassegna, la Suprema Corte – sia pure al fine di regolare la competenza in materia di reclamo avverso i provvedimenti del Giudice Tutelare sull'estensione all'amministratore di sostegno del divieto ex art. 85 c.c. – mostra di accedere a questa seconda opinione, aderendo così ad una lettura maggiormente rispettosa della ratio della legge 2004, n. 6; legge che, se da un lato si propone di «tutelare (…omissis…) le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente», non esclude, dall'altro, che ciò possa avvenire con limitazioni – il più possibile contenute – della capacità di agire del soggetto debole.

Riferimenti

L. Balestra, Gli atti personalissimi del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, in Familia, 2005, I, 659 ss.;

G. Bonilini, Amministrazione di sostegno e capacità matrimoniale, in Famiglia e Diritto, 2014, 6, 579;

F. Danovi, Matrimonio e amministrazione di sostegno: (generale) validità ed (eccezionali) impugnative solo il p.m. può far valere la nullità della sentenza per il suo mancato intervento?, in Famiglia e Diritto, 2017, 11, 953

M. Finocchiaro, La capacità di sposarsi non è limitata come nell'interdizione in Guida al diritto il sole 24ore, 2017, 27, 52;

L. Olivero, Incapacità e libertà matrimoniale tra dignità della persona e interessi familiari. (Matrimonio e amministrazione di sostegno), in Giur. It. 2018, 2, 308

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